In viaggio tra natura e cultura

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Indice :

1 Ciò che è vivo - culture tour

2 "Buona vita!"

3 Ciò che è vivo - culture tour | Fondazione Baruchello

4 Ciò che è vivo - culture tour | Connessioni ambientali

5 Ciò che è vivo - culture tour | Nei luoghi dell'arte

6 Ciò che è vivo - project | Open studio e mostra al MACRO

7 In viaggio tra natura e cultura




Le Macchie, Castellina Marittima (PI)



Acquasanta, Moiano (PG)



Fattoria Lara, Castiglione del Lago (PG)



Remo Angelini, Bucchianico (CH)



Dinamizzazione del cornoletame, I Mandorli, Suvereto (LI)



Cromatografia di un terreno



Installazione, MACRO, Roma



Libro d'artista, MACRO, Roma



Installazione, MACRO, Roma

Intervista di Katia Baraldi


Da aprile gli spazi di undo.net ospitano questo blog-diario di viaggio del progetto “Ciò che è vivo – culture tour” di Emanuela Ascari, un progetto a lungo termine che Emanuela ha sviluppato in questi ultimi mesi durante una residenza al MACRO di Roma.

Katia Baraldi: Emanuela il tuo è un progetto che si dipana in un periodo lungo, con una processualità complessa di realizzazione, pensata per ogni contesto. La frase in legno, un’installazione itinerante, è stata realizzata durante una residenza in Francia nel 2013 per il progetto GAP Global Art Programme, con essa hai compiuto un primo viaggio dalla Francia all'Italia, e questo ti ha portato a maturare la necessità di fare un altro viaggio più significativo di scoperta e di incontro di alcune delle realtà che si occupano di agricoltura secondo una modalità etica sul suolo italiano. Il viaggio si è poi concretizzato durante la primavera del 2015 e successivamente ha preso nuova veste al MACRO, grazie alla residenza che hai vinto proprio con questo progetto. Per iniziare ti chiedo una curiosità. Nel titolo di GAP troviamo riferimento all’Expo, il tuo progetto ha qualche relazione con l’Esposizione Universale appena conclusa?

Emanuela Ascari: Su questo punto vorrei fare una precisazione doverosa. La residenza francese era parte del progetto GAP, Global Art Programme, Waiting for Expo 20151, nato cinque anni prima dell’apertura dell’Expo per ragionare attraverso l'arte sui temi portati in campo da questa manifestazione, un progetto che ha avuto il mero Patrocinio di Expo, senza contributi in denaro o legami di altro tipo. Questo dato è per me rilevante, un'informazione di cui mi sono accertata quando ho deciso di trasformare il progetto nel Ciò che è vivo - culture tour, poiché molte delle persone che ho contattato e incontrato durante il viaggio, e lo stesso mio lavoro, volevano prendere le distanze da Expo, un evento che è stato l'espressione di una politica e di una cultura del cibo con valori contrari a quelli della vita e di una agricoltura etica. Questo mio viaggio è andato in direzione contraria alle logiche accentratrici di Expo, incontrando gli agricoltori sulle loro terre, dove si stabilisce quel legame che è la forza di resistenza alle politiche dell'agroindustria.

KB: Quali sono state le riflessioni e le urgenze, o le domande, che ti hanno spinta alla decisione di intraprendere un viaggio più strutturato rispetto al primo?

EA: La frase, seppur realizzata in Francia, è stata scritta in italiano già sapendo, anche senza averlo ancora ben chiaro, che sarebbe stata oggetto di un ulteriore viaggio, per inserirsi in altri paesaggi, e che avrei voluto riconciliare l'ambito da cui proviene, il pensiero dell'agricoltura biodinamica, con il contesto attraversato.

KB: Questa attenzione ai valori etici e ai dettagli concettuali e realizzativi è riscontrabile in tutte le fasi di creazione delle tue opere, dall’aspetto di ideazione a quello formale. Un’attenzione ai dettagli che evinco anche nella scelta del titolo del tuo progetto, con l’uso dei termini “culture tour” in inglese, che ho inteso legato a una tua intenzionalità di sottolineare il rapporto antico tra il termine “agricoltura”, il sapere connesso al fare crescere un seme, e il significato più ampio di cultura.

EA: Sì, certo, hai letto bene, infatti etimologicamente il termine cultura proviene dal latino “colere”, coltivare i campi. Io amo la lingua italiana e trovo abbastanza invadente l’uso eccessivo dell’inglese, ma per questo progetto l'ho utilizzato perché, a differenza dell’italiano moderno, la parola “agriculture” conserva la lettera “u” della sua radice etimologica, come nel latino classico, mantenendo evidente il nesso tra l’agricoltura e la conoscenza, la cultura. Il mio obiettivo era di rimarcare come il mio viaggio fosse un’esplorazione della cultura.

