In the Bratto's word. Mostra dedicata agli scatti di Marco Travali ed ai racconti di Elisa Zugno, a cura di Sara Fontana. Performance a cura del gruppo teatrale il grlillo parlante di truccazzano.
a cura di Sara Fontana
Non è da poco che nell’immaginario umano il bosco è lo scenario naturale per la proiezione di sogni
romantici e paure ataviche. La tradizione delle fiabe si è rinnovata nei racconti del terrore e, più
recentemente, nei film e nei romanzi polizieschi (valgano come esempi le mitiche serie televisive di Lost
e Twin Peaks o il romanzo noir Io ti perdono di Elisabetta Bucciarelli).
Sembra voler rispondere all’interrogativo classico dei racconti del mistero: “cosa si nasconde nel bosco?”
anche questa curiosa serie fotografica dedicata al poco esotico bosco di Bratto. E casualmente il suono del
titolo, “In the Bratto’s Wood”, richiama quello di “Bretton Woods”, la cittadina del New Hampshire
che nel 1944 fu sede del primo tentativo mondiale di ricostruzione del sistema monetario.
Nel segno del gioco, e utilizzando un caleidoscopico patrimonio di “oggetti trovati” (frutto di incessanti
vagabondaggi fra il percorso del mercato e il passeggio del flaneur), Marco Travali finge di ritrovare
questi oggetti esplorando il bosco con la sua macchina fotografica. Ne esce una sequenza di piccoli,
fantasiosi diorami simil-naturalistici, in cui le cose messe in scena si sovrappongono o si uniscono a una
descrizione realistica dei luoghi.
Le atmosfere fiabesche e idilliache suggerite dai fiori e dalla dolcezza di volpi e cerbiatti risultano
minacciate dall’irrompere di un’attualità che assume le forme di un immaginario da incubo. Schiere di
soldatini, microfoni inquietanti, telefoni giocattolo e false banconote si conquistano con urgenza uno
spazio in cui sarebbero estranei.
Anche sotto l’aspetto tecnico, la serie “In the Bratto’s Wood” riflette la caduta delle barriere tra
immaginario antico e immaginario contemporaneo: l’oggetto in primo piano e i tempi molto lunghi
bastano a provocare l’”avvicinamento”, senza l’intrusione di set, luci o strumenti esterni. Isolato,
moltiplicato o reiterato in lunghe file ordinate, l’oggetto si offre come chiave di volta dell’immagine e,
al tempo stesso, come elemento straniante.
Ai modi della fotografia macro si sommano echi degli scenari fantastici di Sandy Skoglund o di
Nathalie Djurberg, dando vita a un linguaggio sincretico, che ha assimilato negli anni spunti di
diversa provenienza. Sono esperimenti nella scia di quanto già teorizzato da Man Ray per i propri
“oggetti d’affezione”, tali per cui la defunzionalizzazione degli elementi e la loro neutralizzazione
rispetto al contesto sono concepite per divertire, disorientare e stimolare una riflessione. La
connotazione geografica vera, che avrebbe potuto rafforzare l’idea del reportage documentaristico,
accelera lo svelarsi dell’intento provocatorio volontario, ma lascia nell’oscurità le sue dinamiche più
profonde.
L’intera sequenza di fotografie del Bosco di Bratto finisce per far emergere, forse involontariamente,
questi contrasti atavici, mescolando l’ombra del bosco (la “silva” selvaggia) e i frammenti impazziti
della realtà contemporanea (la moderna “polis”). Ombra e frammento che diventano sinergici nel dare
corpo a una verità sommersa. Se l’ombra lascia spazio alla fantasia per operare una propria
ricostruzione del reale, dando più forza alle linee di demarcazione di un visibile che appare poco
definito, è il frammento che induce al sogno e incita a ridisegnare il mondo attraverso un taglio
percettivo nuovo.
In questi panorami raffreddati nella luce filtrata del bosco, che trovano un riferimento immediato più
nell’immaginario degli X-Files che nel Museo di Scienze Naturali, Marco Travali lascia trasparire la
presenza di un potenziale plot narrativo sotterraneo. Ha raccolto per prima il suo invito Elisa Zugno,
che ha scritto una manciata di racconti ispirati a queste fotografie: microstorie di esistenza quotidiana
che esplorano il lato oscuro della psiche mediante immagini di cruda verità. Una scrittura sobria e
affilata, uno stile rapido e leggero ma sempre efficace.
Quando c’è un bosco oscuro, è facile immaginare che prima o poi vi appariranno un cappuccetto rosso,
un coniglio bianco con l’orologio oppure un cacciatore. Per spalancare le porte alla fantasia, sarebbe
sufficiente un fungo dal cappello rosso coi puntini bianchi. Ma mentre nella tradizione delle fiabe la
natura riesce sempre a disarmare gli intrusi e infine il bosco ricopre ogni traccia, nel Bosco di Bratto
sembra che la barriera con l’irrazionale sia caduta per sempre.
Inaugurazione 12 giugno
Castello Borromeo Arte Contemporanea
Corneliano Bertario - Truccazzano (MI)