Introduzione al primo focus: AGRODOLCE

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Indice :

1 Scopri tutti gli appuntamenti e i contenuti speciali della rassegna

2 AGRODOLCE

3 SPECCHIO RIFLESSO

4 PELLICOLE

5 Introduzione al primo focus: AGRODOLCE

6 SORRIDI!

7 La fotografia è un elettrodomestico spettacolare

8 Terra di mezzo

9 Lo spettatore come cavia

10 Marco Giusti, testo introduttivo al lavoro Audience di Marco Calò

11 PUBBLICO DI MERDA!




































Ho ideato questa rassegna come se fosse una bozza di un saggio editoriale, e in qualche modo lo è; i tre focus del progetto sono tre input, tre diverse prospettive di analisi della macchina foto/video rappresentativa.

Foto/video perché dividere in due sezioni distinte la fotografia e il video non credo abbia senso, basti pensare che se la fotografia si è sviluppata e diffusa principalmente attraverso le fotografie segnaletiche di Ellero e Bertillon come ricordato da Ando Gilardi nel suo saggio "Wanted", i fratelli Lumiere dicevano che il mezzo video serve in primo luogo a riconoscere meglio dei rivoltosi durante i moti di piazza.

Dunque fotografia e video; uno, il video, l'applicazione dell'altro, la fotografia; in questa rassegna i due termini sembrano spesso rincorrersi (soprattutto nei primi due focus) analizzandosi a vicenda irrimediabilmente.

Nel primo ciclo, denominato Agrodolce, il video/cinema analizza spesso il mondo dell'immagine fotografica.
Vediamo Renzo Martens intento in un'utopia - palesare al popolo africano che le loro immagini di povertà e di malnutrizione sono un lauto business una volta introdotte nel mercato occidentale della rappresentazione; Ruben Salvadori lavora sul ruolo del reporter di guerra facendoci vedere un'altra prospettiva delle immagini violente/spettacolari che riempiono le copertine dei nostri settimanali; Matteo Garrone effettua una vera e propria ricerca antropologica sul mondo delle fotografie dei matrimoni e per fare ciò segue nelle sue imprese il più noto matrimonialista napoletano; Antonello Matarazzo prova a immaginare come possa esser stata vissuta la posa dalle persone ritratte in una vecchia foto di gruppo in bianco e nero.
Completano il primo focus un video di Donatella Di Cicco in cui la fotografa / videomaker segue e registra per due anni delle aspiranti modelle della provincia Campana; un mio video in cui alcuni personaggi baresi vengono sospesi in una sorta di dilatazione dei tempi fotografici; e il ritratto di famiglia di Alina Marazzi.

* "Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini"
Guy Debord

In un contesto del genere mi è sembrato interessante poter divulgare il testo di Arnaldo Fraccaroli "L'umanità dinanzi al fotografo" estratto dall'inserto "La Lettura" del Corriere della Sera del 1912.

