Diana Al-Hadid
Alexander Apostol
Salvatore Arancio
Alexandre Arrechea
Armando Andrade Tudela
Tim Hyde
Andre Komatsu
Nicola Lopez
Ishmael Randall-Weeks
Andrea Sala
Ishmael Randall Weeks
Una collettiva che riunisce dieci artisti dalla ricerca e ambito di provenienza molto differenti il cui lavoro riposiziona e ricontestualizza criticamente e concettualmente la storia convenzionale dell'arte, dell'architettura e del design al fine di evidenziare le coincidenze fra il politico, il poetico e l'estetico. A cura di Ishmael Randall Weeks.
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a cura di Ishmael Randall Weeks
Artisti: Diana Al-Hadid, Alexander Apostol, Salvatore Arancio, Alexandre Arrechea, Armando Andrade Tudela, Tim Hyde, Andre Komatsu, Nicola Lopez, Ishmael Randall-Weeks, Andrea Sala.
'Tutti noi abbiamo sogni che ci rassicurano. L'architettura è un palcoscenico in cui abbiamo bisogno di sentirci a nostro agio per poter recitare.' A Handful of Dust, JG Ballard, tratto da The Guardian Weekly, Lunedì 20 Marzo 2006
‘Does the angle between two walls have a happy ending?’ riunisce dieci artisti dalla ricerca e ambito di provenienza molto differenti il
cui lavoro riposiziona e ricontestualizza criticamente e concettualmente la storia convenzionale dell'arte, dell'architettura e del design al
fine di evidenziare le coincidenze fra il politico, il poetico e l'estetico. Il titolo è preso da un annuncio pubblicato da JG Ballard in AMBIT,
la leggendaria rivista inglese con la quale lo scrittore ha collaborato negli anni '60 e che ha lasciato una traccia unica, e a volte sovversiva,
attraverso saggi sull’arte, sulla poesia e sul sociale. Partendo dall'eredità del modernismo e dalla sua influenza sulla produzione
postindustriale, il progetto vuole essere una riflessione sul paesaggio urbano, sul suo sviluppo architettonico e sulla stampa tipografica,
intesi come poli di attrazione o di conflitto che determinano le conseguenti scelte e azioni di inclusione o esclusione.
L’architettura ha avuto da sempre un ruolo fondamentale nei cambiamenti politici, sociali e ideologici che hanno segnato il corso
del nostro modo di vivere e per questo risulta campo privilegiato per una approfondita analisi delle dinamiche sociali. Mentre alcuni degli
artisti in mostra esplorano il potenziale delle idee utopistiche, altri guardano verso un ormai decaduto idealismo del modernismo
(rappresentato da 'un futuro che avrebbe potuto essere' nell’ottica dell'attuale visione della crisi e del crollo del modernismo). Ci sono
diversi punti d’incontro fra i lavori presentati: le relazioni tra architettura, forma e natura; l'indagine sui concetti di tempo e spazio in un
contesto storico e in quello moderno; le sfide alla natura della percezione nella storia dell'architettura, del design e della pittura;
l’esplorazione di spazi pubblici e privati attraverso architettura e urbanistica con una specifica relazione alle questioni sociali.
La relazione fra lo spazio fisico, il tempo e la percezione, e in particolare la sua evoluzione nel contesto storico e moderno, è al
centro delle ricerche di Tim Hyde, Alexander Apostol e Armando Andrade Tudela. Il lavoro di Apostol parte dallo sguardo sulla città come
luogo per osservare gli effetti secondari della modernità (in particolare in America Latina) per esplorare i lati più oscuri di un progresso
segnato dal fallimento delle utopie. In modo simile, Armando Andrade Tudela sceglie di mettere in discussione i presupposti concettuali
e formali di modernità creando spazi e ambienti eterogenei costruiti attraverso un punto di vista architettonico, geografico e sociale.
Contemporaneamente, Tim Hyde usa l'architettura modernista come palcoscenico per mettere in mostra la relazione fra lo spazio e le
interazioni fisiche in modo da sfidare il meccanismo dell’interpretazione e mettere in discussione la natura della rappresentazione
La tensione fra ordine e disordine nelle opere di Nicola Lopez, Salvatore Arancio e Diana Al-Hadid è fortemente evocativa ma allo
stesso tempo profondamente inquietante. I loro lavori si incontrano nell'analisi della rappresentazione storica così come nell'architettura
come metafora (spesso alterando e capovolgendo o invertendo il soggetto) per riflettere sulla fragilità e sul caos del mondo
contemporaneo. Mentre Al-Hadid realizza delle costruzioni apparentemente impossibili che evocano i sentimenti di instabilità e di
disorientamento connessi a edifici labirintici, Arancio invece sceglie di confrontarsi con la sospensione tra reale e finzione attraverso
un'enfasi sulla costruzione e sull'organizzazione per suggerire, in un certo senso, l’inefficacia dell’umano rispetto alla natura. Lopez, d'altra
parte, usa l'architettura e la struttura architettonica per creare immagini di paesaggi che lottano vorticosamente contro se stessi oltre
ogni controllo o comprensione.
Alexandre Arrechea, Andre Komatsu, Ishmael Randall-Weeks e Andrea Sala hanno in comune un approccio fisico e concettuale al
disegno e alla costruzione dei propri lavori attraverso un interesse profondo sia negli spazi pubblici che privati con riferimenti a specifici
modelli architettonici e contesti sociali. Mentre Komatsu è affascinato dalle procedure di costruzione e di distruzione scegliendo di usare
rifiuti e macerie raccolti per strada a cui attribuisce una nuova funzionalità, Randall Weeks preferisce trasformare gli stessi materiali in
funzionali costruzioni o unità abitative con lo scopo di interrogarsi sui progressi delle società attraverso il design, l'architettura e le
scienze. Similmente, Arrechea concentrandosi sull'analisi delle strutture di potere realizza composizioni di architettura surreale creando
un 'teatro dell'assurdo' dove sono in gioco l'eredità intellettuale del socialismo e le sue contraddizioni.
