'Sembra che le immagini e il personaggio del Che non mi abbandonino piu'. Ciò che fa parte di questo libro ne e' testimonianza.(...) Qui si dipana quindi il filo di una vita, visto attraverso il mio sguardo e il mio obiettivo.' Rene' Burri
Fotografie di René Burri/Magnum Photos
L'Avana, gennaio 1963. Fra Cuba e gli Stati Uniti c'è la guerra. Due anni prima, vi era stato il tentativo mancato di sbarco alla Baia dei Porci, organizzato da Kennedy. Un anno prima, la Crisi dei Missili, che aveva rischiato di provocare una terza guerra mondiale. Quel giorno, fotografo dell'agenzia Magnum, accompagnai la giornalista Laura Bergquist, per un incontro che, in tale contesto, era letteralmente straordinario: si trattava d'intervistare per Look Magazine, il fior fiore della grande stampa americana, il numero due della rivoluzione cubana, Che Guevara. Ci ricevette nel suo ufficio del ministero dell'industria. Due ore d'intervista, due ore di confronto di estrema tensione. Non solo la giornalista rappresentava l'odiato nemico yankee, ma praticava anche il giornalismo all'americana, la domanda-provocazione: di fronte, aveva l'uomo che, invece, rappresentava, agli occhi dei dirigenti e dell'opinione pubblica degli Stati Uniti, l'uomo da abbattere ancor più di Fidel Castro e che non era a corto di risposte provocatorie. Fu lo scontro di due diverse concezioni del mondo, inconciliabili. Tutto preso dalla discussione, il Che non si curò per nulla di me e non si mise mai in posa. Scattai otto rullini. Alcuni cliché hanno fatto - e fanno ancora - il giro del mondo.
Da quel giorno sembra che le immagini e il personaggio del Che non mi abbandonino più. Ciò che fa parte di questo libro ne è testimonianza. Molto più tardi, nel 1987, di ritorno all'Avana, fotografai nelle strade i segni tangibili della presenza del " Comandante ", morto vent'anni prima. Al museo della Rivoluzione, trovai le foto esposte che rappresentano altrettanti punti salienti nella vita del guerrigliero: dalla Sierra Maestra, nella guerriglia cubana, a Valle Grande, nella guerriglia boliviana. Mi capitò anche di acquistarne alcune per strada. E più tardi ancora andai in Bolivia e trovai i luoghi che sono stati quelli degli ultimi momenti del Che, e, per questa mostra e per questo libro, tiro fuori dai miei archivi personali le foto che scattai allora, nel corso dei miei peripli latino- americani, in quegli stessi luoghi in cui i miei passi avevano incrociato quelli di quel giovanotto che non era ancora diventato " El Commandante Ernesto Che Guevara ".
Qui si dipana quindi il filo di una vita, visto attraverso il mio sguardo e il mio obiettivo.
René Burri
Pensieri raccolti da François Maspero
Un libro accompagna la mostra: "Che Guevara", testi di François Maspero, foto di René Burri (Edizioni Nathan, collana Photopoche Histoire)
E' il 2 gennaio 1959 quando il viso di Ernesto Guevara de la Serna viene svelato veramente per la prima volta al mondo. Ha trent'anni. Comanda la colonna della guerriglia castrista scesa dai monti che ha appena vinto la battaglia decisiva di Santa Clara contro l'esercito del dittatore Batista ed entra, capo vittorioso, come avanguardia di Fidel Castro, in una Avana che l'accoglie da trionfatore. Ieri, oscuro piccolo medico argentino che si era messo al servizio dei ribelli cubani, era sconosciuto. Poi (già ) si era creata la leggenda, una doppia leggenda, quella che si raccontavano i cubani, di un " Che " giovane, bello, invincibile, e quella che si era formata all'interno dei servizi segreti americani, di un ambiguo agente comunista, l'angelo nero di Fidel: ma quanti fino a quel momento avevano visto quest'uomo in carne ed ossa? Ora, d'un tratto, eccolo sotto i riflettori. La loro fredda luce non l'abbandona più per tutti i sei anni di un'intensa vita pubblica. Poi, nel 1965, così improvvisamente com'era apparso, ritorna nell'ombra. Un'ombra assoluta. Si parla di lui come di un fantasma. Ossessiona i sogni dei rivoluzionari e gli incubi delle grandi potenze. E, infine, brutale, nuovo ed ultimo colpo di riflettore: ma quello che ritorna nuovamente alla ribalta, sugli schermi e sulla stampa mondiale, nell'ottobre del 1967, è un morto, giustiziato selvaggiamente in una sperduta borgata della Bolivia. La vita termina, ma la leggenda rimane, si amplifica, si deforma, e trent'anni più tardi il viso è sempre là , trasfigurato - o sfigurato.
