Accademia di Belle Arti
Venezia
Dorsoduro, 423 (Ex Ospedale degli Incurabili)
041 2413752 FAX 041 5230129
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E Pluribus
dal 11/7/2002 al 10/11/2002
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Segnalato da

LUIGI VIOLA




 
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11/7/2002

E Pluribus

Accademia di Belle Arti, Venezia

Nell’ambito di “Working in Aula 2”, E Pluribus, un’esposizione delle recenti opere realizzate dai giovani artisti del Corso di Pittura, a cura di Luigi Viola e Fabrizio Gazzarri. E Pluribus fa seguito a Il Suono Giallo, concerti e seminario su arte e musica contemporanea in collaborazione con Nicola Cisternino, Tours, ricognizione sul lavoro dei giovani artisti che operano nell’Aula 2, Zwei Dimensionen, confronto artistico tra le Accademie di Venezia e Düsseldorf, in collaborazione con Martin Layer Pritzkow.


comunicato stampa

Dal 12 Luglio al 10 Novembre 2002 l’Accademia di Belle Arti di Venezia presenta, nell’ambito di “Working in Aula 2”, E Pluribus, un’esposizione delle recenti opere realizzate dai giovani artisti del Corso di Pittura, a cura di Luigi Viola e Fabrizio Gazzarri:

Cristina Alquati Michele Bazzana Marco Benetazzo Susanna Castelli Mirco Corato Alvaro Dal Farra Marilia Dimopoulou Paola Ganz Paola Gatti Kensuke Koike Barbara Lionello Peter Mignozzi Laura Montorio Nicola Olivieri Victoria Parrilla Lisa Perini Filippo Pozza Marco Thiella Claudia Tombel Angeliki Tsotsoni Chiara Zanella Sara Zanoni

Working in Aula 2 è un laboratorio in progress, una iniziativa culturale permanente sviluppata da alcuni anni nell’ambito delle attività di ricerca della cattedra di Pittura. E Pluribus fa seguito a Il Suono Giallo, concerti e seminario su arte e musica contemporanea in collaborazione con Nicola Cisternino, Tours, ricognizione sul lavoro dei giovani artisti che operano nell’Aula 2, Zwei Dimensionen, confronto artistico tra le Accademie di Venezia e Düsseldorf, in collaborazione con Martin Layer Pritzkow.

Le opere non sono state scelte semplicemente secondo un criterio di valore intrinseco, né con il solo intento di offrire uno spaccato delle molteplici esperienze compiute, benché questi elementi siano stati tenuti in qualche misura egualmente presenti, ma piuttosto con la velata intenzione di prospettare una sfida, se così si può dire, a noi stessi, al nostro modo di intenderci ed allo stesso tempo ad un moderno luogo comune.
Il quale vuole contrapposto all’ormai anacronistico modello accademico del maestro, che plasma l’esperienza degli studenti secondo i principi di una propria soggettiva esemplarità poetica, rischiando così di diventare il sostituto di un principio estetico normativo, quello ad esso polare che propone per antitesi un’identità frantumata ed irriconoscibile, quale infatti oggi per molti versi non può che essere.

Identità caratterizzata però molto spesso dalla banale adesione al principio non meno convenzionale, neoaccademico anch’esso e relativistico dell’arbitrarietà incontrollata in ordine alle scelte operative, chiamata anche “libertà individuale di esprimere quel che si sente”, senza alcuna efficace mediazione rispetto ad un effettivo processo ideativo pienamente sviluppato.

Altre volte invece dall’appiattimento creativo nell’ambito della parzialità di una specifica tecnica, come se potesse porsi essa stessa in sé su un ipotetico piano normativo, essendo considerata d’eccellenza e per ciò stesso indiscutibilmente superiore ad ogni altra.

E pluribus unum vuole dare il segno di una differenza rispetto a simili concezioni, sottolineando come l’apertura dell’arte alla molteplicità delle esperienze, dei linguaggi, delle tecniche, dei materiali trovi fondamento non in una sorta di presunta libertà esteriore, priva di vincoli di sorta, ma unicamente nell’assunzione di una necessità originaria nella quale il caso e la libertà stessa riposano insieme. E’ proprio questo difficile ma radicale tentativo di assumere la necessità ogni volta che ci si confronta con il reale, a produrre e rendere possibile una visione, che appare al contempo anche autenticamente libera, non perché ispirata al principio della “libertà individuale di esprimere quel che si sente” ma in quanto vera e propria apertura alla possibilità di rivelazione di mondi priva di ogni finalità estrinseca, frutto di un processo ideativo e formale compiuto.

Da questo profondo radicarsi dell’opera nella necessità e nell’istanza di verità scaturisce ciò che lega in unità il molteplice, così come dal porre questo stesso principio a guida del nostro fare in Accademia e fuori, dal reciproco insegnare ed imparare a pensare e fare l’arte come pratica della coscienza e della conoscenza, come terreno fondativo di una modalità dell’esperire ogni volta nuova, ogni volta possibile, come paradigma di tutti i paradigmi, sicché per questa via si può di fatto giungere al manifestarsi effettivo di uno spirito di fondo che congiunge le diverse esperienze e infonde loro - esaltando tuttavia le individualità - un carattere generale riconoscibile e riconducibile in qualche modo a quello spazio comune di pensiero e di lavoro, di vita artistica, a quel Raumgeist che ci sembra esistere nell’Aula due.

Storia della colonna infame

Emblema dell’esposizione è, d’obbligo, la risanata colonna dorica dell’Aula due sottoposta ad una cura intensiva a base di Vitamina C alcuni anni fa da Peter Mignozzi, mediante un pregevole intervento di rivestimento con bucce d’arancia. Per un lungo periodo egli stesso – al fine di procurarsi il materiale di cui aveva bisogno - ha dovuto consumare grandi quantità del frutto, con indubbio beneficio per la propria salute.
Il risultato però è stato eccezionale innanzitutto per la colonna e lo possiamo capire meglio ora a distanza di tempo. La precisione certosina, l’amore, la qualità artistica, la cura professionale, il rispetto del bene culturale posti nell’intervento, in un primo tempo oggetto di allarme da parte di alcuni preoccupati vicini, scarsamente propensi verso l’arte dell’installazione e poi – a quel che sappiamo - sdegnosamente indicato come orribile esempio di “arte escrementizia” (troppo onore e in quale nobile compagnia ci ha colto l’accusa!!), hanno dato gli esiti da noi sperati, restituendo alla “colonna del disonore” tutta la vivida bellezza dei suoi materiali originari, che non nascondono sulla superficie i segni vitali ed autentici del tempo.

Accademia di Belle Arti
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