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Per parlare della situazione dell’arte in Giappone possiamo fare riferimento ad altri paesi asiatici per i quali le situazioni sono senz’altro diverse, ma in cui si riflettono le stesse problematiche. Per trattare l’arte giapponese si deve far riferimento alla "modernità", alla modernizzazione della società giapponese. Modernizzazione del Giappone in rapporto all’arte significa parlare di tradizione e di contemporaneità, di occidentalizzazione del Giappone tradizionale, del materialismo che assoggetta lo spirituale, della socità economica capitalistica contrapposta alla società artigianale di stampo feudale. Il processo di assimilazione o meno del moderno ci dice qualcosa di profondo su ciascun paese. Tuttavia per quanto riguarda i paesi non occidentali essi hanno dovuto obbligatoriamente accettare il moderno pena la mancata adesione agli standard di vita attuali. Quando la pittura occidentale fu introdotta in Giappone la gente pensava che fosse una nuova tecnica per rappresentare la realtà. La conoscenza della pittura occidentale andò di pari passo con la conoscenza del mezzo della fotografia, c’è però da osservare che la tecnica pittorica era insegnata in istituti tecnici e scuole scientifiche piuttosto che nelle scuole d’arte. Questo sta a significare che per la cultura giapponese l’arte non aveva a che fare con la filosofia o con il pensiero, ma con l’artigianato e la tecnica. In passato la parola "arte" ebbe grosse difficoltà ad essere tradotta nella lingua giapponese visto che non è mai esistito il concetto di arte. Attualmente si usa la parola (Yiutz ?) che è una composizione di due parole, "Yi" che significa -bello - e - "utz" che significa - tecnica -. In pratica si può tradurre come tecnica del bello. Da questo punto di vista persistono delle confusioni tra i vari campi dell’arte, dell’artigianato e del design; per meglio dire non è mai esistita una reale distinzione di senso per tutti questi campi. Dopo l’introduzione della pittura accademica in Giappone, circa un secolo fa, sono stati inviati studenti in vari stati per studiare l’arte occidentale. Sono stati proprio questi studenti ad importare in Giappone nuove forme di espressione come l’impressionismo, l’espressionismo, il surrealismo, ecc. Ogni studente, una volta tornato in Giappone, diventava il maestro di quello specifico stile, e molti furono quelli che seguirono questi nuovi maestri creando molti seguaci di vari stili diversi. La cosa peculiare e che questi gruppi non avevano nessun tipo di collegamento con lo sviluppo e la crescita culturale e storica al contrario di quanto avveniva in Europa. Parallelamente al diffondersi degli stili occidentali, si creò una corrente che invece continuava a seguire lo stile tradizionale. Tale differenziazione continua a persistere tutt’oggi e questi gruppi continuano a non comunicare tra loro. Ad esempio i seguaci dello stile impressionista seguitano a lavorare solo ed unicamente sull’impressionismo piuttosto che altri stili e tanto meno si aprirebbero verso artisti tradizionali. Per quanto riguarda gli artisti contemporanei, essi hanno un atteggiamento piuttosto individualista, non formano un vero e proprio gruppo a sé stante, comunque anch’essi si isolano rispetto agli altri. Negli anni 50 si diffuse lo stile del cosiddetto "Gruppo Gutai". Successivamente si fece strada lo stile del "Monoha" che ebbe inizio negli anni 60, gruppo che qualcuno paragona all’Arte Povera per l’uso di diversi tipi di materiale assemblati in una sorta di installazione. Verso la fine degli anni 70 un atteggiamento di carattere minimalista si esaurì lasciando spazio ad un’arte a sfondo figurativo. Un’altra peculiarità degli anni 80 è l’emergere di molte artiste donne. Questi gruppi ben presto si identificarono con la Neue