Fabrizio Bellomo



L'UMANITA' DINANZI AL FOTOGRAFO
di Arnaldo Fraccaroli

C'era una volta un proverbio che diceva :«Gli occhi sono lo specchio dell'anima». E lo insegnavano perfino nelle scuole. Ma da molto tempo è in via di fallimento come tanti altri suoi compagni. Poveri cari vecchi proverbi dei compiti di scuola e dei raccontini morali, che fine pietosa!
Ricordate? Erano così precisi e così sbagliati, così gravi di serietà e così gaiamente ridicoli! Ma pensateli: «La bugia ha le gambe corte », per esempio. Benissimo: lo avete visto proprio in questi ultimi tempi, a proposito della nostra guerra in Tripolitania e in Cirenaica, e lo vedete ancora. Noi laggiù si vince, a Costantinopoli si inventa subita la bugia che hanno vinto i turchi, e la bugia commina, corre, arriva a Vienna, scappa a Berlino, passa a Londra in un paio d'ore al massimo. Accidenti a quelle gambe corte!
Così per il proverbio degli occhi col relativo specchio dell'anima. Ma che occhi, ma che anima! Ricordo che una volta, all'Università, un professore di oculistica che aveva la fissazione di capire la gente per via di quel tale specchio, disse a un mio amico:
- Ella dev'essere un tipo mansueto, tranquillo, dolce. Lo leggo nei suoi occhi: il sinistro specialmente è di una limpidezza meravigliosa.
- Si - disse l'amico - è fatto molto bene. E se lo levò. Era di vetro. Il professore invece restò di sasso.
In compenso c'è un'latra cosa che funziona veramente da specchio dell'anima, ed è una cosa alquanto estranea al corpo umano: la fotografia. Dalla posa, all'atteggiamento, dall'espressione che una persona assume dinanzi all'obiettivo del fotografo voi ne capite subito perfettamente il carattere. Così dichiarate il fallimento di un altro proverbio, quello del « Dimmi chi pratichi e ti dirò chi sei ». Un proverbio, poverino, che è il colmo del grottesco, e che ha avuto finora un successo immeritato, come le commedie di Alfred Capus. Perchè nella vita avviene tutto il contrario: per abitudine si pratica generalmente con delle persone che sono addirittura all'altra riva. Un ladro furbo non avvicina degli onesti imbecilli; un medico, anche di buona salute - se ne trovano, a volte - non frequenta che poveri malati; un avvocato.... Ecco forse l'eccezione - se siete maligni - perchè l'avvocato nella maggior parte dei casi ha da trattare con della gente equivoca: ci sarebbe dunque una certa identità, se insistete nell'essere maligni. Ma neppure questa eccezione resiste molto, perchè il mondo è così pieno di imprevisto che si trovano facilmente anche degli avvocati galantuomini e sinceri.
Fabbricate invece questo nuovo proverbio:« Dammi la tua fotografia, e ti dirò chi sei» e il proverbio andrà benissimo, e dirà la verità. Con la fotografia in mano voi riuscite subito a conoscere l'individuo. Non di fuori, nell'aspetto esteriore, ma di dentro: conoscerlo nel suo carattere. A volte anzi, di fuori, nell'aspetto, non somiglia niente. Ma nel complesso c'è sempre qualche cosa - l'intonazione, il sorriso, la posa - che vi fa dire di colpo: - Che bella faccia d'imbecille!
E vedete che il carattere è subito indovinato. Ma come avviene - vi chiederete - che sia più facile riconoscere il vero carattere di un individuo da una fotografia che guardandolo direttamente in viso? La cosa sembra complicata, ed è invece di una semplicità infantile, come tutte le cose complicate. Nella vita gli uomini - e le donne, naturalmente - non hanno la loro espressione giusta, non dimostrano veramente quello che sono. La consuetudine, e una certa differenza naturale fra persone civili, hanno plasmato sul loro viso una specie di maschera che non è fatta per imbrogliare - almeno, non sempre - ma soltanto per velare, nascondere. Non hanno dunque sul viso quel tale specchio dell'anima del proverbio fallito. Ma ci sono così abituati anch'essi, che finiscono col credere sul serio che quel loro atteggiamento sua naturale e spontaneo. Cosa capita? Che quando l'umanità va a farsi fotografare, cerca istintivamente di darsi un contegno: crede di cambiarsi, e invece torna senza saperlo all'espressione naturale. E' così che voi potete più facilmente conoscere il carattere da una fotografia. Ed è così che in fotografia tante brave persone che in buona fede si ritengono intelligenti riescono con una faccia d'oca che consola.
