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Juliet Anno Numero 98 giugno 2000



Acconci Studio

Pietro Valle



Art magazine
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Da alcuni anni Vito Acconci lavora con un team di giovani architetti presentandosi come Acconci Studio, un collettivo dedito alla progettazione di spazi e strutture pubbliche di grandi dimensioni, molte delle quali sono state costruite o sono in fase di realizzazione in varie località europee e statunitensi. La scelta di operare alla scala architettonica è coerente estensione di una trentennale ricerca tesa ad esplorare il significato dello spazio pubblico. Meno evidente è il legame che questi lavori recenti instaurano con le provocazioni Body Art degli anni '70 per quanto anche qui esiste una linea di continuità. Nelle prime performance, Acconci impiegava l'interazione corporea come mezzo per provocare eventi partecipativi e per criticare tutta una serie di comportamenti pubblici passivi. Il rivolgersi agli spazi ha comportato un ampliamento dell'interesse per il contatto fisico, analizzato ora nei luoghi del quotidiano dove si incontrano più persone: se il corpo era visto come il contenitore-rifugio archetipo, Acconci ha, nei decenni successivi, esteso la sua ricerca ad altri contenitori ed estensioni dello spazio fisico: l'elemento d'arredo, la casa e l'ambiente domestico, il luogo pubblico, la città, il giardino. Anche in questi contesti, tradizionali campi d'azione dell'architettura, Acconci ha rilevato condizionamenti imposti dalle convenzioni e dai mass-media. Insofferente nei confronti dei modelli insediativi istituzionali, l'artista ha, sin dall'inizio degli anni '80, sistematicamente messo in discussione questi spazi tipici con una serie di installazioni che miravano a sovvertirne i significati comunemente accettati e che avevano titoli significativi come Bad Dream House, Sub-Urb, Mobile Home, Trailer Camp, Storage Unit o Turned Tables. In questa de-costruzione dei templi del pubblico e del privato, la metafora corporea è servita ad Acconci come mezzo per portare questi luoghi al di fuori di sé stessi, per violarli, per investirli di un'energia fisica che deborda da essi in modo da escluderne il ruolo di rassicuranti dimore. Nel fare ciò Acconci ha criticato il ruolo puramente decorativo di gran parte dell'architettura contemporanea che si limita a rivestire configurazioni spaziali mutuate passivamente da esigenze economiche. Lui i corpi non li ha nascosti: anzi li ha rivelati, esibiti, feriti. È come se il manufatto architettonico si fosse sostituito al performer Acconci che pedinava altre persone, si tagliava col rasoio, si masturbava e compiva inauditi gesti di fatica. I recenti progetti di luoghi pubblici sono infatti caratterizzati da una moltitudine di elementi diversi che coinvolgono lo spazio circostante in un dialogo serrato dove i significati comunemente associati agli elementi architettonici vengono continuamente rovesciati. Questi nuovi personaggi urbani evitano qualsiasi collocamento in categorie d'uso e di significato specialistiche come "l'oggetto artistico", "l'elemento di arredo", "il manufatto architettonico" o "l'intervento paesaggistico": sono contemporaneamente accessori funzionali e objects trouvées, comodi supporti e inquietanti rifugi. La loro riconoscibilità e associazione ad altre cose, se esiste, è inclusiva. Il loro porsi al di fuori dei ruoli solitamente accettati non può che provocare nel pubblico una ricerca di posizionamento spaziale, di interazione fisica, come se essi fossero corpi tra altri corpi nella folla.
Le sfere che occupano la piazza antistante la Klapper Hall al Queens College di New York sono arbitrarie invasioni del luogo dove si accede all'edificio. Il fatto che le stesse sfere siano erose da tagli che diventano fonte di luce e nicchie contenenti tavoli e panchine, crea una seconda chiave di lettura dell'intervento. Lo spazio pubblico è contemporaneamente invaso ma offre dei recessi dove isolarsi pur partecipando all'ambiente circostante. Si vengono a creare molteplici interni ed esterni che criticano la nozione di un unico luogo monumentale come accesso all'istituzione e formano invece un universo di spazi paralleli. Le sfere sono contemporaneamente fuori scala e intime, astratte nella loro assolutezza geometrica e organiche nel loro richiamare l'idea di gusci protettivi. Assumono ulteriori valenze corporee diventando estensioni di coloro che le occupano, sorta di bozzoli/protesi/rigonfiamenti con cui ci avventuriamo nella piazza (e in ciò ricordano altre installazioni di Acconci come Adjustable Wall Bra e Convertible Clam Shelter dove un gigantesco reggiseno e una conchiglia diventavano edifici/rifugi).
Le strutture di Acconci diventano così rifugi temporanei, anzi corpi temporanei da cui entrare e uscire in un trasformismo continuo. In questa generale promiscuità urbana, Acconci rivendica una sorta di vita propria agli elementi architettonici, quasi fossero giocattoli che si animano o sensori di energie nascoste che improvvisamente emergono e confrontano il visitatore. C'è una insofferenza di fondo che anima questi lavori, una voglia di toccare e di far toccare, di aggredire e di provocare una reazione. Sono luoghi temporanei, parlano di una condizione di impermanenza in cui la stabilità non è più rintracciabile o, se esiste, è stata appropriata dai media per offrire false certezze. Se, come dice Acconci, "lo spazio pubblico non ha più dimora", non rimane che il movimento, la provocazione, il gioco, il continuo spostamento di significati proposto dai suoi progetti. Acconci non dà nulla per scontato e si assume l'onere di rivisitare i luoghi-tipo della nostra quotidianità, di riscoprirli, di criticarne l'uso passivo e quindi politicamente reazionario. Il suo grande merito è stato quello di riuscire a trasporre questa rilettura critica dalle installazioni alla progettazione di interi spazi pubblici, uscendo dalle gallerie e coinvolgendo un pubblico ben più ampio di quello che si interessa all'arte contemporanea.