Palacongressi d'Abruzzo
Montesilvano (PE)
Via Moro Aldo
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Mediterraneo capovolto
dal 18/5/2005 al 21/5/2005
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18/5/2005

Mediterraneo capovolto

Palacongressi d'Abruzzo, Montesilvano (PE)

Fotografia, video, film documentari. La mostra vuole raccontare luoghi, tentare una loro rappresentazione ma anche definire una loro immagine mentale attraverso opere che li caratterizzano come rappresentativi di tematiche sovrapposte: la servitu' militare, l'immigrazione, la forma urbana, il diritto di cittadinanza, gli attraversamenti e le minoranze etniche.


comunicato stampa

Luoghi e immagini del contemporaneo. Fotografia, video, film documentari

Nell’ambito della biennale del paesaggio mediterraneo

Organizzata da Acma - Centro di Architettura + Provincia di Pescara

Storicamente non è mai stato possibile considerare il Mediterraneo come un insieme omogeneo e coerente. E certamente non lo è oggi, se teniamo conto delle differenze esistenti tra i Paesi che si affacciano alle sue diverse sponde, delle fratture e delle tensioni che lo attraversano, dei conflitti che lo lacerano: dalla Palestina al Libano, da Cipro al Maghreb fino alla ex Jugoslavia. Mare tra terre diverse, divise, ‘mare di mezzo’ che ha comunque sempre invitato, nel confronto tra coste opposte, al suo stesso superamento. Non a caso Braudel parlava del Mediterraneo come di “un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro”, come un sistema di circolazione che oggi trova nelle rotte delle nuove migrazioni una mappa di relazioni che ne pongono un senso nuovo e sollecitano una progettualità politica per l’intera area, anche nell’ambito dei processi di allargamento della comunità europea. Ospiti spesso sgraditi, gli ‘altri’ che arrivano dal mare con il loro carico di drammi e di sogni che ne hanno motivato e accompagnato la fuga, riaffermano il nostro appartenere ad un “luogo impossibilitato a chiudersi”, al nostro essere, nell’epoca della globalizzazione, una società ancor più di ieri aperta e di frontiera.

Per questo, guardare al Mediterraneo per descrivere i fenomeni in atto e le trasformazioni che ne interessano il paesaggio richiede più che mai l’abbandono di una prospettiva forte e rassicurante, per così dire “continentale”, per aprirsi piuttosto ad uno sguardo mobile, capace di mettere in relazione punti discontinui e apparentemente isolati, distanti.

È questo l’orizzonte nel quale si colloca Mediterraneo capovolto, che vuole descrivere e indicare le modificazioni in atto piuttosto che spiegarle, aprire a nuove domande più che proporre risposte. E, sin dal titolo, vuole alludere appunto alla necessità di muovere lo sguardo in un tentativo – non esaustivo – di descrizione di un paesaggio, quello Mediterraneo appunto, per eccellenza “fluido”; un paesaggio a cui si attribuiscono in questo contesto forti connotazioni ‘fisiche’. È da qui che, non solo metaforicamente, si guarda verso le rive che lo lambiscono, e non viceversa, nel tentativo di definirne un nuovo immaginario sganciato dagli stereotipi che il Mediterraneo storicamente si trascina.

E per descrivere un ‘paesaggio mobile’ si è ricorso alla scelta di diversi medium: se il metodo che si utilizza nella descrizione diventa altrettanto importante che il paesaggio descritto, è allora fondamentale il punto di vista che si vuole adottare per cercare di individuare una traccia di letture possibili di un paesaggio estrapolato alla vera esperienza dello spazio attraverso uno spazio temporalizzato. Per mezzo della scrittura visiva – fotografica, video e film-documentaria – Mediterraneo capovolto vuole raccontare luoghi: luoghi attraversati, vissuti, abitati. Vuole tentare una loro rappresentazione ma anche definire una loro immagine mentale, arrivare a un’immagine di forma fluente in un continuo passaggio dall’interno all’esterno, nel racconto, da una dimensione locale a una estensione globale.