E' la soggezione per l'obiettivo che le ha cambiate: che le ha fatte tornare al loro stato d'origine. C'è della gente che non ha paura di nessuno, ma che dinanzi all'obiettivo di una macchina fotografica si inquieta, si preoccupa, e pensa a delle minuzie che di solito non la interessano mai: il nodo della cravatta, la piega dei baffi, il risvolto della giacchetta. Se i fotografi fossero dei psicologi, potrebbero scrivere dei trattati preziosi. E' certo che nel gabinetto di posa d'un laboratorio fotografico avvengono delle scenette deliziose e oltremodo caratteristiche, tanto nelle piccole città di provincia come nelle città grandissime, le quali sono talvolta più provinciali di quelle altre.
Guardate: entrano due fidanzati, o due sposini. La differenza fra la cosa desiderata e la cosa ottenuta non è percettibile in fotografia, almeno entro certi limiti. In ogni caso, lo sposo ha la cravatta bianca in più, e la sposa qualche illusione in meno. Il maschio si dà un'aria di disinvoltura che è una meraviglia per l'imbarazzo in cui lo getta. La signorina - o la signora, fate voi - è invece un po' timida e fa quello che fanno tutte le donne nei momenti di timidezza: sorride.
- Noi si vorrebbe un ritratto insieme - comincia il giovinotto.
Il fotografo si inchina ossequente e fa anche lui quello che fanno tutti i fotografi quando ricevono clienti: sorride.
- Benissimo. Si accomodino. Mezzo busto? Figura intera? Soltanto la faccia, con un bel taglio sl collo?
La sposina comincia a tremare, lo sposino la guarda titubante:
- No, tagli niente.
- Allora, mezzo busto?
- Ecco: mezzo busto a me, e mezzo alla signora.
Il fotografo sorride - avete mai contato quanti sorrisi si scambiano prima di fare un ritratto? - prepara le lastre, puntella la macchina, mette a fuoco.
- Ecco, si accomodino. Come vogliono mettersi?
- Sa: più che altro, a noi interessa di far capire che ci vogliamo bene.
La compagna arrossisce, ma il giovinotto la tocca burlone in un braccio, come per dirle:
- Va, là, che il fotografo è una specie di confessore!
E la sposa comincia, dopo che i die innamorati si sono messi le mani in mano - le mani di lui in quelle di lei - come si vede nelle bandiere delle società operaie di mutuo soccorso. La tortura della posa è spasimante. Il fotografo può essere la più angelica persona di questo mondo, ma dinanzi al paziente che gli affida la sua immagine diventa di una ferocia spaventevole.
- Pieghi un pochino la testa. No: così è troppo. E così è troppo poco. E lei, signorina, in fuori il petto. Non le spalle, il petto: quelle cose lì insomma. Sa, dal momento che ci sono...
La signorina arrossisce, il giovinotto strizza d'occhio al fotografo col legittimo orgoglio di chi si sente lodare le proprietà di famiglia, e allora salta fuori la roba più terribile dell'avventura fotografica. Con la pera in mano per dare lo scatto all'obiettivo, il fotografo dice:
- Attenti, sorridono!
Ah, quel sorriso! Non c'è operatore che si dimentichi di raccomandarvelo. Eì necessario alla fotografia quasi come gli acidi per lo sviluppo. E in fondo il povero operatore non ha torto. L'umanità si presenta dinanzi all'obiettivo con una faccia così imbronciata!
Ogni mortale sente forse la solennità del momento: capisce che egli sta affidandosi ala storia, e cerca di passarvi con tutta la serietà possibile, con un certo cipiglio. Poi la stessa fissità della posa preparatoria gli irrigidisce le linee, lo stanca, gli smorza lo sguardo, la preoccupazione di non battere le ciglia gli fa lacrimare gli occhi. Tremendo! E allora il fotografo consiglia colla sua voce più carezzevole:
