Emmeotto
Roma
via Margutta, 8
06 3216540 FAX 06 3217155
WEB
Monumental Africa
dal 2/12/2009 al 29/1/2010
mart-sab 11-14 e 15-20

Segnalato da

Scarlett Matassi




 
calendario eventi  :: 




2/12/2009

Monumental Africa

Emmeotto, Roma

Emmeotto presenta i maggiori lavori di alcuni artisti dell'Africa contemporanea: Amedekpemouleou, Mikidadi Bush, Seni Camara, Dago, John Goba, Almighty God, Lilanga, Lonaa, Onyango, Paa Joe, Cyprien Tokoudagba...


comunicato stampa

a cura di Enrico Mascelloni

Monumental Africa, la mostra che si inaugura giovedì 3 dicembre da Emmeotto, presenta i maggiori lavori di alcuni tra i più noti artisti dell’Africa contemporanea: Amedekpemouleou, Mikidadi Bush, Seni Camara, Dago, John Goba, Almighty God, Lilanga, Lonaa, Onyango, Paa Joe, Cyprien Tokoudagba, Peter Wanjau.

Con l’autunno arriva a Roma l’arte contemporanea africana, un’arte che, senza rinnegare il patrimonio culturale della propria tradizione, appare però oramai totalmente affrancata da quelle tipologie tribali ancora da molti ritenute l’unico linguaggio visivo prodotto nel più misconosciuto dei continenti. Promossi e valorizzati a Parigi, Berlino e, più faticosamente, a Londra e Milano, a Roma gli artisti contemporanei africani non hanno ancora trovato accoglienza. Ora due mostre cercano di recuperare il tempo perduto. La prima, Africa? Una nuova storia, è stata inaugurata al Complesso del Vittoriano il 18 novembre, la seconda, Monumental Africa, sarà ospitata dalla galleria Emmeotto a partire da giovedì 3 dicembre.
Entrambi costruite come antologie dell’arte prodotta in Africa nell’ultimo ventennio, le due rassegne si completano vicendevolmente. Lo dimostra la presenza di soli tre artisti in comune (Seni Camara, Gorge Lilanga, Richard Onyango) in un contesto che propone, sia al Vittoriano che nella galleria di Via Margutta, i nomi di protagonisti assoluti dell’attuale scena artistica africana.

Più in particolare, Monumental Africa illustra l’importanza della partecipazione italiana a quella straordinaria avventura moderna che è stata la scoperta da parte dell’occidente della nuova arte africana. Una vicenda iniziata col primo viaggio di Sarenco in Kenya, nel 1982. In quell’occasione l’artista bresciano, uno dei più radicali esponenti della ricerca poetico-visiva contemporanea, si imbatte nei lavori di Richard Onyango e decide di cominciare ad occuparsi di arte contemporanea africana. Attorno a lui si costituisce il gruppo Malindi Artist’s Proof, protagonista di mostre in Italia, Germania, Francia. In seguito, il suo interesse si estende a stati africani ancora largamente inesplorati e sconosciuti agli studiosi e ai mercanti di Parigi e Londra che, nel frattempo, hanno scoperto gli artisti della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Africa. Di questo stiamo infatti parlando: una nuova esplorazione del continente africano condotta attraverso la ricognizione della sua cultura visiva. Un’avventura intellettualmente esaltante che solo per un ristretto manipolo di appassionati si trasforma in faticosa ricerca sul territorio. Tra loro, oltre al già citato Sarenco e al francese Andrè Magnin, anche un altro italiano, Enrico Mascelloni, curatore della mostra di Emmeotto. Nel momento in cui gli artisti subsahariani si affermano con successo nel milieu internazionale dell’arte contemporanea, solo Mascelloni, Sarenco e Magnin possono dire di aver cercato e di continuare a cercare, scoprire e scegliere l’arte africana direttamente sul campo. Spiega Enrico Mascelloni: “ ho personalmente commissionato molte delle opere presenti in mostra e largamente frequentato tutti gli artisti selezionati, tutti ad eccezione della misteriosa Amédékpémouléou”.