KB: In effetti nel parlare comune, e quindi nel pensare, ci si è dimenticati di questo legame..

EA: Questo penso sia un aspetto importante su cui riflettere, perché nel parlare con molte persone mi rendo conto che c'è confusione. Spesso quando si parla di agricoltura scatta l’automatismo fuorviante di identificarla con la natura, proprio perché ci sono delle forme del pensiero che hanno preso una deriva che porta a confondere ciò che è natura e ciò che è cultura, mentre l'agricoltura è una forma di cultura, una delle prime pratiche con cui l’uomo nel corso della storia è intervenuto sulla natura modificandola. Ed è questo uno degli aspetti che, da artista, mi ha fatto avvicinare all'agricoltura, non solo per puntare l'attenzione sulla natura, ma sul rapporto dell'uomo con la natura e l'ambiente, perciò sulla cultura.

KB: La frase che hai portato in giro per l'Italia, “Ciò che è vivo ha bisogno di ciò che è vivo”, nasce dal tuo avvicinamento all'agricoltura Biodinamica, una particolare pratica agricola legata all’Antroposofia di Rudolf Steiner. Come è avvenuto questo avvicinamento?

EA: Importante è stata una chiacchierata-workshop con Emilio Fantin nel 2009, per un lavoro al Museo della Civiltà Contadina di San Marino di Bentivoglio, Bologna, durante la quale mi ha parlato dell'agricoltura Biodinamica, un modo di pensare all’agricoltura che appartiene alla più ampia sfera di pensiero dell’Antroposofia, che non riguarda solo l'agricoltura, ma riguarda l'uomo. Successivamente ho seguito alcuni laboratori alla Fondazione Le Madri di Rolo, in provincia di Reggio Emilia, un centro di cultura antroposofica e agricoltura biodinamica, per apprendere alcune pratiche e metterle in atto nei miei lavori, come il cornoletame, realizzato nel 2009-2010, e un tipo di analisi per immagini, la cromatografia circolare, che ho utilizzato per dare forma ad una parte di questo lavoro. Qui incontrai prima di tutto Gianni Catellani, uno dei padri della diffusione della cultura antroposofica in Italia, da una chiacchierata con lui deriva la frase dell'installazione itinerante. Inoltre ho mantenuto negli anni un dialogo e un continuo scambio con alcuni agricoltori, tra cui Andrea Cenacchi del Podere Santa Croce di Argelato, Bologna, e con Fabio Fioravanti, Segretario dell'Associazione per l'Agricoltura Biodinamica Sezione Emilia Romagna.

KB: Il pensiero antroposofico, e la Biodinamica, portano in sé anche aspetti religiosi ed esoterici, elementi non visibili però nei tuoi lavori.

EA: Sì, c'è un sentimento religioso nei confronti della vita che però non esploro, preferendo una visione più pratica, che comunque contiene in sé anche aspetti spirituali.

KB: Quindi l’aspetto dell'antroposofia a cui ti senti legata è il rapporto dell’uomo con ciò che lo circonda…

EA: Sì, ma vorrei aggiungere che i concetti su cui si basa la biodinamica propongono un altro paradigma del pensiero, modificando le possibilità di vedere e di pensare il mondo. L'approccio biodinamico mi aiuta a ragionare, e a sentire.
Nella cultura occidentale, a partire dal '700, l'uomo ha adottato una visione, ed elaborato un ragionamento, che vorrebbe fare pieno affidamento sulla scienza, tanto che l'evoluzione del pensiero ha trasferito il sentimento che si aveva per Dio e per la religione alla scienza, per cui osserviamo e agiamo nel mondo con un atteggiamento che vede nella scienza la “Verità” un tempo ricercata nella parola divina.
In realtà si parla molto di scienza, ma senza sapere bene cosa sia, c'è un travisamento, e manca una cultura scientifica adeguata. La scienza è una metodologia della conoscenza, un modo per dimostrare delle ipotesi, delle intuizioni, non è una verità, ma un approccio di indagine della realtà. Quest’aspetto è emerso anche dialogando con alcuni degli agricoltori incontrati.

“La vera scienza – dice Savrio Petrilli – è osservare i fenomeni, attivando i propri sensi, e cercare di spiegarli. Non è il dare delle regole, perché quello della scienza è solo l'ambito del conosciuto, mentre il conoscibile è tutto il resto. La scienza non dovrebbe dirti cosa fare, ma spiegare i fenomeni, dare una spiegazione ai fenomeni. L'uomo va avanti e la scienza arriva dopo.”