- Sorrida!
Così, come direbbe:« si gratti». E il paziente, deciso a obbedirlo, apre la bocca, la stira, e resta così, a sorridere in modo da commovere anche i cuori più duri. Non è un sorriso, è una smorfia, uno sbadiglio, una di quelle espressioni che sono provocate dal mal di mare, dalla presenza del sarto in un'epoca di scadenze. Il fotografo cerca di correggerlo, invita l'amico a pensare a qualche cosa di allegro.
- Ecco, bravo, così. Fermo!
E l'obiettivo scatta. E proprio in quel momento il brav'uomo, che non ne poteva più, abbassa le palpebre.
Le signore invece sono più disinvolte, ma incontenibili. Una signora che va dal fotografo ha già studiato per mezza settimana, dinanzi allo specchio, l'atteggiamento e l'espressione da prendere. Di profilo con gli occhi sperduti nel vuoto e la bocca un po' aperta, come ha visto in un ritratto della Duse che le piace tanto? Oppure con la testa inclinata, e il viso di scorcio, con un'aria triste triste di persona che abbia avuto dei forti dispiaceri o un ambito che non le andava bene?
quell'Emma Gramatica che ha visto in una cartolina, per esempio. Od anche voltata con le spalle all'obiettivo, e il viso storto per guardare indietro? Una posizione alquanto incomoda, ma tanto carina poi nel ritratto! Dinanzi a una signora il fotografo, se è un fotografo per bene, non dà consigli: ne riceve.
- Mi pare che il braccio nudo vada bene, vero? Ma la linea del fianco si vede? Mi raccomando. Non ho che quella di bella veramente, e ci tengo, capirà. Ah, badi: si deve vedere l'orecchio. E' così piccolo che proprio ci tengo a farlo risaltare: è tanto facile avere delle orecchie grandi! Le raccomando poi la capigliatura: non ho che quella, di bella, sul serio. Cosa ne dice, se tenessi in mano un occhialino, e un libro aperto sulle ginocchia? Sa, tanto per darmi un contegno....
La prima osservazione, quando vede la prima copia, è stabilita, a meno che non si tratti proprio di una signora magrissima:
- Ah, Dio mio, come mi ha ingrassata di figura! Quel ventre, poi! Sarà stato anche l'abito, non lo nego. Ma non potrebbe snellire?
E il fotografo snellisce con un ritocco. Poi, c'è quella specie di ombra sulle labbra? La sua penuria abbondante, va bene: ma non si potrebbe levarla? E il fotografo leva l'ombra. E sotto agli occhi non si potrebbe dare un tratto di bianco per ingrandirli? E il fotografo ingrandisce. Poi, quando presenta nuovamente la copia corretta e trasformata, si sente esclamare:
- Io? Quella lì? Ma non mi somiglia in niente!
Subito dopo le signore vengono gli artisti di teatro: teatro lirico specialmente. E primo fra tutti il tenore. Vi possono presentare insieme delle migliaia di fotografie di sconosciuti, ma se c'è quella do un tenore la riconoscerete subito. Non si può sbagliare. Intanto il tenore, nei ritratti, indossa sempre la pelliccia. Sarà magari d'un amico, ma c'è. Un tenore senza pelliccia nella fotografia è un tenore senza avvenire. E dev'essere bene aperta, bene risvoltata, perchè si veda che c'è il pelo dappertutto dentro, e non soltanto sul collare.
Poi, i guanti: pelliccia e guanti, indispensabili, insieme col bastone dal manico d'argento. Ma i guanti non devono essere calzati o almeno uno solo, nella mano che è priva di anelli: quell'altra è messa bene in mostra e stringe il guanto e fors'anche un rotolo di carta: di musica, naturalmente. L'artista avrà detto, senza dubbio:
- Mi raccomando che si vedan bene la catena dell'orologio e la spilla. Poi , se possibile, far risaltare anche l'interno del mio cilindro qui sul tavolo: è un Look, di Londra, e ci tengo.
