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Alessandro Lanzetta
dal 18/4/2007 al 29/4/2007

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18/4/2007

Alessandro Lanzetta

Studio Lipoli&Lopez, Roma

Nelle fotografie non c'e' mai un riferimento troppo esplicito, o chiaramente evidente, al luogo dove ci si trova, ma piuttosto si accenna, visivamente, con un dettaglio, a una sorta di lontana evocazione.


comunicato stampa

Litorali opachi

A cura di Viviana Gravano

Sempre più spesso le geografie del vissuto ritracciano confini e disegnano nuove aree omologhe, non in relazione alle decisioni istituzionali, ma in conseguenza di eventi politici e culturali che uniscono o separano zone, appartenenti a stati molto diversi e lontani tra loro. Senza dubbio il Mediterraneo è una dei quelle regioni che si va sempre più chiaramente delineando come uno scenario autonomo, dominato nel bene e nel male da caratteristiche sociali e antropologiche (nel senso proprio della nuova antropologia postcoloniale) di molto simili tra le sue varie parti.

Ciò che ne fa però un territorio davvero straordinario è che il legante è un mare, un elemento quindi quanto mai labile e fluido. In questa porzione d'acqua, non tanto immensa da essere insuperabile come può essere un oceano, ma abbastanza grande da poter bagnare di fatto tre continenti, si combattono guerre e si muore su vecchie carrette nella speranza di una vita diversa. Di fatto il Mediterraneo porta

tracciato su di sé uno dei confini più complessi e controversi dal XIX secolo a oggi. E non si può dimenticare che le due opposte sponde, per diversi secoli, simbolo del dominio da un lato, e dei dominati dallÊaltro, hanno costruito la fitta rete delle relazioni coloniali, sovvertite solo in tempi relativamente recenti dal postcolonialismo. Dico tutto questo per spiegare quanto mi appare complesso il lavoro che Alessandro Lanzetta sta svolgendo da tempo: fotografare diverse aree costiere mediterranee provando quasi un vago senso di spaesamento. Nelle immagini non c'è, mai un riferimento troppo esplicito, o chiaramente evidente, al luogo dove ci si trova, ma piuttosto si accenna, visivamente, con un dettaglio, a una sorta di lontana evocazione che può forse far intuire il „dove siamo, ma che insieme può anche bellamente ingannare.

Ora dire che molti luoghi si assomigliano, che cÊè una sorta di déjà-vu quando si passeggia su dei lungomare, è che a noi stessi ci viene di dire spesso „ma non ti sembra di stare, provando una medesima impressione, è fin troppo naturale e scontato. Ma nel lavoro di Alessandro, e di più nella realtà che lui attraversa, c'è una sorta di contaminazione, di ibridazione territoriale che ha fatto sì che una costa spagnola possa sembrare marocchina, così come una israeliana potrebbe sembrare siciliana. Attenzione però a non cadere nella trappola di ridare un ennesima attribuzione identitaria definitiva, a non sostituire il passaporto nazionale, con un passaporto „mediterraneo: le realtà sono più complesse. Anni di migrazione, i nostri sguardi tassonomici, catalogatori e poi conquistatori, verso quell'altrove al di là del mare, in realtà si incontravano con gli sguardi altri che osservavano noi come un altro altrove. Dopo le guerre di liberazione molti di questi paesi, e in particolare proprio le ricchissime e complesse culture costiere di Oriente vicino e d'Africa, hanno rimasticato e rielaborato una cultura postcoloniale che ora ci viene restituita in due modalità: nelle nostre stesse città, metropoli e certamente sulle nostre coste grazie alle costanti migrazioni e, in quei luoghi nei quali noi cercavamo astorici e insensati territori incontaminati. La somiglianza non è quindi nella mediterraneità intesa solo come tradizione, ma nella continua e costante rimasticazione della tradizione che tutte

queste culture hanno fatto della propria stessa mediterraneità. Per questo il lavoro di Lanzetta appare ancora più interessante, perché in questa parte di immagini scattate tanto all'Idroscalo di Ostia, come nei pressi della spiaggia di Sidone in Libano, non è mai chiaro quali siano dellÊun luogo e quali dell'altro. E il muro con la grossa scritta murale araba potrebbe essere tanto in uno dei centinaia di quartieri arabi in Europa, tanto quanto potrebbe essere a Sidone. E allora quel che conta è capire che le stesse contaminazioni, con le dovute differenze, sono visibili in ogni punto del Mediterraneo e sono anche a tratti sovrapponibili, però non solo nel senso che i luoghi sono simili, ma proprio perché i processi sono stati e sono molto simili.

Nello scambio di email che ci siamo indirizzati io e Alessandro lui mi ha scritto nella selezione ho escluso tutti i caratteri che in qualche maniera potevano identificare i luoghi. A parte alcune cose più sottili, come il mare sullo sfondo di una casa con i buchi dei proiettili limitrofa al confine del campo palestinese di Saïda „. Questa frase mi ha colpito molto perché, guardando le foto, ci ho messo un po' a individuare di quale immagine parlasse, e ho subito pensato che forse il visitatore potrebbe anche non notare il dettaglio dei fori. In questo modo magari quell'edificio vicino Saïda, nell'immaginario di quel tale visitatore sarà a Ostia, o magari in unÊaltra zona sulla costa mediterranea. Questo lavoro di Alessandro mi sembra insomma interessante perché contiene una fertile e intensa contraddizione contemporanea: da un lato definisce una certa idea di mediterraneità, che in qualche modo territorializza un'identità collettiva, anche se complessa, e nello stesso tempo confonde un luogo con l'altro, come togliendo una qualsiasi possibilità di identificazione perentoria Questa è la condizione di molte delle geografie del nostro tempo.
Viviana Gravano

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