Sono cittadino del mondo. La mostra raccoglie lavori recenti, realizzati tra il 2006 e il 2010, in cui il gusto per la ricerca millimetrica si combina con l'assorto distacco di bagliori bianchi che sospendono l'affanno, mentre la qualita' cromatica e la semplicita' degli insiemi ribadiscono un linguaggio comune che ha preso avvio in Carmi con immobilita' metafisiche realizzate negli anni Quaranta - inizi Cinquanta.
a cura di Elena Giampietri
Essere cittadino del mondo per Eugenio Carmi è già nella storia della sua vita: nato a Genova nel 1920, studia chimica in Svizzera, inizia poi a Torino una lunga esperienza di studio sotto la guida di Felice Casorati; responsabile dell’immagine Italsider dal 1958 al 1965, riesce a coniugare la sua formazione scientifica con la sensibilità artistica, in un’analisi fine, rigorosa e sottile della valenza percettiva del colore e delle strutture geometriche. Le numerose esposizioni, dalla Biennale di Venezia nel 1966, all’Istituto di Arte Contemporanea di Londra nel 1968 e, ancora, l’antologica del 1990 a Milano, sua città di adozione da circa cinquant’anni, rassegne a San Francisco, Budapest, in Lussemburgo, alla XIII Quadriennale d’Arte di Roma del 1999, solo per citarne alcune, ne fanno un artista attento ed acuto, capace di recepire le evoluzioni del tempo e della società. Negli ultimi dieci anni il suo spirito di navigatore genovese inquieto e curioso lo ha portato a Roma, in occasione di una personale alla Camera dei Deputati, a Barcellona, Praga, alla New York University, all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e Copenaghen, fino alla recente antologica al Museo d’Arte di Ravenna. Si può quasi dire che più il tempo passa e più Carmi affina il suo occhio lucido, fissando sulla retina le trasformazioni del mondo, i sogni che attraversano la realtà o quelli della notte, la prosa e la poesia della vita.
La sua ricerca, fatta di emozioni sottese, non disdegna l’ascolto dell’inconscio e le sue proiezioni, cerca verità e libertà d’interpretazione, nell’enigma di una realtà instabile e sommersa, in cui il prodigio della fecondazione delle cose si schiude tra ordine e disordine (Fecondazione tra ordine e disordine, 2008). Gli eventi accadono per pura combinazione, a volte sono come miraggi, mentre il mondo cambia senza che sia nota la direzione: tutto è in fondo conflitto ed asimmetria, anche quelle combinazioni di forme astratte e ben calibrate, come dalla squadra di un carpentiere, che sono così care a Carmi, pulite nei loro contorni scanditi ma anche sospese tra inquietanti interrogativi esistenziali. Il disegno complessivo del mondo si può solo intuire, proprio perché non è mai definitivo: quando si pensa di averlo acquisito con la fissazione delle forme, il dialogo stesso che ne deriva non le isola ma le immerge nell’instabilità delle forze. Gli equilibri compositivi, potenzialmente smossi all’improvviso, vanificano anche la seppur minima presunzione di certezze momentanee e riprende così, ancora più bello ed arricchente, il viaggio dell’intuizione e della scoperta. Carmi, in questo, non può non essere appunto un cittadino del mondo, immerso nel fluire della vita, degli spazi e del tempo.
Ciò, poi, che è comunemente inteso come perfezione, il cerchio, lo è solo in apparenza. Lontano da concezioni rinascimentali che intendono scemare dubbi e inquietudini, Carmi richiama con questa figura l’infinito e imperituro senso dell’inizio e della fine, in una sintesi di eternità a spirale concentrica che è pur sempre mistero (Anche il sole è un cerchio misterioso, 2008), a volte anche congiunta all’angoscia (Il cerchio e l’ansia, 2008). L’appartenenza comune è ai tempi della storia, tradotti in rapidissimi istanti che scorrono (Frammenti del tempo che passa, 2007), e il dominio dell’autodeterminazione si risolve pertanto in una fugace credenza, mentre il presente è trascorso pensando (Sempre pensando, 2007). Solo in questo modo, i sorrisi di domani (I sorrisi di domani, 2008) possano trapelare nonostante le incertezze, mentre la riflessione dell’artista è immersa nelle contraddizioni dell’oggi (Italia mia, benché il parlar sia indarno…, 2009) e cerca una bellezza che è somma di tentativi, non concetto assoluto. La mostra raccoglie lavori recenti, realizzati tra il 2006 e il 2010, in cui il gusto per la ricerca millimetrica si combina con l’assorto distacco di bagliori bianchi che sospendono l’affanno, mentre la qualità cromatica e la semplicità degli insiemi ribadiscono un linguaggio comune che ha preso avvio in Carmi con immobilità metafisiche realizzate negli anni Quaranta - inizi Cinquanta.