E avrà preso anche un aria di inspirato, ma di inspirato con un certo velo di preoccupazioni. Da quando Borgatti si fa fotografare coi capelli arruffati e con l'aria di chi abbia mangiato un limone in tutta fretta, molti tenori si sentono in obbligo di farsi il ritratto da arrabbiati. Sembrano dei cani pronti a mordere. Strano, perchè abbaiano. Non parliamo poi di quando si fanno ritrarre in costume: Romeo, Ernani involami, Rudolfo, Alfredo di questo core, sembrano delle figurine di zucchero filato, con gli occhi dolci dolci , e i baffi arricciati, e la parrucca ondeggiante. Robe da far piangere di tenerezza tutto un collegio di educande. Ma ci sono anche delle fotografie più commoventi, quelle dei gruppi di famiglia. Io spero che ne avrete visti, specialmente in provincia o nelle vetrine fotografiche dei sobborghi. Hanno un particolare che le accomuna: il vestito nuovo di tutti i partecipanti al gruppo, visibilissimo. A volte si fa il vestito per il ritratto, o il ritratto per il vestito, è necessario. E il gruppo è sempre una meraviglia. I genitori sono nel mezzo naturalmente. Il padre guarda la madre, la madre guarda il padre, i figlioli intorno guardano il padre e la madre, e il cane - ah be', spero che non vi dimenticherete il cane, sopra una sedia! - guarda i padroni, i bambini e il fotografo, tutti in una volta sola, con un effetto di strabismo veramente notevole. E pure sono questi i ritratti che si guarderanno poi più tardi, negli anni lontani, con una tenerezza infinita, con una senso di desolata nostalgia, con una sottile amarezza di rimpianto, perchè qualcuno mancherà che ci era tanto caro, e che ancora ci guarda di lì, dal piccolo gruppo sbiadito. Le vecchie fotografie, d'un rosso che prendono ai gomiti gli abiti neri quando si decidono a cambiar colore, hanno una poesia e una malinconia indicibili. Li avete visti - sono dappertutto - i ritrattini dei soldati, ritti in piedi, con la mano sulla spada, il berretto sopra un tavolino, con le mani che sembrano di gesso nella strettura dei guanti bianchi, oppure audacemente sospesi alla sciabola come a un'ancora, se si tratta di cavalieri? Poveri soldatini cari! Raggranellano alcune cinquine per averne le sei copie, e le mandano per Natale o per Capo d'anno alla mamma e alla fidanzata con sotto la data e l'augurio. Migliaia di soldatini non lo potranno mandare quest'anno, perchè sono a combattere per una più grande Italia, ma sanno che nessuno si dimentica per questo, e che all'ansie della mamma e di qualche figuretta di bimba si unisce la trepidante commozione di tutta la Patria. E sono lieti e orgogliosi, anche senza il ritratto. E lasciano agli altri il tempo di fotografarsi. Perchè è incredibile il numero delle persone che vanno a farsi fotografare spesso e regolarmente. E' come un bisogno di vedersi. E c'è della gente che meno assomiglia e più è contenta. Si guarda con una ammirazione sbigottita.
- Come sono bello! Sembro un altro!
Anni addietro c'era addirittura la moda di sfigurarsi dinanzi al fotografo. Le donne si arricciavano i capelli, se li spalmavano, li incollavano in volute paradossali. Gli uomini si impomatavano i baffi, li arcuavano, si pettinavano i capelli fiorettandoli di arricciature enormi. Sembravano tanti mobili in stile rococò. Poi, naturalmente, baffi e capelli tornavano allo stato normale, e addio somiglianza. La moda è passata, ma un certo gusto popolaresco di travestirsi dinanzi all'obiettivo c'è ancora. Nelle fotografie ambulanti che girano per le fiere resistono ancora gli abiti da frate e da monaca per gli spiritosi che vogliono prendere provvisoriamente il velo e chi sa quanti grattacapi, e c'è la sua brava gondola col relativo panorama di una Venezia immaginaria, e adesso c'è anche l'automobile dipinta, e c'è perfino l'aeroplano con un furore di nuvole sotto che sembrano un miscuglio di caffè e di panna montata e alle quali è affidata la rappresentanza ufficiale dell'atmosfera. La calcolate poco voi la soddisfazione di poter dire, scendendo, e guardando bene di non inciampare nelle nuvole: « - Sono stato in aeroplano anch'io»?
