Galleria Bianca Maria Rizzi
Milano
via Molino delle Armi, 3
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Luca Gastaldo
dal 6/2/2008 al 25/2/2008

Segnalato da

Galleria Bianca Maria Rizzi




 
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6/2/2008

Luca Gastaldo

Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano

La casa di questa mia sera. Personale. "Una pittura crepuscolare sciolta nel fondo piu' nero del bitume, solo qualche tratto di segno a ricordare i contorni e squarci di luce a illuminare l'insieme." (Cecilia Antolini)


comunicato stampa

a cura di Cecilia Antolini

“È una trasformazione in cui la forza di immaginazione collabora con la memoria per riprodurre solamente ciò che è urgente, cioè il necessario. In questo modo il proprio ricordo non è altro che l'invenzione liberata dalla tirannia della natura.”
Edward Hopper

Tu non ricordi la casa dei doganieri
Sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
E il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all’avventura
E il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi: altro tempo frastorna
La tua memoria; un filo s’addipana.
(…)
(E. Montale, da La casa dei doganieri)

Elogio dell'ombra

Una pittura crepuscolare sciolta nel fondo più nero del bitume, solo qualche tratto di segno a ricordare i contorni e squarci di luce a illuminare l’insieme. Luca Gastaldo esplora la pittura senza temere di indulgere a provocatori apparenti anacronismi che mescolano impressioni romantiche –sembra a tratti di avvertire un sapore di mistica sublime insieme alla vertigine di un misterioso disagio, concordia disarmonica che fonde e non confonde il soggetto col paesaggio– a soluzioni che condividono parziale realismo e simbolismo di certa pittura italiana del secolo scorso –quanto inattuale potrebbe essere se no quel covone di fieno?

Eppure l’esito formale è lontano da qualsiasi citazione esplicita, autonomo nella resa efficace di un’atmosfera emotiva prima che dei suoi oggetti. Guarda al tempo l’artista, nella sua dimensione di passato memore e denso di rimandi, cercando di metterne in scena l’impossibilità della ripetizione e della sintesi, che è possibile catturare forse, a volte e con un colpo di fortuna in un’immagine sfumata dietro il buio sommerso e concentrato della memoria e del bitume. Come il soggetto lirico di tanta poesia, a partire da quella di Montale di cui un verso presta il titolo qui, l’artista lascia che lo stato d’animo si trasferisca a e da gli oggetti e i paesaggi che sceglie di rappresentare, allontanando se stesso ed ogni narcisistica pretesa di intimità in favore di una visione astraente in cui altro tempo frastorna la tua memoria.

Resta il dubbio, se quel buio che scolora –e il verbo è pregnante, a ricordare che il bitume ricopre interamente ogni quadro prima che l’artista lo alleggerisca e sfumi togliendolo– ogni tela di Gastaldo sia rassegnazione decadente di fronte alla notte che avanza, solennità sentimentale alla Jacopo Ortis o forse anche pallido abbandono fiducioso all’improbabile possibilità del miracolo e della redenzione. Ricerca di un varco, in ogni caso –Il varco è qui? Come da fondamentale domanda montaliana–, attraverso cui giunga quell’illuminazione improvvisa, da magnanima divinità salvifica, che così naturalmente sembra voler riaccendere, sulle tele del giovane artista milanese, un barlume del senso delle cose. È solitudine imperante quella che domina questi paesaggi, confortata fore dal sapore vitale che viene dal sapere del ricordo, esclusivo appannaggio dell’artista, tremante percezione indistinta di chi guarda. Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

Testo Ettore Ceriani

Alcuni di noi sono come l’inchiostro
ed altri come la carta.
E se non fosse per il nero di alcuni
di noi, alcuni di noi sarebbero muti.
E se non fosse per il bianco di alcuni
di noi, alcuni di noi sarebbero ciechi

Khalil Gibran

Da tempo volevo scrivere un elogio all’ombra ed ora Luca Gastaldo, con la sua pittura così ricca di laceranti contrasti chiaroscurali, me ne offre l’opportunità. Sono consapevole di andare controcorrente poiché, di solito, ad attrarre la nostra attenzione è la luce rivelatrice, che delinea le forme, determina i colori nelle loro infinitesimali tonalità, ci introduce ogni giorno alla vita attiva. La luce è la voce della vita, l’ombra la silenziosa riflessione che l’accompagna. Quanta ombra esiste in pittura! E quanta pittura non sarebbe così espressiva se con ci fosse l’ombra! Basterebbe guardare con maggiore attenzione al millenario percorso dell’arte per accorgersene. Non si tratta di una parte secondaria, ma vitale, del processo compositivo. Risparmio un lunghissimo elenco di autori, sperando che ciò diventi motivo, per tanti appassionati, di una lettura inconsueta della storia dell’arte.
L’ombra viene spesso interpretata come umile e necessario contrappunto formale, un apporto dell’immagine, destinato ad offrire consistenza alle nervature del dettato plastico.