Bilder tedesca, la Figuration Libre francese e la Transavanguardia italiana. Se la parola non fosse completamente priva di significato definirei l’arte dopo l’85 arte Post-moderna. Nell’arte giapponese della fine degli anni Ottanta si estese la sensazione che tutto fosse già stato fatto, nessuna invenzione sarebbe più stata possibile, che il modo di pensare dell’arte moderna aveva raggiunto la fine del suo percorso e che ci fosse la necessità di cercare una nuova direzione. La ricerca si indirizzò su tre diverse strade. La prima fu cercare nel passato e utilizzare quei valori; la seconda cercare una cultura diversa in paesi diversi; e la terza lavorare con nuove tecnologie e nuovi metodi operativi. Forse la prima scelta è quella che si avvicina di più all’idea di Postmoderno. La seconda è per quanto riguarda il Giappone legata alla prima. Questo perché per gli artisti delle giovani generazioni giapponesi l’arte del passato è remota e quindi cercare nuove ispirazioni in diversi paesi è paragonabile a cercare stimoli nell’arte della tradizione. Il terreno fu preparato da una mostra del MoMA di Oxford nell’87 successivamente fu la volta del Centre Pompidou con Le Japon de L’avant-Garde una mostra di grande respiro sull’arte moderna giapponese. Quindi sempre al Centre Poumpidou la mostra Les Magicien de la Terre. Les Magicien de la Terre venne criticata da più parti, ma ritengo che sia ancora molto importante per i paesi non occidentali. Per gli artisti giapponesi che si confrontano con l’arte contemporanea ci sono degli ostacoli notevoli se li si paragonano con quelli degli artisti occidentali: ad esempio se un giapponese utilizza il vocabolario dell’arte occidentale lo si accuserà di essere solamente un’epigono, se utilizza troppo la tradizione verrà accusato di essere troppo esotico. Quindi per gli artisti giapponesi, ma più in generale per gli artisti non occidentali, sorge la necessità di evitare entrambe le possibilità, il che diviene una questione fondamentale per l’identità dell’artista. Da qualche anno, secondo me, stiamo andando nella direzione per cui l’identita dell’artista non fa riferimento specificatamente alla sua nazionalità e si delinea un futuro in cui sarà difficile definire la personalità dell’artista e dell’opera. Mi chiedo quanti di voi abbiano visto la mostra Transculture alla Biennale di Venezia; vi ricordo che era una mostra che presentava artisti da diverse parti del mondo. Un’artista presente alla mostra era di origine indiana ma viveva a Singapore essendo di nazionalità malese, per sottolineare la complessità delle transculture; un’altra artista anch’essa di origini indiane, nata a Dublino, ha vissuto parte della sua vita a Trinidad e ora vive in Canada. Questo per dire che la questione dell’identità è un problema piuttosto complesso. Quali parti delle culture che lei ha vissuto siano poi rintracciabili nel suo lavoro nessuno lo può dire. Questo tipo di persone sono un’invenzione di questo secolo, quindi credo che dovremmo cominciare a riconsiderare l’identità dell’artista. Diapositive Questo artista, Toshikazu Endo con Aperto della Biennale dell’88 si è fatto conoscere in Occidente, utilizza materiali naturali come legno, fango, aria o fuoco e crede nel potere mitico della natura... Un simile atteggiamento potrebbe sembrare tipicamente giapponese.
Questo lavoro è costituito da pezzi di legno bruciati, ecco perché appaiono neri. La cima delle colonne è invece riempita d’acqua, anche l’anello di questo lavoro all’aperto è riempito d’acqua, mentre questo, di fuoco. Anche in questo caso troviamo un materiale come il legno bruciato e al centro un recipiente d’acqua.
Mentre il precedente artista si muoveva in un mondo naturale, Tatzuo Mijajma si muove in direzione della tecnologia, anche questo artista è stato presentato ad Aperto dell’88.