Ma questa roba è da fiera, mentre le più carine sono quasi sempre le fotografie da salotto, quelle fatte sul serio, per venire regalate in omaggio e per restare come documento. E' in queste che appaiono più evidenti le debolezze e i tipi. C'è nella messa in scena del quadretto una tale rivelazione psicologica quale nessuna indagine diretta sulla persona vi potrebbe forse offrire. Il giovinotto che fa professione di uomo elegante e di seduttore vi guarda dal ritratto con uno sguardo indulgente di conquistatore abituato. Pare che vi dica ( vi prende per una signora, naturalmente):
- No, non mi caschi fra le braccia, la prego.
E voi capite subito che si tratta di un cretino, anche se non avesse per caso la giacchetta aperta a mostrare il gilè fantasia, e una mano in una saccoccia dei calzoni per far vedere che è assai disinvolto. Ricordate i ritratti di qualche artista, specialmente di quelli artisti che nessuno conosce per tali e che si incaricano di farvi sapere che lo sono per mezzo della fotografia? Sono deliziosi. Il pittore è seduto davanti a un quadro: tavolozza, pennello, capellatura in disordine, una blusa troppo nuova per non parere di teatro, e la faccia voltata all'obiettivo con una certa espressione come per sospirare:
- Anche il ritratto: Dio, che noia, la celebrità!
E c'è il letteratino inedito con una biblioteca alle spalle, un tavolo davanti, una penna in mano, e il viso concentrato nel vuoto nella ricerca di una delle sue più belle frasi. Sono i ritratti che poi vedete in qualche salotto, con una dedica in scrittura grandissima - han sentito che D'Annunzio ha una calligrafia smisurata - e molti puntini pieni di oscuro significato....
Fanno il paio con le fotografie delle signore col viso ridente, quelle care e simpatiche signorine così graziosamente sciocchine che sono lì per dirvi: - Mica male, neh?
Vi sono anche i trucchi per nascondere, per diminuire, per attenuare. Ermete Novelli, per esempio, il cui naso è ancora più grande della sua modestia - smisurato, dunque - non si fa mai fotografare di profilo, anzitutto per economia di spazio, poi per ragioni di convenienza e di moralità pubblica. Parecchie signore amano invece il profilo che sminuisce la bocca, dà valore al nasino e mette in evidenza qualche altra cosa che altrimenti si perderebbe nella penombra. Ricordo la parlata di un guercio al fotografo. Era un guercio abbondante, da tutt'e due gli occhio. Quando passava per la strada fermava la circolazione su tutt'e due i marciapiedi, perchè pareva che guardasse in faccia a tutti. Disse al fotografo:
- Ho un lieve difetto di vista, ma non vorrei che apparisse.
- La faremo di profilo.
- Ah che! Ho il naso troppo lungo. In fondo, non mi importa che sia proprio il mio ritratto: me ne dia lei uno qualunque, già fatto, pur che sia d'un uomo. Badi soltanto che sia biondo.
Non si può dire che fosse troppo esigente. Ma ci sono di quelli che non sono mai soddisfatti, e si lagnano magari perchè non è venuto bene il candore del colletto o il nastro del cappello. A proposito, diffidate degli uomini che si fanno fotografare col cappello in testa: sono calvi. E se vedete a volte dei ritratti di uomini così brutti da farvi esclamare:« Ma quando si ha quella faccia lì, la si tiene nascosta!», non sorprendetevi, e compatite. Oggi ogni uomo ha il dovere di tener sempre pronta una sua fotografia. Con la facilità che c'è a diventar celebri - basta vincere un terno al lotto, inventare un nuovo sistema di pantofole, essere aggredito allo svolto di una via, farsi nominar deputato, vincere una corsa podistica: tante sciocchezzuole, insomma - c'è sempre il pericolo che un giornale venga a domandarvi il ritratto per illustrare l'avvenimento del giorno.
Perdonate dunque, e se qualche volta vedete in fotografia un tale con un sorriso straziante, non prendetelo in giro. Pensate che quel pover'uomo non rideva perchè fosse allegro, ma perchè il fotografo gli ordinava serio serio: «Sorrida!...».

Arnaldo Fraccaroli

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