“La scienza studia la realtà e la descrive in maniera tale che tutti possano verificarla. Il metodo scientifico si basa proprio su questo. Quindi non è la scienza che si impone ma la realtà (…). Ci vorrebbe una cultura scientifica molto superiore a quella diffusa oggi, specie tra i nostri politici. Basta vedere cosa abbiamo combinato col clima, cosa che gli scienziati avevano previsto già nei primi anni '70, per capire quanto la scienza non sia stata ascoltata praticamente mai” mi scrive Remo Angelini.

L’antroposofia e la biodinamica offrono un’altra possibilità di vedere le cose, in maniera non manieristica e senza alimentare l'attitudine del pensiero a ragionare per opposizione dialettica. Steiner nel suo testo sulla biodinamica Impulsi scientifico-spirituali per il progresso dell’agricoltura, fa dialogare due visioni del mondo generalmente considerate antitetiche, quella scientifica, e quella spirituale, realizzando una evoluzione del pensiero riferito all'uomo e al suo legame con la terra.
Inoltre si tratta di osservare il mondo con un pensiero qualitativo, invece che quantitativo. La nostra mente si è abituata a usare lo stesso linguaggio della scienza, la matematica, e a ragionare prevalentemente in termini quantitativi, un approccio mentale che assumiamo anche rispetto al nostro vivere quotidiano, per cui valutiamo se una cosa è giusta o sbagliata, buona o non buona, in base a delle quantità e a dei parametri, invece che valutando la relazione tra le cose. Ricollegandoci all’agricoltura, ad esempio, per determinare se un terreno è fertile o meno, cioè la sua qualità, ci si basa sulla quantità delle sostanze presenti o non presenti nella sua composizione, e non ad esempio sul come queste sostanze si relazionano l'una all'altra.
La biodinamica punta l’attenzione sugli aspetti qualitativi della realtà, ma senza rifuggire dalla scienza, anzi mantenendo una forte base scientifica, perché l'uomo è fatto di materia e vive nella materia, e anche la biodinamica opera nel fisico, secondo le conoscenze della chimica e della fisica, cui si aggiunge l'aspetto qualitativo. Inoltre agisce in un'ottica di continua evoluzione della conoscenza attraverso la messa in pratica, fornendo suggerimenti che possono essere poi adattati, perché se una cosa funziona in un certo modo in un determinato ambiente, con certe caratteristiche, in un altro ambiente si manifesterà in altro modo, a seconda della temperatura, dell'umidità, dei venti, della geologia. La stessa pianta ad esempio prende forme, colori, sapori sensibilmente diversi a seconda del luogo in cui vive. Per questo le forme delle piante possono essere prese come tassometri delle qualità ambientali, ovvero delle caratteristiche di quei luoghi.

KB: Hai accennato precedentemente alle cromatografie circolari che hai realizzato durante il tuo periodo di residenza a MACRO quale parte di questo lavoro, pratica che mi pare essere connessa con questo discorso...

EA: La cromatografia circolare è una tipologia di analisi per immagini usata dai biodinamici per valutare la qualità dei cibi, delle piante e dei terreni, che sposta l’attenzione dalla quantità alla qualità. Questa si realizza attraverso un procedimento scientifico di laboratorio al nitrato d'argento, che rivela, rendendo visibile agli occhi, la composizione e la vitalità delle sostanze analizzate, terreni in questo caso. Queste immagini sono la manifestazione delle forze vitali in essi contenute e l'espressione di come le diverse sostanze si relazionano l'una all'altra. In queste immagini la sostanza minerale, la sostanza organica, l'humus, e le sostanze nutritive si organizzano in forme differenti attraverso le quali gli agricoltori biodinamici valutano la qualità dei terreni, cioè le loro caratteristiche. Queste immagini vengono lette secondo parametri quali la bellezza e l’armonia, che sono i canoni estetici dell’arte, rendendo significante la fluidità delle forme, la relazione tra i colori.
Durante le trenta tappe del viaggio ho raccolto campioni di terreno per analizzarli secondo questa procedura, facendone delle cromatografie che ho esposto durante l'Open Studio al MACRO l'8 di ottobre.

KB : Quindi da questa tipologia di analisi si può riscontrare una vicinanza con l’arte e con l'estetica..

EA: Certo, hanno in comune il valore dello sguardo estetico nei confronti del mondo quale parametro qualitativo. Ti posso dire che sono immagini molto belle, vicine all'estetica psichedelica.
Un'altra cosa interessante è che per realizzare le cromatografie è necessaria la luce, fondamentale per la vita, che è anche materia di rivelazione di queste immagini, attraverso un processo foto-grafico. Come ricorderemo il nitrato d’argento è stato usato per le prime fotografie, e le cromatografie sono in un certo senso delle fotografie, si sviluppano, ma non c’è fissante, queste immagini continuano impercettibilmente a modificarsi, infatti, le custodisco in scatole al buio.