E misteriosa Amedékpémouléou (Togo) lo è realmente. Pochissimi gli occidentali che sono riusciti a raggiungerla. Se ancora viva, dovrebbe essere prossima ai novanta anni. Realizza su commissione piccole figure femminili modellate in terracotta destinate all’arredo degli altari votivi vodon.

Tra le opere selezionate da Mascelloni, quelle di Amedékpémouléou sono le uniche di piccolo formato, per il resto prevalgono le grandi dimensioni e, in tutte, un carattere pubblico che giustifica il riferimento alla monumentalità presente nel titolo. In assenza di un collezionismo locale legato ad un mercato dell’arte di tipo moderno, gli artisti africani operano come quelli della nostra tradizione rinascimentale. Le loro opere nascono dietro richiesta di un committente in un contesto – spesso di botteghe con un maestro e i suoi assistenti – in cui il confine tra arte ed alto artigianato è labile. Scrive Sarenco: “L’arte africana contemporanea eredita i nodi mai completamente sciolti dell’estetica europea, in primis la questione arte-artigianato” . L’interesse dei critici e del mercato occidentale è stato vissuto in Africa come l’arrivo di una nuova committenza che ha portato soldi, innovazioni tecniche ed idee. Dal punto di vista di Paa Joe (Ghana), fa assolutamente lo stesso che le sue straordinarie bare-scultura siano utilizzate per la sepoltura di qualche ricco possidente locale o vadano a finire in un museo di Parigi o Berlino.
La maggior parte degli artisti in mostra colpisce per il carattere di brillante mediazione tra stili e contenuti tradizionali e influenze dell’arte occidentale. Di ognuno di loro si è cercato di proporre una o più opere di assoluta rilevanza.

Untitled 1999 del tanzanese Lilanga – il più celebrato tra gli artisti contemporanei africani - è l’opera capostipite di un ciclo sull’idea di città in seguito ampiamente sviluppato e che grande fortuna ha incontrato sul mercato internazionale. L’African Pope di Peter Wanjau è uno dei capolavori dell’artista-sindacalista keniota. Questo sgargiante acrilico su tela, concepito quando la stella di Obama era ancora lontana a venire, era stato fortemente richiesto da Harald Szeeman per la Biennale di Venezia del 2000, ma non arrivò in tempo, cosicché la mostra di Emmeotto costituisce per il pubblico italiano l’occasione per poterla finalmente vedere.

Euridice, l’imponente tavola realizzata da Almighty God alla fine degli anni ’90, è l’opera di maggiori dimensioni realizzata dall’artista, nonché uno di quei quadri speciali che egli dipinge interamente di sua mano, non avvalendosi dell’aiuto dei circa venti assistenti che affollano il suo studio di Kumasi, la Garden City del Ghana. La Bara Barile di Paa Joe (Ghana), opera curiosa e affascinante, è ciò che dichiara di essere: un grande barile di petrolio che al suo interno nasconde un sontuoso alloggio per defunti. La leggenda vuole che l’artista scolpisse il primo esemplare per la sepoltura di un facoltoso proprietario di pompe di benzina.

In mostra sono anche presenti importanti sculture della senegalese Seni Camara. La colleganza tra l’arte della scultrice e il patrimonio spirituale e culturale della regione in cui è nata, la Casamance, è così profonda da aver indotto i ribelli nazionalisti ad irrompere nel suo studio e a distruggere tutte le opere presenti perché ritenute capaci di svelare i segreti della Casamance.

E poi tanti altri capolavori, in un panorama eclettico e multiforme in cui il denominatore comune sembra essere la propensione alla figurazione e alla narrazione della propria realtà, sia in termini di cruda o divertita rappresentazione dell’Africa contemporanea – spesso con finalità di denuncia sociale o ammonimento morale – sia in termini di rivisitazione di una cultura tradizionale ancora vivissima.
Da Emmeotto un’esplosione di colore ed energia: è l’arte contemporanea africana.

Inaugurazione: giovedì 3 dicembre dalle ore 18,00

Emmeotto
Via Margutta 8 - Roma
Orario: da martedì a sabato 11,00-14,00 15,00-20,00. Chiuso lunedì, domenica e nei giorni festivi
Ingresso libero

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