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Juliet Anno Numero 93 giugno '99



MARCO SAMORÈ

a cura di Guido Bartorelli



Art magazine
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Installazione a Spazio Aperto, 1999, Galleria d'Arte Moderna di Bologna

Mi pare che questa tua stagione sia stata ricca di conferme...
-Sì, ho fatto molti lavori nuovi. In novembre c'è stata la personale allo Studio Ercolani di Bologna. A dicembre ero a Torino da Caterina Fossati, che in gennaio mi ha portato alla fiera di Bologna. In contemporanea, sempre a Bologna, ho esposto con Sarah Ciracì e Michele Mariano allo Spazio Aperto della GAM. Poi, da fine marzo, una nuova personale al Care of di Cusano Milanino. A giugno la Quadriennale a Roma e la collettiva bolognese ArtBeat.

Parlami di un tuo lavoro recente.
-Ti racconto un lavoro esposto da Care of, una video-installazione con tre proiettori super8. Il titolo è Molti ricordi sono comuni. Nel filmato, che riprende un video presentato alla Neon nel '97, L'estetica della noia, c'è una ragazza che entra ed esce da una tenda, portando degli oggetti, dei vestiti, che non hanno alcun nesso apparente. Si tratta di cose di tutti i giorni, tali da sollecitare pensieri, associazioni, ricordi. Un "flusso di coscienza materializzato", come scrive Emanuela de Cecco nel testo di presentazione. Mi interessa il fatto che, anche se l'oggetto è condiviso e la sua apparenza è uguale per tutti, i rimandi che stimola in me, in te o in qualsiasi altra persona, sono diversi, individuali. Una pistola giocattolo, ad esempio, ci fa pensare a una certa cosa, e questo ricordo è strettamente personale. L'accavallarsi di immagini nella testa di ognuno provoca pensieri differenti.

Sovrapponi uno spessore soggettivo all'oggetto stereotipato - oggetto del supermercato oppure icona mass-mediale - come nel caso del gigantesco Smile tridimensionale esposto sempre al Care of.
-L'oggetto comune è interpretato da ognuno in base al proprio vissuto. Così anche le cose più neutre, come l'icona dello Smile, vengono assorbite dalla soggettività. Mi incuriosisce il fatto che la soggettività si appropri dello stereotipo e ne faccia una "spilletta sullo zainetto".

E della vecchia storia sugli oggetti che ci sommergono, soprattutto se sono oggetti uno uguale all'altro? Pensa al classico esempio del McDonald's che sopprime la diversità.
-Per me è proprio il contrario: cerco nello stereotipo lo stimolo alla differenza. Io sono attratto da questi oggetti seriali, nuovi, di plastica. Andy Warhol è stato accusato di essere superficiale, di sfruttare solo l'apparenza dell'immagine. Mentre invece ha uno spessore molto profondo.

Lo si vede dalle famose sbavature che egli introduceva nelle sue icone.
-Questo è il nesso del mio percorso, iniziato diversi anni fa, che però mi sembra dimostrare una buona coerenza. Recentemente ho scattato una serie di foto in un supermercato a Rimini, la sera, dopo la chiusura. Come al solito andavo alla ricerca di oggetti seriali, colorati, costruiti in materiali plastici. Più in particolare volevo sorprendere quegli oggetti esposti, che la gente passando aveva più o meno inavvertitamente spostato, messo fuori posto. Mi affascina un luogo in cui passano molte persone, nel momento però in cui rimane vuoto. Mi offre una serie di oggetti su cui cercare i segni minimi delle persone. L'oggetto consumato o rotto lo lascio perdere. Voglio cogliere l'intervento minimo sull'oggetto nuovo. Le piccole sbavature di Warhol. Questo è lo spazio in cui si manifesta la soggettività nei miei lavori.

Il tuo lavoro mi sembra estremamente attuale, tanto da aver anticipato alcuni aspetti cari agli artisti dell'ultima generazione - i vari Calignano, Ciracì, Bertocchi, Dj Lamu', Basilé, quelli che hanno quasi dieci anni meno di te, nato nel '64.
-Forse dipende anche dagli interessi extra-artistici. Diciamo che "mi tengo al passo" frequentando certi ambienti di musica, di teatro, di cinema. Guarda caso la gente che hai nominato, come Calignano o Bertocchi, sono poi le persone che incontro anche al di fuori dell'ambiente di lavoro. Che so, nei centri sociali per una serata di musica.

Poi vi accomuna il fatto che accettate il supermercato, la televisione. Anzi, l'hai detto prima tu stesso, questi sono mondi ricchi di fascino: la merce non fa più necessariamente a pugni con la creatività. Anche se certamente il mondo del mercato non è mai assunto passivamente, ma c'è sempre la presenza vigile della soggettività. Inoltre sembra che voi artisti da questi mondi abbiate saputo introiettare quei meccanismi di comunicazione che rendono l'aspetto dei prodotti di consumo così attraente, comunicativo, capace di catturare l'attenzione dell'acquirente o dell'ascoltatore, e portarli nelle vostre opere.
-Certo questo è un fattore che ci deriva dalla pop art. La ricerca di un'accessibilità allargata dell'opera si ripresenta ciclicamente. Negli anni dell'Arte Povera questo aspetto del lavoro non interessava. Io invece ho bisogno che, qualsiasi sia l'argomento trattato, l'immagine finale sia piacevole. Può essere anche forte, ma deve essere piacevole. Io apprezzo moltissimo il versante dell'arte più rigorosamente concettuale. Vengo da lì. Ma, allo stesso tempo, non mi posso identificare completamente con il concettuale, perché il prodotto finale è molto distante dal mio. In questo senso, negli ultimi anni è stata importantissima la contaminazione tra le discipline, pensa solo alla musica. Oggi non è più possibile fare una mostra d'arte visiva, senza tener conto della parte musicale o teatrale. C'è da dire, però, che anche tutta la produzione industriale è andata verso la realizzazione artistica. C'è un avvicinamento reciproco. Certo poi che l'artista deve stare attento a non andare oltre l'avvicinamento. Nel senso di non fare un duplicato di un videoclip o diventare grafico o art director. C'è il rischio di perdere l'identità. Così come non avrebbe senso mettere in galleria la copertina di "The face", o un videoclip. Il videoclip è altro rispetto alla videoarte e viceversa.

Direi anche, però, che la TV farebbe un affare accogliendo nel proprio palinsesto le immagini dell'arte contemporanea. Non confondendole con altre cose, ma vendendole proprio come arte contemporanea. L'arte contemporanea è un serbatoio di immagini fortissime e di impatto, che potrebbero sfondare in televisione. Ricordo la sigla della trasmissione di MTV Stylissimo, dove era inserita una sequenza tratta da un video di Mariko Mori: il tutto funzionava in maniera straordinaria.
-In effetti la televisione non si è ancora resa conto del potenziale dell'arte. In Italia soprattutto. In Inghilterra, ad esempio, Channel 4 fa cose incredibili. Questo inoltre potrebbe fare uscire l'arte dal giro ristretto degli addetti ai lavori. Anche se, lo ripeto, è un'operazione che va impostata stando attenti a non svendersi, a non perdere l'identità di artisti.