Un altro esempio di artista giapponese è Yasumasa Morimura, e anche in questo caso Aperto ha costituito il suo debutto per l’Occidente; da allora è divenuto assai conosciuto. È da sottolineare che si tratta di una fotografia, ossia nel busto di bronzo l’artista ha inserito il suo corpo e poi si è fatto fotografare in questo modo.
Rai Ninto è una donna la cui figura di artista è apparsa recentemente. Predilige l’uso di materiali semplici e naturali come il ferro o il cotone il suo gusto la porta quindi verso il gusto degli artisti della tradizione come Endo, di cui abbiamo parlato poc’anzi.
I Tecnocrat sono un gruppo di artisti provenienti da un’esperienza teatrale dove lavoravano come scenografi. L’oggetto della loro ricerca fa spesso riferimento a problemi sociali. In questo caso particolare il lavoro è un’installazione realizzata con il sangue di gente comune e di persone invece affette da AIDS. Le lettere che vediamo sono proiettate sulla superfice, mentre il sangue si mescola in continuazione da un motore provvisto di pale.
Anche Takashi Murakami era presente alla mostra Transculture quest’anno. L’artista ha utilizzato dei soldatini giocattolo, disponendoli per terra, combinando nelle sue opere il senso del gioco e un’aria militarista. Un altro artista unico nel suo genere è Noboru Tzubaki. I suoi lavori, in effetti, sembrano un po’ dei mostri, ma nelle sue stesse opere si potrebbe ritrovare la tradizione dell’ikebana, l’arte di disporre i fiori unita ad una visione surrealistica. Quest’opera è stata mostrata nell’89 al museo di San Francisco.
L’ultimo artista che vi mostro in questa presentazione è Miran Fukuda. Così come Morimura anche quest’artista utilizza "quadri storici" rivedendoli in maniera molto personale, ma mentre Morimura penetra nel quadro, lei cerca di decostruirlo. Il fiore che vedete è un fiore vero mentre il quadro ha tutte le caratteristiche della sdolcinatezza Kitsch.
Ora vi voglio mostrare anche se brevemente alcune immagini di artisti che hanno partecipato alla mostra Out of Bounds, letteralmente fuori dai legami, fuori dai confini, che si è tenuta l’anno scorso, in Giappone, in una piccola galleria di proprietà di Endo. Non mi sento di categorizzare la presenza degli artisti secondo determinate direzioni, non posso dire quale sviluppo sta prendendo il lavoro di un artista rispetto ad un’altro, ma di certo ci sono dei punti di contatto tra i loro lavori. Tutti utilizzano la loro cultura tradizionale e la cultura internazionale riuscendo a mischiare le due cose. È questo alla fine il vero materiale nella società contemporanea per l’arte e per gli artisti. Potremmo dire quindi che il vero cuore dell’arte non si trova più esclusivamente in poche grandi città dell’occidente, anche per la politica del mondo dell’arte. Realizzare mostre è una delle strategie di potere, ma vi sono delle novità anche in questo caso, per esempio quest’anno in settembre ha avuto luogo la Biennale di Kwanju. Erano presenti circa cento artisti, la maggior parte con installazioni di grandi dimensioni. Ben i due terzi degli artisti provengono da paesi non-occidentali e la maggior parte sono giovani per lo più poco noti. Nel catalogo gli organizzatori hanno ripetuto che l’arte non deve essere solo espressione ma anche informazione. Insieme alla Biennale sono state organizzate altre sei mostre collaterali; due di queste hanno una radice prettamente politica, una verteva sull’arte e la tecnologia. Dopo aver organizzato la mostra Transculture e dopo aver visto la Biennale in Corea sento che la cosa più importante sia ascoltare il contesto e lo sfondo culturale delle diverse culture che formano la base dell’arte e dell’estetica. Siamo in un momento in cui dobbiamo riconsiderare cosa è universale e cosa non lo è, e ciò che non è universale può essere ugualmente importante. Ritengo che dobbiamo continuare a cercare le nuove visioni del nostro tempo.
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