KB: Tornando alla Biodinamica, possiamo dire che sia una pratica esperienziale e sperimentale, che cerca di rimanere aperta al cambiamento, a nuove possibilità, dove non ci sono regole prefissate ma suggerimenti, quindi un approccio non dogmatico e legato allo scambio.

EA: Sì perché come la vita è un processo, lo è anche la conoscenza.

KB: Riconosco in questo anche il tuo approccio, che prevede inoltre un'attitudine a conoscere il territorio in modo diretto e ad incontrare persone, una modalità di lavoro relazionale, che richiede tempo, un uso del tempo lento, controcorrente rispetto alla velocità odierna del pensiero e del fare arte, e che è parte fondamentale della tua ricerca, non soltanto per questo progetto, ma del tuo fare artistico, della tua poetica. Un tempo lento vicino al tempo dell'agricoltura, biologica e organica, che rispetta il tempo di crescita della natura, con i propri ritmi e le proprie variabili.

EA: Sì, in fondo il senso del viaggio è stato l'incontro con persone, il compiere una ricerca sul campo per conoscere le cose facendosele raccontare, per condividere conoscenze, alimentando un pensiero eco-logico, con un approccio contestuale che richiede tempi lunghi di ricerca ed elaborazione, tempi entro i quali l'opera stessa si evolve e si modifica. Infatti ho potuto fare questo progetto perché avevo tempo, per fare le cose, tempo per conoscere, tempo per pensare e ragionare.

KB: Con questo lavoro hai cercato di far dialogare arte e agricoltura non solo dal punto di vista estetico ma anche dei contenuti, utilizzando ad esempio due canali comunicativi diversi, due portali di settore, appunto: undo.net per l’arte, mentre per l’agricoltura il portale della rivista Terra Nuova, entrambi community partner del tuo progetto, dove il lavoro prende la dimensione del racconto. Vuoi accennarci al perché di questa scelta e come ha preso forma?

EA: Ho voluto indirizzare il mio lavoro non solo alla ristretta comunità dell'arte, quella che ci segue in queste pagine, ma ad un pubblico più ampio di non addetti ai lavori, cui mi sono rivolta anche per realizzare il lavoro, per agire con l'arte al di fuori dei contesti più consoni, e raggiungere persone interessate ai temi veicolati da questo lavoro, questioni etiche che appartengono a tutti. Per questo la scelta di utilizzare due canali di comunicazione differenti ma connessi dai link che di volta in volta aggiungo ai vari articoli, in modo che dall'uno si possa raggiungere l'altro e viceversa.
Su terranuova.it ho uno spazio che condivido con alcuni dei miei ospiti-interlocutori, una sorta di rubrica in cui pubblico riflessioni e racconti scritti da coloro che ne hanno voglia, nell'ottica della condivisione di conoscenze, mentre su undo.net è più un racconto, con alcuni focus.

KB: Nel frattempo questo progetto è stato selezionato ed è stato sviluppato durante una residenza al MACRO di Roma, di cui hai già scritto un articolo su queste pagine (http://www.undo.net/it/my/vivo/317/953). Come è andata e come pensi che proseguirà dopo il termine della residenza, puoi accennarci qualcosa?

EA: La residenza al MACRO mi ha offerto la possibilità di formalizzare in varie parti il lavoro, e di confrontarmi con uno spazio museale, ben diverso dall'ambiente esplorato durante il viaggio. Il mio arrivo qui a Roma è stato un po' destabilizzante: dopo un lavoro di due mesi basato sulle relazioni e sul dialogo, qui non ho avuto interlocutori e il progetto si è modificato in base a questa circostanza. Mi sono ritrovata nel contesto di un “pensiero urbano”, molto diverso da quello del “pensiero rurale” che ero andata ricercando. Avrei voluto organizzare degli incontri pubblici invitando alcuni dei miei ospiti per esplorare in questa sede questioni legate ad arte e agricoltura, ma ho capito che, per vari motivi, non era il contesto adeguato. Cercherò altri spazi dove proseguire. Tra le varie cose ho in programma di realizzare dei laboratori presso alcune delle realtà coinvolte in questo progetto, e di dare forma ad altri aspetti della ricerca. Con l'installazione realizzata al MACRO è come aver messo un punto ad una frase, ma il discorso è ancora lungo e tocca aspetti importanti quali la biodiversità, la sostenibilità, e l'attenzione verso la vita, che elaborerò in prossime occasioni.