Ogni essere leggendario ha la propria icona. Quella del Che, così come impone l'era mediatica, è una foto - una delle più diffuse, forse, al mondo. La capigliatura per aureola, uno sguardo perso in cui ciascuno può leggere i propri sogni, il busto arcuato del difensore dei deboli che si offre sia alle pallottole sia al vento della storia, un Che che possiede tutte le virtù dell'icona: è senza tempo. Pochi sanno o si preoccupano di sapere dove, quando e da chi è stata scattata quella foto - in questo caso, all'Avana, il 5 marzo 1960, durante un'assemblea in memoria delle vittime dell'esplosione dolosa, in pieno porto, di una nave carica d'armi, dal fotografo cubano Alberto Korda (che d'altronde non riceverà alcun diritto d'autore, al pari del grafico polacco autore del logo di " Solidarnosc ")-. E se, nonostante tutto, venisse l'idea di datarla, non sarebbe all'epoca in cui fu scattata, cioè di quella in cui il Che, nel pieno della sua rivoluzione, in cui era tutto preso dal compito di forgiare quello che chiamava " l'uomo nuovo ", incontrava i grandi e i meno grandi di tutto il mondo, teneva riunioni con decine di migliaia di persone: la si daterebbe piuttosto all'epoca in cui fu tirata fuori dai cassetti e trasformata in " poster " dall'editore italiano Giangiacomo Feltrinelli, e cioè in quell'anno 1967 in cui il Che, di cui nessuno sapeva se era vivo o morto, non era più che un fantasma che percorreva il mondo, folle speranza per gli uni, cattiva coscienza e spauracchio per gli altri.
Un'apparizione, un essere-meteorite, al limite dell'extraterrestre, uscito dal nulla, senza passato né presente né futuro. La forza di questa magnifica immagine viene dal fatto che, come la locanda spagnola, siccome in essa ognuno poteva trovare ciò che voleva, può servire a tutto: sfondo per grandi celebrazioni politiche, elemento di un pio altare alle glorie della Rivoluzione, decorazione per la camera di un adolescente, decoro di una tee-shirt, logo d'una marca di cigarillos... (...)
Molti fra quelli che non hanno affatto avuto l'occasione di conoscere - o hanno conosciuto poco - Ernesto Che Guevara, non possono far altro che essere soddisfatti del solo ritratto che la versione più diffusa della leggenda impone. C'è anche un'insostenibile contraddizione nel vedere un uomo che si è conosciuto nel momento più florido e più radioso della sua esistenza, perpetuato dall'immagine di un essere che tutto destina alla morte, e che sembra già investito dalla morte.
Le foto del Che di René Burri, al contrario, si iscrivono subito nel loro contesto, e quindi al centro della vita: il periodo dei sei sfolgoranti anni di luce dell'esistenza pubblica, densa, piena, in cui il Che è stato via via -o contemporaneamente- comandante in quello che ancora si chiamava " l'esercito ribelle ", direttore della banca nazionale, rappresentante itinerante della rivoluzione cubana nei più grandi avvenimenti internazionali, raccoglitore di canna da zucchero, ministro dell'industria Per aver vissuto molto brevemente tale incontro nel 1961, posso immaginare cosa fu quello di René Burri con il Che, quando scattò la serie che fu pubblicata sulla rivista americana Look nel 1963. Cuba, bisogna ricordarlo, offriva ancora al mondo della guerra fredda lo spettacolo di una rivoluzione che sconvolgeva tutti i dogmi e tutti i calcoli della Realpolitik. E non solo uno spettacolo. Un manipolo di giovani aveva tentato, come scrisse Régis Debray, di " reinventare la rivoluzione " e il popolo cubano li aveva presi in parola: nel 1963, riforma agraria, nazionalizzazioni, alfabetizzazione, eliminazione della corruzione e della dipendenza, tutto questo aveva un senso, meritava di essere difeso e prospettava un futuro che si poteva sentire a portata di mano e non solo a portata di sogni. La scelta fra la violenza e l'economia di mercato americana e la violenza della coercizione sovietica non era più la sola alternativa. Cuba lottava contro l'una, subendo il blocco degli Stati Uniti, e sembrava ancora mantenere le distanze nei confronti dell'altra attribuendo nuovamente alla parola " comunismo ", snaturata, un senso originale. Si poteva immaginare che non tutto fosse finito. Che Cuba non sarebbe diventata ciò che è oggi, trent'anni dopo la morte del Che: paradossalmente, uno degli ultimi bastioni del " campo socialista ", in cui si perpetuano le tare di una mediocre " democrazia popolare".