Con ciò non si vuole proporre una semplice mappatura delle pratiche artistiche presenti nell’area mediterranea né tanto meno indicare una linea unitaria di lettura. L’iniziativa si articola piuttosto attorno a diverse tematiche in cui i normali rapporti tra economia, arte, politica e cultura sono sottoposti ad una revisione dovuta alle particolari condizioni che connotano oggi quest’area, affermando, al contempo, la necessità di nuove modalità di rappresentazione che contribuiscano a generare, appunto, un nuovo immaginario e una nuova iconografia. Il percorso espositivo si basa su questi presupposti ed è stato pensato come un susseguirsi di stanze tematiche. Come una nave in cerca della rotta abbiamo navigato tra i nodi del web per individuare i flussi di pensiero e di pratiche di autori che superano i confini saldi di un territorio scoprendo interstizi, maglie labili che scardinano qualsiasi sistema. Partendo dai margini di questo mare-stato, senza passaporto fisico ma con infiniti passaporti mentali, abbiamo iniziato il nostro viaggio nel Mediterraneo, scegliendo di presentare una costellazione di opere che caratterizzano i luoghi immaginati come rappresentativi di tematiche sovrapposte, realtà sommerse e invisibili per quanto prossime: la servitù militare (le esercitazioni militari NATO in Sardegna), l’immigrazione legale-illegale (Lampedusa, Ceuta, Maghreb, Rimini), la forma urbana (Genova), il diritto di cittadinanza (Palestina), gli attraversamenti(Belgrado-Sarajevo) e le minoranze etniche (Rom).

Artisti invitati:

Marco Bertozzi – “Rimini Lampedusa Italia” (film documentario, 78’)
La comunità di pescatori lampedusani a Rimini è il fulcro narrativo di questo documentario e l’occasione per raccontare attività e tradizioni “antiche” che sopravvivono in quel luogo del non-lavoro, del divertimento che è Rimini, ma anche storie di migrazioni antiche (da Lampedusa a Rimini) e moderne (dal Nord Africa a Lampedusa) e complicati tentativi di integrazione.

Marco Bertozzi (Bologna 1963), realizza documentari sui temi dell’immaginario urbano e delle identità culturali. Dottore di ricerca in Storia e filologia del cinema (Università di Bologna e di Paris VIII), ha insegnato ''Cinematografia documentaria'' al DAMS di Roma Tre e “Storia del cinema documentario” al Centro Sperimentale di Cinematografia. Socio fondatore di DOC/IT, l’Associazione dei Documentaristi Italiani, è autore di saggi sul cinema documentario e sulle relazioni fra il cinema e la città, fra i quali, recentemente, ''L’immaginario urbano nel cinema delle origini. La veduta Lumière''(CLUEB, 2001); ''L’occhio e la pietra. Il cinema, una cultura urbana'' (Lindau, 2003); ''L’idea documentaria. Altri sguardi dal cinema italiano'' (a cura di, Lindau, 2003).

Francesco Cocco – “Ceuta. L’ultima frontiera del sogno europeo”
La città di Ceuta rappresenta oggi, insieme allo Stretto di Gibilterra, un importante punto di passaggio per gli immigrati clandestini provenienti dai paesi africani e dalla Turchia. Ceuta è l’ultima frontiera meridionale tra l’Europa e l’Africa, il luogo dove migliaia di immigrati africani si raggruppano per raggiungere il sogno europeo. Tra l’enclave e Algeciras, punto di approdo della penisola iberica, per i trafficanti di immigrati clandestini rimane solo una pericolosa frontiera naturale: lo Stretto di Gibilterra.

Francesco Cocco (Recanati 1960), ha iniziato l’attività di fotografo nel 1989. Le sue immagini raccontano il disagio di persone che vivono e sopravvivono ai margini della società. Le sue foto sono state pubblicate su riviste nazionali e internazionali, nonché esposte in mostre collettive. Nel 2000, nell’ambito del progetto educativo “Semi di pace”, finanziato dalla “Missione arcobaleno”, ha realizzato a Mitrovica, in Kosovo, un lavoro di documentazione delle condizioni di vita dei civili dopo la guerra. Dal 2003 il fotografo sta lavorando, in collaborazione di Medici Senza Frontiere, a un progetto sull’immigrazione in Italia. Nello stesso anno entra a far parte dell’agenzia Contrasto.

Bruno Cogez – La route Belgrade/Sarajevo: “Bienvenue en Enfer”
Tutto comincia con un viaggio. Arrivato questa notte a Belgrado. Bucarest è già lontana. Prendiamo l'autobus. Destinazione: Sarajevo. Attraversare le vecchie zone franche. Sentire la guerra. Sentirsi spettatore. Ricordarsi di essere stato spettatore degli anni durante l’assedio di Sarajevo. Le stimmate della guerra sono tuttora presenti. Case incendiate. Case bombardate. Paesaggi inquietanti senza persone. Il bus prende le strade controllate dai Serbi di Bosnia. Non entra a Sarajevo. Gira attorno alla città. Si distingue in lontananza il biancore delle lastre tombali di pietra delle cimitero della guerra. Destinazione: la stazione dalla parte serba di Sarajevo. Poi un tram.

