Muratcentoventidue
Bari
via Murat, 122/b
393 8704029
WEB
Mother
dal 15/5/2015 al 29/6/2015
mar-sab 17-20 o su appuntamento

Segnalato da

Muratcentoventidue Artecontemporanea




 
calendario eventi  :: 




15/5/2015

Mother

Muratcentoventidue, Bari

Le artiste coinvolte, Rita Casdia, Elisabetta Di Sopra, Anahita Hekmat, Chrischa Venus Oswald, Jenna Pippett e Karen Trask esplorano la relazione madre-bambino primaria nella vita di ogni essere vivente.


comunicato stampa

La galleria Muratcentoventidue Artecontemporanea prosegue il suo percorso espositivo con una mostra collettiva intitolata Mother che vede sei artiste confrontarsi sul tema della figura materna. Le artiste coinvolte, Rita Casdia, Elisabetta Di Sopra, Anahita Hekmat, Chrischa Venus Oswald, Jenna Pippett e Karen Trask esplorano la relazione primaria nella vita di ogni essere vivente, fondamentale per la costruzione di tutti i rapporti successivi, la relazione madre-bambino.

La prima, Rita Casdia, indaga, attraverso la video animazione, il disegno e la scultura, mondi emozionali a metà tra sogno e realtà, rivolgendo la sua attenzione principalmente ai meccanismi elementari dei sentimenti umani, con uno sguardo attento alle dinamiche generate dai legami affettivi e dalla sessualità.

Nel video in mostra, Mammina, la protagonista, in uno stato ipnotico, va incontro a un uomo, uno dei tanti che potrebbero renderla mamma. Le scene, che si succederanno dopo questo momento, rimandano a uno stato confusionale e appaiono dettate da eventi fisiologici. Sarà la bambina, appena venuta al mondo, a condurre le redini di una stabilità familiare mai nata.
La ricerca artistica di Elisabetta Di Sopra si esprime in particolar modo attraverso l’uso del linguaggio video per indagare sulle dinamiche più sensibili della quotidianità e delle sue microstorie inespresse, dove il corpo femminile assume un ruolo centrale perché custode di una memoria e di un suo linguaggio espressivo.

L’artista presenta tre video: nel primo, Aquamater, una madre e una figlia e un gesto semplicissimo, quello della figlia che, lasciando cadere dell’acqua dalla sua bocca a quella della madre, le restituisce simbolicamente la vita che ha ricevuto.
Più lirico e angosciante, allo stesso tempo, è Untitled, video che racconta, con un punto di vista distaccato, una cosa che solo le donne, che sono diventate madri e hanno allattato forse sanno e cioè che la maternità, aldilà della retorica, può essere fatica e strazio, e non solo gioia. Il seno della madre non smette di gocciolare al richiamo di suo figlio. Questa situazione di privazione non ha soluzione: il bambino continua a piangere, il seno a lasciare che vada sciupato il suo prezioso contenuto. Vuole essere una riflessione sulla retorica dei buoni sentimenti che custo-disce e difende l’amore materno come la forma più sacra e indubitabile delle relazioni.

Il terzo, intitolato Mamma ,è un breve frammento di found footage super8 che ritrae la madre dell’artista sulle note di Satie.
Il lavoro di Anahita Hekmat comprende una vasta gamma di media dai più tradizionali, come la fotografia, il disegno e la video installazione, ai più innovativi. Nei suoi video, parte da frammenti d’immagini, girate durante i suoi viaggi con un approccio documentario, e mediante il time stretching, la manipolazione e la sovrapposizione, crea una finzione poetica e mitica.
La serie dal titolo Apparizioni, in cui dei bambini interagiscono con l'ambiente circostante e le persone adulte, è un work-in-progress sul tema dell'infanzia, sul quale la Hekmat lavora dal 2004.

Nel video in mostra, Apparition II, una madre e un bambino sono mostrati nella loro vita quotidiana e il trattamento formale delle immagini serve a rivelare la magia che la realtà può comunicare. Una madre nasconde il suo bambino coprendolo con un cappotto nero su di un marciapiede. I loro movimenti, sottolineati da bande nere che si allungano sullo schermo, richiamano una cerimonia religiosa d’iniziazione.