Là il colore era steso in modo corposo e pieno, ma già si intuiva quel gusto serrato per la composizione rigorosa che richiama Casorati e preannuncia, nella tensione dei volti, le soluzioni astratte degli anni Settanta. Nella produzione artistica del Maestro a regnare sono il silenzio e la capacità di cogliere impercettibili segni di un mondo infinito e sfuggente. Non è un’assurdità né una contraddizione che quanto più si osservano le opere di Carmi tanto più si coglie, in un sentire interiore e solitario, come i triangoli siano in fondo inquieti e i quadrati mai perfetti, perché coniugati in un insieme di forme che traducono la complessità del mondo, affastellandosi tra di loro in innumerevoli combinazioni e altrettante casuali ed imprevedibili soluzioni. Il rigore geometrico è un cartesiano modo di pensare, ma nulla toglie – nella mente artistica del Maestro – di mettere in gioco anche ciò che appartiene alla sfera delle percezioni e delle emozioni, al sentire vago e confuso che vuole svincolarsi da eccessiva categoricità (L’emozione, 2006). Le agglutinazioni di colore, le successioni modulari suggeriscono infatti una scansione del tempo come fosse un percorso di ciottoli (Ricordando Eraclito tutto scorre, 2009), che sa di quel “filar di formiche rosse nel meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro” di un altrettanto grande genovese del secolo scorso: comuni sono i passi lungo la muraglia, com’è la vita e il suo travaglio (Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto).
Il focus è soprattutto sul colore, i passaggi da vuoti a pieni, le linee e le superfici, i bianchi e gli accenni di divagazione di strisce e mezzelune di colore che conducono chissà dove e risentono degli apporti di Kandinskij, Malevič, Albers, fino a risalire ai Fauves e Matisse, ma possiedono anche un valore magico: è come se appartenessero al mondo dei giochi di un demiurgo che si diletta con la palla e il piano inclinato, allinea e disallinea, con un tocco di mano, la geometria euclidea che si incontra con l’enigma dello spazio. Non a caso, percorrendo a ritroso il lavoro di Carmi, tra 1980 e 1994 i paesaggi sono in bilico, quasi luoghi della meditazione e dell’utopia, mentre tra gli anni Settanta e Ottanta si assiste ad un progressiva attenzione verso lo spazio ribelle, ciò che non si vede, gli ossimori presenti persino nel quadrato e tondo, dopo la serie di segnali immaginari elettrici in plexiglas e luce al neon del 1970. Tra la metà degli anni Sessanta e il 1970 Carmi utilizza invece scarti industriali come latte litografate, di cui studia la struttura modulare e geometrica, per poi approdare al SPCE (struttura policiclica a controllo elettronico) in occasione della Biennale di Venezia del 1966, quando ormai è evidente l’interesse per le opere elettroniche basate sulla dinamizzazione percettiva dell’immagine. Carm-O-Matic (1968), un generatore di immagini che registra sullo schermo combinazioni di forme e colori variabili in base ad una cellula stroboscopica sensibile ai suoni esterni, sintetizza l’interesse costante del Maestro per il colore, le possibili combinazioni e i ritmi di forme pure, mentre negli anni Sessanta il processo creativo assume le valenze di un mondo usurato dal tempo e consunto: fogli di giornale, stoffe, carte e citazioni di lettere dell’alfabeto sanno dell’incontro tra gesto e materia. La nobiltà della pura intuizione è capace di attingere alla definizione di sagome rosse e nere, che lasciano il campo della carta e del collage al gioco delle forze dell’universo. Le associazioni di materia tradiscono invece, ancora una volta, il perdurare del tempo e, invano, la ricerca in esso di un assoluto limpido e cristallizzato. Così è anche nell’attuale ricerca, dove i ricordi sono silenzi di memorie, le presenze combinazioni di colori e linee mai ripiegate su se stesse, ma capaci di tessere profondi dialoghi e intrecci di inviti.
Elena Giampietri
Inaugurazione 17 luglio
Antico Castello sul Mare
Lungomare Vittorio Veneto, Rapallo
Tutti i giorni 18-23, lunedì chiuso
Ingresso gratuito