Bruno Cogez (Bucarest 1974), dopo i viaggi attraverso l’Africa dell’ovest tra il 1994 e il 1998, presenta la sua prima esposizione “Identités entrevues” a Parigi nel 1999 e organizza un dibattito sulla fotografia sociale, riunendo i principali autori del momento. Professore di Storia Contemporanea inizia a insegnare nel 1999 al liceo francese di Bucarest. Nel 2002 lascia l’insegnamento per la fotografia free-lance e diventa corrispondente da Bucarest per la stampa francese. Sue fotografie sono pubblicate su Le Monde, Capital, La Croix. Bruno Cogez realizza tra il 2001 e il 2003 una ricerca fotografica sugli ebrei di Romania che ha presentato per il progetto Cultura 2000 sulla cultura yiddish in Europa centrale. Attento alle problematiche della transizione a Est, propone diverse mostre a Bucarest, Budapest, Bruxelles e Parigi. Gli viene assegnata la borsa Talento photographie.com/Kodak; è segnalato al premio AIDDA della fotografia sociale e documentaria. Si associa con Martin Fejer e nel 2004 fonda il Collettivo Est

Andrea Dapueto – “Palestina. Tra gli ulivi e le pietre”
Andrea Dapueto racconta la quotidianità nei territori occupati palestinesi attraverso il medium fotografico con un linguaggio espressivo forte, sia in bianconero che a colori. Per Dapueto la persona è l’attore protagonista della storia calata nel paesaggio urbano distrutto delle città di Gaza e Jenin. Macerie di edifici e macerie mentali affliggono la popolazione civile, i più deboli - donne, vecchi e bambini - che subiscono il conflitto politico-terroristico perpetrato ai loro danni condizionandone fortemente abitudini e modi di vita.

Andrea Dapueto (Rapallo 1968), è fotografo freelance attento alle tematiche sociali. Nel 1999 vive a Londra e nel 2000 a Cophenagen per affinare la sua esperienza fotografica. Nel 2001 intraprende il viaggio in Afghanistan seguito nell’anno successivo dal viaggio nei Territori Palestinesi. Ha incentrato la sua ricerca su diversi ambiti geo-politici lavorando sull’Afghanistan, la Palestina, la Lettonia, l’America Latina, l’India. Nel 2004 collabora al progetto in progress “Focus on Monferrato” con Bob Sacha, Ivo Saglietti, Stanley Green; è invitato a Vercelli alla rassegna “Fotografia e Guerra” a cura di Laura Manione, dove presenta la sua ricerca fotografica. Nello stesso anno partecipa all’esposizione “Genova del saper fare” a cura di Paride Rugafiori nell’ambito delle celebrazioni su ‘Genova 2004-Capitale Europea della Cultura’.

Ad van Denderen - “Go No Go”
Per 13 anni Ad van Denderen ha viaggiato attraverso i confini del trattato di Schengen fotografando i migranti che entrano ed escono dall’Europa. La sua intenzione è dare un volto ad un popolo anonimo. L’immagine dei rifugiati che abbandonano la casa e il luogo d’origine non viene scoperta da van Denderen solo negli angoli più lontani dei confini europei, ma proprio in quei luoghi e vie di comunicazioni familiari: Italia, Spagna, Polonia e Grecia fino al nord della Francia nei pressi dell’Eurotunnel. Moderni nomadi, cosa si aspettano di trovare in Europa? Qual è la risposta dell’Europa al problema dell’immigrazione?

Ad van Denderen (Zeist-NL 1943) fotografo freelance attento al reportage sociale, inizia il suo percorso nel 1987 con “Welkom in South Africa” sul tema della separazione razziale e dieci anni dopo in “Peace in the Holy land” tratta il tema del conflitto israeliano-palestinese. La stessa attenzione per il sociale è evidente nel progetto fotografico “Go No Go” che è presentato insieme a un film e un libro. Nel 2003 “Go No Go” è stato esposto a l’Image IC e al Foam di Amsterdam (NL); al Kunsthalle Wien di Vienna (A); al Club No di Sofia (BU); nel 2004 presso La Crie-Centre d’art contemporain, Rennes (F). Nel 1999 riceve il W. Eugene Smith runner-up Grant in Humanistic Photography dell’ICP (International Center of Photography) di New York; nel 2000 riceve il riconoscimento del Ministere de la Culture in Luxembourg (Centre National de l’Audiovisuel, Mosaique-program); nel 2001 riceve la Visa d’Or al ‘Festival Visa pour l’image’ di Perpignan; vince il CARE-International Award voluto da dieci organizzazioni umanitarie. Nel 2003 pubblica il libro “Go No Go. The frontiers of Europe” (Paradox, Edam).