Il linguaggio preferito da Chrischa Venus Oswald è quello della performance. Nella sua ricerca mette a fuoco da un lato le problematiche relative alla condizione umana e dall’altro i codici di comportamento e l’identità dell’individuo nel rapporto con la società nel suo complesso. In mostra possiamo vedere Mother Tongue, un’installazione video a due canali nella quale è lei stessa protagonista insieme a sua madre. L’opera riguarda il rapporto molto speciale tra madre e figlia e il recupero del nostro patrimonio animale.

I gatti e gli altri animali leccano i volti e i corpi dei loro figli e i piccoli, a loro volta, i volti e i corpi del genitore per dimostrare il loro amore e anche per una sorta di rituale di pulizia. Un rituale che sancisce anche un legame. Inoltre il gatto è una creatura spesso associata alla donna e alla maternità nel mito, nei racconti e in generale nel nostro immaginario.

All’artista interessa sapere che cosa succede se questo comportamento è trasferito nel mondo umano. Poiché nella nostra società leccare ha una connotazione sessuale, ci sembra strano e forse quasi incestuoso ciò che è fondamentalmente un atto di purificazione. Noi supponiamo che ci sia qualcosa di sbagliato perché la società influenza e limita il nostro pensiero e il nostro comportamento.

Partendo da una collezione di cimeli di famiglia, il lavoro di Jenna Pippett cerca di creare un legame con il passato ri-immaginando degli eventi e delle situazioni della propria storia famigliare. Alla fine degli anni '60, sua nonna, suo nonno e sua madre (di 4 anni) si trasferirono in Australia fuggendo dalla Cecoslovacchia.

Interessata a comprendere la vita e le circostanze della propria storia famigliare, l’artista ha raccolto informazioni e racconti nel corso degli anni, e attraverso un processo di manipolazione digitale mette in gioco nei suoi lavori l’atto del ricordare, creando nuovi scenari . Gli interventi spesso basati su delle alterazioni delle immagini originali, sono divertenti e ironici ma rimangono tuttavia rispettosi nella consapevolezza del valore di questi cimeli. Alterare e giocare con i ricordi, la conduce a creare modi nuovi e intercambiabili di visualizzazione degli eventi del passato.

Nel lavoro in mostra Mother Mask 1&2, l’artista mostra in loop tre generazioni di donne della sua famiglia, la nonna, la madre e lei stessa e, attraverso un processo di manipolazione digitale, che combina video e immagini, crea dei ritratti in 3D. Il titolo riprende la frase o pensiero comune "tu hai gli occhi di tua madre" riflettendo su ciò che viene tramandato di generazione in generazione, che si tratti di caratteristiche genetiche o aneddoti.

Le parole hanno un ruolo centrale nella ricerca artistica di Karen Trask che è attratta dalla loro natura effimera e transitoria. Giocando con testi e forme narrative di vario genere, tratta i temi dell’assenza, della presenza, della memoria, dello spazio e del tempo.

Le sue ultime opere sono spesso forme ibride fra installazione, scultura, video, performance e libro d'artista. Nel video in mostra, Mothertext, l’artista cerca di dare un significato alla perdita di una persona cara, e di reinventare un rapporto madre-figlia aldilà del sentimento di mancanza e di dolore vissuti durante l’infanzia. Una presenza fisica reale è data dalle parole, parole sospese nello spazio, parole scritte sulla neve, parole che galleggiano nel latte e che col tempo si trasformano. Lo spazio vuoto, il silenzio e il candore dei materiali - il latte, la neve e la carta- sono usati come metafora per dare concretezza alla presenza di “un’assenza”.

Inaugurazione sabato 16 maggio 2015, ore 19.30

Muratcentoventidue-Artecontemporanea
Via G. Murat 122/b – Bari
Orario di apertura dal martedì al sabato, dalle 17.30 alle 20.30
ingresso libero

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