18_12_2014 - Intervista a Ek Biç Ye İç: coltivare in città nella 'vetrina Biennale'

Vai alla homepage di Telling the Istanbul Design Biennale 2014

4 di 4

Indice :

1 Interviews

2 20_11_2014 - Intervista ad Ati Suffix: le contraddizioni della Biennale e lo sguardo sulla città

3 9_12_2014 - Intervista a Kontraakt: discutere pratiche ed eventi al di là della Biennale di Design

4 18_12_2014 - Intervista a Ek Biç Ye İç: coltivare in città nella 'vetrina Biennale'


"What is the future now?"
Questa domanda è ispirata alla celebre affermazione di Paul Valery "L’avenir est comme le reste: il n’est plus ce qu’il était", o 'il futuro non è più quello di una volta'. Il dilemma che ha dato vita alla linea teorica e formale della Biennale offre il pretesto per discussioni e confronti con i designer e i professionisti sulle prospettive, il senso e la personale percezione della manifestazione.


Pochi giorni prima del mio rientro a Milano riesco ad incontrarmi con Ayça İnce, sociologa e membro chiave del progetto Ek Biç Ye İç (“Plant’n Harvest Eat’n Drink”, letteralmente 'semina, raccogli, mangia e bevi'), che presenta in Biennale un differente approccio all'agricoltura nello spazio urbano. Assieme visitiamo il piccolo spazio in Taksim prestato ai workshop aperti al pubblico, ormai smantellato, ma che mostra tracce della coltivazione idroponica di differenti ortaggi, inaugurata con l'apertura della Biennale.
L'informalità dell'incontro agevola una chiacchierata prolifica, di cui riporto una libera trascrizione.

La mia prima domanda è sull'impatto iniziale con il progetto. Mi spiego meglio: entrando nella Galata Greek School, in un angolo esterno situato al piano terra si può vedere un'alta struttura che ospita vasi pieni di piante. A cosa stiamo assistendo?

"Ciò che esposto alla Galata Greek School è la 'libreria', che raccoglie alcune delle piante coltivate nello spazio in Taksim. L'installazione è, diciamo, il 'biglietto da visita' del progetto, il cui vero corpus di attività si è svolto in città e nello spazio che stiamo vedendo. La struttura è stata lì montata in modo differente da come l'avevamo pensata, per questioni di tempo e budget, ma il succo del discorso è rimasto: mostrare concretamente i risultati della coltivazione in ambienti domestici o 'di ritaglio' dello spazio urbano, in mancanza di terreno coltivabile.
Il tutto mira a due scopi: il primo e più immediato è il mostrare come si possa, ed anzi si debba, recuperare il contatto con una attività essenziale per l'uomo come l'agricoltura, e smentire la apparente impossibilità di operare coltivazioni nell'ambiente urbanizzato; il secondo obiettivo è sollevare una riflessione nel caso specifico della città di Istanbul, una città che negli ultimi quarant'anni ha conosciuto un massivo consumo di suolo ad uso edile. In entrambi i casi, si cerca di far riflettere e coinvolgere le persone attivamente nella riappropriazione di pratiche e spazi.
L'argomento sembra vastissimo, ma in realtà il punto è molto semplice: non è straniante il pensare a come i nostri nonni si nutrissero secondo ciò che erano in grado di coltivarsi, e noi oggi ci riforniamo di ortaggi semplici come la lattuga – e anche degli aromi! - dagli scaffali dei supermercati? Siamo arrivati al punto di accogliere l'errato assunto che il passaggio dalla vita rurale alla vita urbana porti come naturale conseguenza l'abbandono dell'autonomia nel ciclo di produzione e consumo degli alimenti vegetali. Ciò è portato dall'altrettanto errata assunzione che lo spazio urbano sia inadeguato per qualsiasi attività di coltivazione e raccolto.
La nostra iniziativa dimostra concretamente che entrambe le posizioni sono false: l'ambiente urbano offre degli spazi sfruttabili per sistemi di coltivazione indoor, come l'idroponica, e la stessa attività di coltivazione influenza consistentemente la qualità dello spazio cementificato; vedere piante verdi nei terrazzi o da dietro le finestre, attivare spazi come questo, in cui persone si incontrano per 'coltivare, raccogliere, mangiare e bere' cambia drasticamente la qualità e la percezione dello spazio pubblico, e fa bene, oserei dire, anche ai meccanismi sociali."

A quanto intendo, il progetto deve la sua nascita all'appoggio della Biennale di Design, giusto?

"Indubbiamente, la Biennale di Design si è dimostrata un'occasione per realizzare una parte del progetto, che però ambisce ad un respiro e un impatto ben più vasti di quelli ottenibili in soli due mesi di manifestazione. In realtà, l'idea nasce dall'incontro con Andrew Merritt e Paul Smith di Something and Son (http://somethingandson.com/) più di un anno fa, da cui è partito anche il progetto del ristorante [attualmente in realizzazione, con ipotesi di locazione in Gümüşsuyu – .n.d.a.]. Loro sono più propriamente un collettivo artistico; operano a Londra nel 'farm shop' che hanno creato, producendo e sostenendo progetti basati sulla sperimentazione di differenti modelli di sostenibilità ambientale nei meccanismi di produzione, che nel loro concetto si lega indissolubilmente con le dinamiche in cui la società e la socialità si esprimono. In questa collaborazione abbiamo dato vita a un progetto ideale per il luogo in cui operiamo: la Turchia offre una condizione ambientale più favorevole dell'Inghilterra, il suolo è fertile e ci sono molte varietà di piante e coltivazioni. Nella loro lettura del luogo, era importante far incontrare di nuovo la gente con questa realtà, e spronarla a reintegrare nello stile di vita il piacere di produrre e consumare qualcosa che arriva dalla propria terra. Per forza di cose la sperimentazione è quindi intesa come continuativa, e non legata all'evento."