Non è così. E ciò nasce, probabilmente, da una lettura un po’ superficiale e contrastata della vita, dove la cesura tra positivo e negativo è spesso netta. In ciò però la cultura occidentale si differenzia notevolmente da quelle orientali nelle quali i due aspetti si integrano osmoticamente. Certo, se ci guardiamo attorno, il nostro occhio cade inevitabilmente sugli effetti finali di un lungo processo naturale. Non possiamo fare a meno di ammirare un albero con la sua imponente struttura di rami, il ricco fogliame, lo splendore di fiori e frutti, ma dell’albero sono parte insostituibili pure le radici che noi non vediamo: il seme è stato custodito ed alimentato nel buio della terra. Tanto che Khalil Gibran, anche pittore e forse il poeta che ha saputo meglio ricavare la luce dell’espressione dal magma della psiche, ha lasciato scritto: ‘La radice è un fiore che disdegna la fama’.

Ecco, l’ombra è una pausa interiore, intimità, ricerca dentro se stessi per ricavare da un silenzio fecondo le motivazioni necessarie a realizzare compiutamente l’idea da portare alla luce. Giustamente Gibran fa ancora notare: ‘Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte’. L’ombra è quindi sospensione, energia mentale in cui l’istinto delle nostre necessità si apre alla libertà dell’immaginario sino a quando, appena circostanziata dalla luce, si sostanzia in una scansione.

Nei dipinti di Gastaldo la pittura è spazio indefinito poiché legato alle sollecitazioni della speculazione mentale, nelle quali si incontrano le regioni insonni della propria psiche ‘notturna’ e quelle coscienti ma problematiche di quella ‘diurna’. Sono immagini drammatiche, apparentemente cristallizzate nella incombente stabilità del chiaroscuro, ma in realtà intrinsecamente turbate, in quanto è evidente lo sforzo di tutelarle dall’oblio. Da intendersi, quest’ultimo, tanto come caotica dispersione nelle angustie del quotidiano, quanto come fuggevolezza della memoria. Diventano ancor più drammatiche, nelle loro risonanze coloristiche in forte contrapposizione, perché nascono dalla profonda, sentita consapevolezza di una realtà ineludibile. Anzi, le stesse immagini appaiono come pure tramature esistenziali, che tendono, nella loro indeterminatezza iconografica affidata all’intuizione, ad effetti psichici inquietanti, segnati da luci esaltate, a volte livide, dal forte potere evocativo e dalla provvisorietà della percezione pura.

Nella embrionale figurazione di Luca, poggiata essenzialmente su contorni e masse, da cui è esclusa ogni compiacente possibilità di descrizione, viene cercata soprattutto la rispondenza spaziale nella quale, abbandonate le incombenze del quotidiano, si integrano la crudezza consapevole della vita e l’evasione utopica. Quest’ultima (il cielo, le fughe della prospettiva, i laceranti squarci di luce) appare raffigurata vigorosamente e segnata da acuti contrasti che vibrano di una aggressività immediata, tesa a far presa psichicamente. Sono piccoli frammenti che evocano paesaggi più ampi, fantastici, cosmologici, rivelati in un attimo e destinati a svanire immediatamente, risultando perciò dolorosamente suggestivi.

Le visioni di Gastaldo vengono depositate in immagini, nel senso più etimologico di forme tratte dal profondo, fatte di luce e di tenebra, ma sempre di evidenza unica e folgorante. In queste evidenze, fatte di silenzio e di stupore, i luoghi della terrestrità, della natura, dell’esistenza sfiorano l’altro, sembrano farlo partecipe dei propri dubbi e dei propri desideri, assumendo valori emotivi, di tensione addirittura espressionista. In tale condensazione emblematica del dettato cromatico, in atto di emergere dall’oblio, risulta evidente una concitazione romantica (Gericault), non priva di accenti simbolici ed investita da un’idea della immagine pittorica come abbacinata coagulazione di forme entro una vibrazione luminosa. Una germinazione di luce che a volte dissolve la leggibilità delle apparizioni, altre invece le rafforza in una strana mistura di naturalità atmosferica e di misteriosa energia pulsante che genera le visioni stesse come psicofanie.

Allora si comprende che quello di Luca non è uno sguardo sul mondo, ma un’immersione profonda nel dilemma sostanziale della vita attraverso immagini che la luce sfiocca e precisa, ravvicina ed allontana, nella diversa consistenza degli strati di colore, in superficie e in trasparenza, dando voce ad una silenziosa danza di forme interiori. Baltasar Graciàn, pensatore e saggista spagnolo, ha lasciato scritto: ‘Nessuno può essere padrone di sé, se prima non si conosce’.
Ettore Ceriani

Inaugurazione Giovedì 7 febbraio dalle 18 alle 22

Galleria Bianca Maria Rizzi
via Molino delle Armi, 3 - Milano
Ingresso libero

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