More is more. Le sue opere sono un caos danzante di toni e cromie, che si affastellano su curiose superfici di cartone traforato o di plexiglas. La sua sensibilita' e' infatti improntata alla multiforme sensibilita' barocca, eppure i suoi soggetti sono semplici, ricorsivi, immediati.
a cura di Ivan Quaroni
"La prima virtù di un dipinto è di essere una festa per gli occhi", affermava Eugène Delacroix, una posizione assai lontana da una certa sensibilità contemporanea, influenzata dal minimalismo di Mies Van Der Rohe, autore del famoso motto Lessi is more (il poco è già troppo).
Io credo, in accordo con il filosofo pop Franco Bolelli, che "less is simply less", ossia il poco è semplicemente poco. A ben vedere, il mondo non osserva il diktat minimalista. La vita è sempre profondamente rigogliosa, abbondante, esuberante, eccedente. La natura non è mai ingenerosa e il creato è brulicante di vita perfino nelle più aride depressioni desertiche. La verità è che Lessi s more è il comandamento di coloro che antepongono l’eleganza alla vita. Gianna Moise ha scelto la vita. E la natura.
Le sue opere sono letteralmente pregne di colore. Anzi, sono un caos danzante di toni e cromie, che si affastellano su curiose superfici di cartone traforato o di plexiglas. La sensibilità di Gianna Moise è, infatti, improntata alla multiforme sensibilità barocca, eppure i suoi soggetti sono semplici, ricorsivi, immediati. L’artista dipinge prevalentemente mosche, libellule, pesci, fiori, cuori e mandorli fioriti con una vena sperimentale che la porta a usare qualsiasi materiale si trovi a portata di mano.
Keith Haring diceva: "penso che si debbano controllare i materiali in modo misurato, ma è importante lasciare che essi abbiano una sorta di vita propria". Gianna Moise asseconda la natura dei materiali, piegando il proprio modus operandi alle necessità del caso. Quando dipinge sul cartone traforato, usa colori che possano riempire il largo reticolo di fori che ne compongono la trama. Se usa il plexiglas, è attenta a esaltarne le virtù di trasparenza e lucentezza. In sostanza, nella ricerca dell’artista ogni materiale e ogni tecnica si piegano alle esigenze di uno sperimentalismo dolce, la cui origine risiede forse in un atteggiamento di orientale condiscendenza verso l’intima essenza di tutte le cose.
Gianna Moise non è un’artista prometeica, conflittuale, smaniosa d’imporre il proprio dominio sulla materia inerte, ma piuttosto una creatrice naturale. "Non è tanto il linguaggio del pittore che si deve sentire", affermava Van Gogh, "quanto quello della natura". Non è un caso, quindi, che proprio la natura, con le sue forme, sia anche la principale fonte d’ispirazione dell’artista. La scelta di soggetti che lei stessa definisce "non offensivi", è il riflesso di una particolare sensibilità cognitiva. Nel proemio al suo Symbolum, Tommaso D’Aquino scriveva che "la nostra conoscenza è talmente debole che nessun filosofo ha mai potuto investigare sulla natura di una singola mosca".
Le mosche di Gianna Moise, in quanto creature che si posano indifferentemente tanto sulla melma quanto sul più prezioso dei gioielli, incarnano quella estremamente rara qualità umana che consiste nell'essere a proprio agio ovunque e in qualsiasi situazione. I pesci e le libellule (così come le mosche) sono esseri fluttuanti e leggiadri, che si muovono col favore delle correnti, e dunque in sintonia con il naturale flusso dell’universo. Se Paul Cézanne dichiarava di voler dipingere "la verginità del mondo", Gianna Moise sembra, invece, più interessata a coglierne essenza, se non addirittura l’intrinseca saggezza.
I più recenti lavori di Gianna Moise rappresentano alberi di mandorlo fioriti, dipinti minuziosamente su lastre di plexiglas che proiettano la loro aggraziata ombra su un fondo colorato. Sono opere deliberatamente ispirate al Van Gogh più orientale, quello affascinato dalla folgorante visione dei maestri xilografi giapponesi. In Questa libera interpretazione di un motivo iconografico tradizionale è evidente come l’imitazione della natura per l’artista passi sempre attraverso il filtro dell’arte.
Viene in mente Renoir, quando afferma che "nel dipingere è difficile capire qual è il momento in cui l’imitazione della natura deve fermarsi", una sentenza cui fa eco il celebre aforisma di Oscar Wilde, per il quale "La vita e la natura possono servire talvolta come materia prima per l'arte, ma avanti che l'arte possa farne uso, occorre che converta entrambe in convenzioni artistiche".
Con le sue opere, Gianna Moise cerca di convogliare nell’aureo empireo dell’arte frammenti sparsi della natura. Talvolta li imbriglia nella fitta trama dei suoi cartoni, traboccanti d’oro e colore, talaltra li custodisce in sfere trasparenti, compiute e perfette come piccoli mondi. Viene il sospetto che le sue opere siano una sorta di espediente per restituirci la visione ravvicinata di qualcosa di veramente sfuggente e inafferrabile. Qualcosa che, per essere colta, presuppone uno slancio da parte dell’artista che la conduca dal pensiero critico a una vera sensibilità di creazione. Una sensibilità, si diceva, sperimentale. Perché, come scrive Franco Bolelli , "la sperimentazione non è più una fase o una nicchia, non è avanguardia né un impulso giovanile […], ma è ormai una condizione di vita, assoluta e permanente e tremendamente appassionante". E questo Gianna Moise l’ha capito assai bene.
Inaugurazione 19 maggio ore 19
Obraz
vicolo Lavandai, 4 Milano
da martedì a sabato 15-19