In tal senso, com'è stata la risposta dalla cittadinanza, e più in generale dal pubblico? Vi sembra si sia riusciti a 'radicare' la curiosità e la voglia di future sperimentazioni?

"Stai toccando in effetti un punto cruciale: la partecipazione del pubblico. Che dire, devo ammettere che nonostante il 'contenitore' Biennale, la continuità della presenza è stata meno ovvia di quanto pensassimo. Intendo dire, i primi giorni di apertura abbiamo avuto lo spazio in Taksim pieno, e anche nei singoli workshop urbani le persone non sono mancate [Ayca e il gruppo hanno prodotto una serie di incontri in appartamenti privati per mostrare come avviare una coltivazione casalinga di verdure semplici, come insalate e aromi; in queste occasioni si è anche molto discusso col pubblico riguardo tematiche di natura ambientale – n.d.a.]; è stato difficoltoso però avere persone spesso presenti. Se vuoi, il punto più cruciale e delicato di tutta la sperimentazione è il prendersi del tempo, dedicarsi a quello che si sta facendo: se dedichi tempo ed energie, il valore delle tue azioni e di ciò che portano a produrre si alza, e di conseguenza, apprezzi molto di più i risultati – e se vogliamo fare un'associazione mentale, diventi idealmente più complice di coloro che fanno del produrre cibo di qualità e sostenibile il loro lavoro, cioè gli agricoltori. Quel che abbiamo visto durante questa Biennale, però, è stato che la natura di 'evento' della manifestazione ha portato ad un approccio più disimpegnato da parte del pubblico, così che nei passaggi intermedi – annaffiatura, potatura, cambio del terriccio – il numero dei partecipanti è stato decisamente esiguo rispetto a chi si è presentato inizialmente per piantare i semi. Ti sorprenderà, ma io ho lavorato e anche insegnato come organizzatrice ed esperta di comunicazione, e posso dirti che capisco bene i meccanismi che hanno portato a tali esiti: tali problemi sono stati in parte dovuti al come si è comunicato il tutto, ma anche al come vengono vissute tali occasioni dal pubblico. Se si è abituati ad esperienze 'tutto e subito', ad alto tasso di intrattenimento e minima estensione temporale, sarà difficile buttarsi al cento per cento in un esperimento del genere. La parentesi Biennale indubbiamente ci ha dato la spinta e i mezzi per partire, ma il rapporto con la sua natura di evento, beh non nascondo che è stato parecchio conflittuale."

Queste tue osservazioni si collegano ad altre discussioni che ho intrapreso con altri ospiti dell'evento; è innegabile come l'impatto di una manifestazione come una Biennale sia connaturato da evidenti ambivalenze. Al di là di questo evento, come è pensato lo sviluppo del progetto?

"In realtà questi sono temi importanti, che bisognerebbe affrontare più energicamente come organizzatori e curatori; le figure che danno vita ad un evento devono davvero pensare bene alle dinamiche che si innescano nella sua realizzazione.
Comunque, al di là di questo, il nostro progetto è stato proposto alla Biennale per poter sfruttare un possibile 'punto di partenza'; di per sé, il nostro agire arriva da altre azioni di confronto con cittadini e figure istituzionali, nonché in ambito universitario, sulle tematiche della sostenibilità e dell'autonomia produttiva, della riappropriazione del contatto col suolo, che, idealmente inserito in un circolo di pratiche virtuose, può portare a un grande cambio di prospettiva rispetto al come viene oggi vissuto e letto l'ambiente urbano. La città ha spazio per il verde, che però noi intendiamo non solo come bene pubblico, ma anche e soprattutto come bene e spazio della dimensione privata, casalinga: si ritorna padroni dei luoghi che viviamo quando si reintegrano pratiche connaturate al nostro stile di vita, come la coltivazione, che rigenerano gli spazi – delle nostre case, dei nostri tetti, dei nostri vialetti e, perchè no, dei parchi pubblici; si diventa anche cittadini più consapevoli e politicamente più incisivi quando si ritorna a dinamiche di collettività, di condivisione di saperi, azioni e consapevolezza, che le città - e specialmente Istanbul – hanno visto disgregarsi celermente, forse e soprattutto a causa della fama di habitat inospitale. Cambiamo gli spazi pubblici e privati, riappropriamoci di pratiche di autoproduzione e autodeterminazione, facciamo piccoli passi e gradualmente, e arriveremo ad un panorama diverso."

Intervista e traduzione a cura di Elena Malara


Le altre sezioni:

Now happening at the Design Biennale
http://www.undo.net/it/my/TasarimBienali2014/306/833

Impressions from the city
http://www.undo.net/it/my/TasarimBienali2014/304/831

Ulteriori informazioni su Istanbul Design Biennial http://www.undo.net/it/mostra/182795


Fotografie dell'autrice dove non altrimenti specificato.




Foto di Sahir Ugur Eren



Foto di Sahir Ugur Eren