Maria Papadimitriou - “TAMA”
TAMA è realizzato in Avliza, a 10 Km ad ovest di Atene dove le popolazioni nomadi rumene provenienti dal nord della Grecia usano quest’area come fosse un pied a terre. Il luogo in sé è una ‘città/mobile’ fatta di case temporanee. Paesaggio, vestiti, interni, edifici non finiti, auto, strade, cielo, gente. L’artista greca ha iniziato a frequentare ogni giorno Avliza, innescando un processo di relazioni umane con i nomadi. Così ha strutturato un network di relazioni e scambio tra gli abitanti della comunità, se stessa, il mondo dell’arte e la gente. In breve tempo ha lanciato il progetto TAMA (Temporary Autonomous Museum for All). Il lavoro della Papadimitriou è basato su casi critici ed utopici che riescono a interpretare un nuovo rapporto fra l'arte e l’attivismo sociale.

Maria Papadimitriou (Atene 1957), vive e lavora a Volos, Atene. Ha studiato all’Ecole Nationale des Beaux Arts di Parigi. Insegna al Dipartimento di Architettura dell’Università di Thessalia (Grecia). Nel 2001 viene invitata all’esposizione “New Trends in International Photography”al Chicago Atheneum Museum of Architecture and Design. Nel 2002 partecipa alla Biennale di Sao Paolo in Brasile e a Manifesta 4 in Germania. Nel 2003 vince il Premio per l’Arte Contemporanea Greca indetto dalla Fondazione Desde. Attiva nel campo della fotografia partecipa a importanti esposizioni personali e collettive,.in Grecia e all’estero tra le quali: “Temporary Office” alla Fondazione Olivetti a Roma nel 2004, ”We’ll meet again” al Museo Reina Sofia a Madrid, “Playgrounds and Toys for Children”, Lobby of the United Nations Building, New York; “Kazino” alla Galleria d’arte contemporanea di Atene.

Enrico Pitzianti - ”Piccola Pesca” (film documentario, 80’)
Il documentario ripercorre la storia di un’espropriazione: il Basso Sulcis è una zona della Sardegna meridionale dove 50 anni fa sono stati espropriati 8000 ettari di terra per realizzare il poligono militare di Capo Teulada. L'isola è stata considerata come ''una portaerei gigante che non si può affondare'' e il territorio è stato militarizzato approfittando del fatto che fosse poco abitato. I pescatori del basso Sulcis sono stati estromessi dal mare una volta così pescoso, ma, se prima il divieto di pesca era solo durante le esercitazioni NATO, dal 1997 le restrizioni sono diventate ancora più severe.

Enrico Pitzianti (Cagliari 1961), dopo la laurea in giurisprudenza ottenuta presso l'Università di Cagliari si è trasferito a New York ed ha frequentato la New York Film Academy. Il suo primo film lungometraggio di finzione ''TUTTO TORNA'' è stato riconosciuto film di rilevante interesse culturale nazionale (ex art.8.) Filmografia: “Il guardiano” (1998) con il quale vince il Premio qualità del Ministero Beni e Attività Culturali; “Il gobbo” (2000) miglior film a Lavori in Corto di Napoli; “L’ultima corsa” (2002) premio speciale della giuria al Torino Film Festival; “Un anno sotto terra” (2003) Premio Libero Bizzarri 2004; “Piccola pesca” (2004) ha ottenuto ottimi consensi dalla critica.

Filippo Romano – “Domino Genova”
Procede per frammenti lo storyboard in forma di trittici di Filippo Romano, dove ampi paesaggi notturni e diurni e close-up di volti, androni di palazzi e dettagli di cose e persone mettono in scena un diario di viaggio che tiene insieme diverse scale dell’osservazione urbana. In questa geografia di frammenti codificabili ovunque risaltano i ‘ritratti’ degli androni genovesi come variabile di una formula apparentemente applicabile ad ogni città. Scale, ingressi, piante, corrimano, cassette postali, ascensori: un abaco ritratto nell’interspazio che divide la vita sociale di Genova dall'intimità delle sue case.

