Studio TiEpolo 38
Roma
via G.B. Tiepolo, 38
335 8310878, 328 0603929
WEB
Stefano Iraci
dal 2/12/2009 al 15/1/2010
mart-ven 16-20

Segnalato da

Elena Tarantini



approfondimenti

Stefano Iraci



 
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2/12/2009

Stefano Iraci

Studio TiEpolo 38, Roma

In mostra un'installazione multimediale con un libro/diario che contiene diverse voci che si fondono insieme, e dipinti recenti di grande formato.


comunicato stampa

La nuova mostra personale di Stefano Iraci alla Galleria Tiepolo 38 è un’ esperienza totalizzante che si discosta dal rapporto osservatore – opera. Ce ne rendiamo conto ancora prima di entrare nella galleria: un libro ci accoglie presentandoci delle riflessioni semplici ed essenziali sulla natura dello spirito - lo spirito come ''unica entità che rimane al di là della morte e della materia''. Il libro sembra un tipico diario in cui l’artista racconta dei viaggi che è abituato a fare in tutto il mondo per poi elaborarne le conseguenze nelle opere. Ma presto ci accorgiamo che siamo noi visitatori ad essere ora invitati a intraprendere un viaggio mentale. Oltre che dalla scrittura siamo accolti da suoni, suoni che con il loro ritmo regolare indicano il pulsare della vita. Sono suoni indistinti, non riusciamo a capire di che si tratti – solo dopo un po' si percepiscono le parole “sullo spirito”, pronunciate da una voce di uomo e da una voce di bambina, sono parole che tradiscono una dimensione privata, intima. Le due voci singole si fondono e si compenetrano, fino a determinare un ritmo complesso che altro no è se non il ritmo della vita. Con questi due elementi, scrittura e suono, entriamo dentro un mondo simile a quello della “ricostruzione dell’universo” voluta dai futuristi, che include tutti i nostri sensi e i diversi ambiti della nostra vita. Gli universi si compongono nei recenti dipinti di grande formato. Rispetto alla precedente produzione il lessico formale di Stefano Iraci si è notevolmente semplificato. Sembra ciò avvenga per la volontà di porci davanti a problematiche di una netta essenzialità: semplicissimi barre e segni primitivi, provenienti forse da un mondo infantile, formano dei globi. L’oro come colore trascendentale si alterna al rosso, il colore del sangue.

L’artista, fedele ai principi della propria precedente produzione, rimanda all’organismo umano, la cui vulnerabilità giocosamente ci mostra. Potremmo anche trovarci davanti a ferite suturate, dai punti ben visibili. L’immagine è di un’estrema ambiguità: la composizione, dai colori vivaci e semplici e con quelle forme che per la loro essenzialità potrebbero essere opera di un bambino, se da un lato ci trasmette allegria e una visione positiva della realtà, dall’altro ci mette davanti ad un mondo che è chiaramente ferito in modo pesante, e non sappiamo se le suture basteranno a salvarlo. Che nell’universo dell’artista l’ottimismo prenda il sopravvento, lo capiamo dai pianeti tridimensionali. Questi globi luminosi, nel caldo colore dell’oro e con le loro forme intrecciate, alludono giocosamente all’origine dell’artista che convive a Roma con una notevole eredità barocca. Ma il riferimento a quel mondo non è solo formale, con l’allegria e lo splendore dell'oro l’artista rispecchia anche la sontuosità dell’arte e della voglia di vivere di quell’epoca. Il linguaggio rimane però, paradossalmente, arcaico ed essenziale. E infatti l’artista si addentra anche qui in riflessioni esistenziali: la prima opera di questa serie, ΠΝΕΥΜΑ, una stele, parte infatti da considerazioni legate ad un autoritratto vuoto, o pieno del proprio spirito, del soffio vitale di aristotelica memoria, che permea ogni elemento del nostro universo. Il concetto aristotelico rimanda alle forze elementari aria e terra.

Queste teste, in tutto il loro splendore, assumono ora una dimensione minacciosa diventando delle testate, dei missili. Anche qui troviamo dunque il motivo della trasformazione, che ricorre spesso nell'opera di Stefano Iraci. Gli alberi sottili, verticalmente disposti, suscitano a prima vista sensazioni positive: evocano fronde attraverso le quali si vedono le stelle, o alberi da frutta, o fuochi d’artificio; ma per il loro stagliarsi su fondi totalmente bui, dalle iniziali sfumature serene queste figure si trasformano, assumendo presto i contorni di micidiali esplosioni. Un altro motivo che Stefano Iraci coniuga in varie dimensioni è quello delle capsule. Quando appaiono espresse in forma tridimensionale cogliamo in esse un senso giocoso, sembrano giocattoli smontabili, oggetti da raccogliere nella propria “Wunderkammer”. Contemporaneamente, soprattutto se viste in serie, si presentano però come munizioni belliche, o munizioni medicinali per ''pazienti'' (noi tutti? l'intera umanità?) abituati ad inghiottirne una quantità sufficiente a far scoprire nuove dimensioni e universi paralleli. Universi come quelli che ci offrono i pianeti d'oro, che con delle saldature somiglianti a cicatrici tradiscono la loro natura di mondi ricomposti. Nell'opera LUCE DIVINA sono riassunte tutte le considerazioni recenti di Stefano Iraci. Ricollegandosi alla tradizione si accosta alla forma del polittico tipica di molti capolavori dell’arte sacra nei secoli, con la rappresentazione dei suoi misteri, sostenuti da DOGMI, da scritture, ma lascia alla nostra fantasia il compito di ricomporre l’immagine, ambientata ora in una diversa spiritualità.

Inaugurazione 3 dicembre ore 18.30

Studio TiEpolo 38
via G.B. Tiepolo, 38 - Roma
Orari: mart-ven 16-20
Ingresso libero

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