D'altra parte, le forme aperte e
quasi non risolte di Sala sospendono in un certo senso il concetto dell’appartenenza dell’architettura e dell’oggetto di design al proprio
tempo, rivelano una natura più selvatica che ordinata, mentre il design ha subito negli anni un’evoluzione logica e lineare per cui un certo
tipo di risoluzione formale è riconducibile alle possibilità tecniche e alle necessità (o alle velleità) tipiche di un’epoca ben precisa. Andrea
si appropria dell’oggetto indagato, in certi casi lo riduce drasticamente di scala prima ancora di cambiarne i connotati, per poi trasferirne
il destino in un mondo a parte, in un immenso e, allo stesso tempo, domestico archivio immaginario, un giardino delle forme possibili.
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curated by Ishmael Randall Weeks
Diana Al-Hadid, Alexander Apostol, Salvatore Arancio, Alexandre Arrechea, Armando Andrade Tudela, Tim Hyde, Andre Komatsu, Nicola Lopez, Ishmael Randall-Weeks, Andrea Sala.
“All of us have our dreams to reassure us. Architecture is a stage set where we need to be at ease in order to perform. "
(A Handful of Dust, JG Ballard, The Guardian Weekly, Monday 20th March 2006)
‘Does the angle between two walls have a happy ending?’ brings together ten artists from varied discourses and backgrounds, whose work critically and conceptually reposition and re-contextualize formal histories of art, architecture and design in order to highlight intersections between the political, the poetic and the aesthetic. The title is taken from an advert placed by JG Ballard in Ambit, the legendary magazine he helped to edit in the 1960's, which blazed it's own unique and often subversive trail through art, poetry and social commentary. The project is intended as a reflection on the urban landscape, its architecture and typography - within the legacy of modernism and its imprint on post-industrial production - as a contention and/or attraction that delineates actions and positions of inclusion and exclusion. To look at architecture - as social fabric or catalyst - is to look at a discipline within our society that has had a major role on the political, social and ideological changes that have marked the course of our lifetimes. While some of the artists in this project explore the potential of utopian ideas, others look towards a passing idealism of modernism (embodied in “a future that could have been” within a current view of modernism’s crisis and demise). There are several crossovers and intersections among the artists’ works: first the relationships of architecture and form to nature; second, the investigation of time and space within the history and processes of modernity; third, challenges of the nature of perception in the history of architecture, design and painting; and fourth, an exploration into public and domestic spaces through architecture and urban design with a specific relationship to social issues.
In the conceptually based approach of Tim Hyde, Alexander Apostol and Armando Andrade is an investigation into the relationship between physical space, time and perception, particularly within the history and processes of modernity. Within the work of Apostol a care is taken to look towards the city as a place to view the side effects of modernity (particularly Latin America as a case study that is symptomatic of its potential for malfunction or dysfunction) and to explore the darker sides of progress where utopias have gone awry. Similarly, Andrade Tudela chooses to question the conceptual and formal presuppositions of modernity by creating heterogeneous spaces and environments that are defined by an architectural, geographical and even social viewpoint. Meanwhile, Tim Hyde uses modernist architecture as a backdrop in order to render visible the relation between space and the physical interactions they enable so as to challenge interpretation and question the nature of representation.
The tension between order and disorder in the works of Nicola Lopez, Salvatore Arancio and Diana Al-Hadid are both beautifully evocative and deeply disquieting. Where their works intertwine is in the observation of historical representation as well as architecture as metaphor (often times altering and turning it upside-down or inside-out) to reflect on current fragilities and chaos in the world. Where Al-Hadid makes seemingly impossible constructions that evoke feelings of instability and unrest within concepts of architecture as labyrinth, Arancio chooses rather to deal with the suspension of the real and the fictional through an emphasis on construction and staging to suggest, in a sense, a human inefficiency against nature. Lopez, on the other hand, uses architecture and structure to create images of landscapes that struggle against themselves often spinning beyond control or comprehension.
Alexandre Arrechea, Andre Komatsu, Ishmael Randall-Weeks and Andrea Sala have all a physical and conceptual approach to drawing and construction that mix a profound interest in both public and domestic spaces with reference to specific architectural models and social contexts. Where Komatsu is fascinated by construction and destruction procedures that are visible in his collecting of trash and rubble from the streets and then attributing a new functionality to those materials, Randall Weeks rather prefers to transform them into functional building blocks that serve to question societies advancements through design, architecture and the sciences. Similarly, Arrecheas’ work is rooted in the scrutiny of power structures that visually are manifested in constructions of displays of surreal architecture, as he creates a theater of the absurd, where the intellectual heritage of socialism and its consequent contradictions are at play. Andrea Sala on the other hand, challenges the nature of perception, within an interest in the history of architecture, design and painting. Sala’s fascination with the world of design and architecture pays a sort of tribute to the mysterious and daily forms that slowly deposit themselves into our visual memory. He seeks out a different potentiality inside an object, and in a sense, captures a new functionality in those objects.
Inaugurazione Giovedi 29 Aprile, ore 18-21
Federica Schiavo Gallery
piazza Montevecchio, 16, Roma
orario: Mart - Sab 12 - 19
ingresso libero