Filippo Romano vive e lavora a Milano. Fotografo free-lance formatosi all’I.C.P. (International Center of Photography) di New York - città dove ha vissuto dal 1998 al 2003, si occupa di documentarismo e di architettura. Ha collaborato con la casa editrice Skirà alla monografia su Ignazio Gardella (2001) e ha realizzato il progetto “Domino Genova” nell’ambito della campagna fotografica ‘Dintorni dello sguardo due’, curata da S. Boeri e F. Jodice, (2001). Sue immagini sono apparse su Abitare, Dwell Magazine (USA), Archis, Diario, Alias, Faz (Frankfurth Algmeine Zeitung) e Vanity Fair Italia. Ha esposto nella mostra collettiva “Intorno ai 35” all’interno del Festival della Fotografia di Roma nel maggio 2003, al Festival of Light di Buenos Aires nell’agosto 2004, e nel gennaio 2005 ha preso parte alla Biennale di Fotografia di Guangzhou in Cina .Dal dicembre 2003 è membro del collettivo francese Tangophoto.

Stateless Nation – “Sul confine”
E’ nella pianificazione del territorio, più che in qualsiasi altro contesto, religioso, politico o economico, che le differenti strategie e strumenti dell’occupazione israeliana appaino più chiari. La conquista e la conservazione degli spazi, nei Territori Occupati Palestinesi, sono il teatro di un conflitto quotidiano. L’installazione presenta il territorio della West Bank attraverso una nuova topografia che fa uso di tre differenti punti di osservazione: le pratiche quotidiane, le mappe mentali e le foto satellitari. Il tentativo è di restituire una lettura e un'interpretazione in grado di cogliere le conseguenze dell’occupazione. Stateless Nation è un progetto di ricerca di lungo termine e una mostra sulle frontiere della cittadinanza.

Sandi Hilal (Betlemme 1973), Architetto, svolge attività di ricerca in “transborder policies for daily life” presso l’Università di Trieste.

Alessandro Petti (Pescara 1973), Architetto, svolge attività di ricerca in urbanistica presso la l’Università di Venezia Iuav.

La mostra Stateless Nation è stata presentata: 50. Esposizione Internazionale d’Arte - Biennale di Venezia, Venezia 2004; Officina Giovani, Prato 2004; Umm Alfahem Art Gallery, Israele 2004; Bethlehem Peace Center, Palestina 2004; Birzeit University, Palestina 2004.

Xurban – “The Containment contained” (video, 2003)
Nel recente passato, per lo più tutti gli autocarri che trasportavano merci tra laTurchia e l’Iraq erano equipaggiati con speciali cisterne di acciaio (costruite appositamente per essere alloggiate sotto gli autocarri) per trasportare il carburante in Turchia, attraverso itinerari inconsueti. Fuorilegge e inutili, queste cisterne ora sono sparse lungo le autostrade come i resti di uno scambio di un’economia di classe. Il progetto sottolinea come i sistemi globalizzati di trasporto che permettono a beni di valore come il petrolio di viaggiare con una priorità elevata, mentre la priorità degli spostamenti delle persone viene contenuta. Così noi abbiamo deciso di appropriarci di un oggetto che ha percorso lunghe distanze attraverso i confini in un periodo di controllo e di contenimento.

Xurban – “The Territory Confined” (video, 2005)
La storia non viene mai meno quando guardiamo al Medio-Oriente, all’Anatolia, al Mediterraneo, al ‘centro del mondo’, comunque lo si voglia chiamare. Un tempo questo era l’intero mondo con il suo est e il suo ovest totalmente unito. Il Mediterraneo esisteva prima delle nazioni, del monoteismo e della torre di Babele ma non prima che nascesse l’agricoltura e la vita stanziale. La terra produce/restituisce frutti da tempo immemorabile e molti altri scavi archeologici devono essere ancora fatti. Noi sosteniamo che la geografia, che il “luogo” dell’indagine è molto importante quando la storia antica ha una presenza così rilevante al giorno d’oggi. Questo video è la cronaca di un viaggio che abbiamo fatto recentemente attraversando l’altopiano dell’Anatolia da est a ovest, con un’enfasi particolare per i siti del Neolitico e alla prospettiva contemporanea del suo entroterra.

Xurban
Collettivo Online/Offline nato nel 2000 si dedica all’arte e alla politica motivando/provocando discussioni teoriche/politiche. Collocato attualmente a New York e a Istanbul.

A cura di plug_in [laboratorio di architettura e arti multimediali]: Alessandro Lanzetta, Emanuele Piccardo, Luisa Siotto

Inaugurazione giovedì 19 maggio ore 18

A seguire incontro sul mediterraneo con gli artisti e i curatori

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