Con il suo discorso eclatante, Fidel Castro incarnava allora queste potenzialità . Ma, vicino a lui (e per niente nella sua ombra), il Che era, per i suoi ospiti, l'uomo che viveva la rivoluzione e la faceva agendo e pensando allo stesso tempo: è di questo che le foto di René Burri rendono conto - e, con il suo ulteriore lavoro, rendono conto anche del prima e del dopo di questo periodo di piena luce. Un pensiero in azione, una mente mai stereotipata, riflessione che sapeva rimettersi in gioco continuamente. Si può già vedere, nel corso della breve storia dei suoi sei anni di esercizio del potere, quello che, infatti, avrebbe differenziato il Che da Fidel. Alla dura prova dei fatti, il Che cercava di vincere le difficoltà in funzione di uno scopo immutabile: la necessità di modificare una realtà , quella dell'ineguaglianza imposta ai popoli dell'America latina, " stanchi ", secondo le sue parole, " d'essere oppressi, perseguitati, sfruttati all'estremo " - ogni cosa che aveva vissuto nel suo lungo periplo continentale. Fidel, certo, non parlava in modo diverso. Ma, sotto il discorso, erigeva la propria permanenza al potere come condizione assoluta della realizzazione di tale scopo, sostituendo semplicemente a suo profitto il fine con i mezzi. Per il Che, il potere era anche un mezzo, ma era capace di mettere in conto di perderlo, mantenendo il sangue freddo di fronte a questo, di trovare altri mezzi - e lo fece.
Forse la forza magnetica che il Che esercitava sui suoi ospiti - e particolarmente sull'élite della gioventù latino-americana, se lo si giudica da innumerevoli testimonianze - veniva dal fatto che costoro si aspettavano di trovare, nel bel mezzo di questa rivoluzione straordinaria, un uomo straordinario. Avevano invece di fronte un uomo che, nonostante la sua posizione, il suo rango, la sua fama, si comportava da uomo straordinario con un misto di modestia e fierezza, di serietà e d'ironia. Ed era, infatti, questo fenomeno inedito - un uomo al potere che non era un uomo di potere - ad essere in fin dei conti più straordinario di tutto ciò che ci si aspettava. Era, restava il compagno Ernesto Che Guevara. Nello stesso periodo in cui si poteva leggere, sulle strade di Cuba, indirizzato a Fidel Castro : " Commandante en jefe, ordene! ", che ben riassumeva lo stato di totale disponibilità preteso dal Comandante in capo verso la propria persona, si vedeva nelle aziende questo avvertimento del Che: " Aqui se puede meter la pata, pero no la mano " - che stava a significare che si aveva il diritto all'errore ma non al profitto personale -, e che metteva ognuno di fronte alle proprie responsabilità nel lavoro collettivo. Se il Che appariva come fuori del comune, era perché sapeva, nel proprio interlocutore, nell'altro, in tutti noi, gente comune, risvegliare ciò che ci poteva essere di straordinario, di fuori dal comune, esigendo talvolta sforzi estremi, non per la propria persona ma per tutti. (...)
François Maspero
(Estratto di "Che Guevara", Photopoche Histoire, Edizioni Nathan)
René Burri
Nato nel 1933. Svizzero.
Vive in Svizzera e a Parigi.
Arriva alla Magnum Photos nel 1955.
Studia alla scuola di belle arti a Zurigo presso J. Itten, H. Finsler e A. Willimann.
Si presenta alla Magnum Parigi con uno dei suoi primi reportage sui bambini sordomuti, che viene ben presto pubblicato in Life Magazine e da altre riviste in Europa. Grande viaggiatore, si reca soprattutto in Medio Oriente. Fotografa per la rivista svizzera "Du" artisti come Picasso, Giacometti e Le Corbusier.
Partecipa alla creazione di Magnum Films nel 1965 e parte per un viaggio di sei mesi in Cina, dove realizza un film "The two faces of China" (le due facce della Cina) prodotto dalla BBC a Londra. I suoi reportage in America Latina e in Asia saranno pubblicati da tutta la stampa. Il ritratto di Che Guevara è diventato famoso. Vice presidente europeo di Magnum a Parigi nel 1982. Coordina la mostra "Terre de guerre" (terra di guerra). Nel 1984, il Kunsthaus a Zurigo e il Palais de Tokyo a Parigi gli dedicano un'importante retrospettiva. Pratica anche il collage e il disegno.
Nel 1997, espone il suo lavoro su Che Guevara contemporaneamente a Parigi, Fnac Forum, e a Zurigo, Rudolf Mangisch Galerie und Auktionshaus (dal 9 al 22 ottobre, Akazienstrasse 7, 8008 - Zürich).
Bibliografia
1963 " Les Allemands "
1968 " El Gaucho "
1974 " La Grèce "
1976 " Lost Pony "
" The Architecture of Luis Barragan "
1979 " In search of the Holy Land "
1984 " René Burri One world: Fotografien und Collagen 1950-1983 "
1986 " Die Deutschen: Photographien 1957-1964 "
" Ein amerikanischer Traum: Photographien aus der Welt der NASA und des Pentagon "
1988 " René Burri, One World: an edit "
1994 " Gauchos - René Burri: Cuba y Cuba "
1997 " René Burri, Che Guevara "
1998 " Photo Poche "
" Monographie "
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