La mostra ripercorre, attraverso una selezione di circa 100 opere tra dipinti e sculture, il variegato percorso creativo dell'artista, mettendo in evidenza soprattutto la sua attenzione rivolta all'uso in chiave artistica di materiali frutto delle nuove tecnologie industriali. Il percorso espositivo si apre con gli 'Allumini a luce mobile' che rivelano la sua attenzione verso l'interazione fra forma, materiale e luce. Si conclude con le sculture realizzate negli anni 60 e 70 in gommapiuma ed altre plastiche.
La mostra al Museo della Fondazione Roma ripercorre, attraverso una selezione di circa 100 opere tra dipinti e sculture, il variegato percorso creativo di Sante Monachesi (Macerata 1910-1991), mettendone in evidenza i momenti più originali e soprattutto la sua attenzione rivolta all’uso in chiave artistica di materiali frutto delle nuove tecnologie industriali.
Promossa dalla Fondazione Roma, cui si deve l’impulso alla realizzazione dell’evento a celebrazione del centenario della nascita dell’artista, grazie all’iniziativa del suo Presidente, il Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, la mostra sarà aperta al pubblico dal 21 settembre al 24 ottobre.
L’ARTISTA. La città marchigiana dove Sante Monachesi nacque nel 1910, Macerata, chiusa nel suo riserbo rinascimentale, appariva troppo angusta al giovane artista per soddisfare il suo desiderio di nuovo e il Futurismo sembrò allora rappresentare per lui l’occasione per evadere da quel mondo provinciale: la mostra allestita nell’estate del 1922 dal pittore Ivo Pannaggi presso il Convitto Nazionale era stata sufficiente ad innescare una bomba destinata a far deflagrare il sonnolento ambiente provinciale e la lettura del testo di Boccioni Pittura e Scultura Futurista fece il resto. Monachesi divenne futurista e lo fu per il resto dei suoi giorni: il capo storico del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti lo accolse a Roma e lo introdusse nel vivace laboratorio culturale dell’Urbe e Monachesi corrispose a quanti avevano creduto in lui creando sculture metalliche e dipinti di impronta futurista, pronto però già nel 1941 ad abbandonare quelle sperimentazioni per navigare verso altri lidi.
Gli anni Cinquanta sono segnati dall’esperienza francese e dal successo incontrato dai suoi nuovi dipinti presso la galleria Silvagni di Parigi: visitando i sobborghi della capitale, ancora segnata dalle ferite lasciate dal secondo conflitto mondiale, Monachesi era rimasto impressionato dai grandi palazzi in costruzione ed elaborava la serie dei "Muri ciechi", imponenti muraglie prive di finestre che attendevano di essere affiancate da altri edifici, rese dall’artista con ampie campiture di colore puro, rosso squillante, azzurro smaltato, bianco accecante, che si levano contro un cielo vaporoso e si fanno pura astrazione. Non è facile indicare i nomi dei pittori d’oltralpe alle cui opere guardò in quegli anni con più profitto: Utrillo, Marquet, Matisse e Dufy sono i primi che vengono alla mente, evidenziando così l’eclettismo e la capacità di rielaborazione del pittore marchigiano.
L’atmosfera inquieta e trasognata della metropoli francese, con la sua intensa vita notturna tornata a splendere dopo gli affanni della guerra, con i teatri e i caffè letterari, stimola in Monachesi il desiderio di elaborare opere nuove, animate da una gioia di vivere sincera: ecco allora nascere la serie dedicata alle clownnesses, procaci donne nude che indossano cappelli simili a quelli dei clowns o delle fate rappresentate nelle miniature tardogotiche, raffigurate dal pittore marchigiano nell’atto di danzare sospese nell’aria e sempre pronte a divertirsi, come le protagoniste di un eterno baccanale.
Anche le nature morte offrivano a Monachesi l’opportunità di esprimere la sua personale visione del colore, interpretato con una libertà di tocco e una rapidità che rasentano la stenografia di De Pisis: non sono certo le calibrate e severe nature morte care ai sodali del Novecento Italiano, ma sembrano piuttosto l’epilogo contemporaneo di un filone più esuberante e sensuale, quello delle turgide etalages degli specialisti barocchi che si ravvisa nelle tele madide di umori rugiadosi di Christian Berentz o piuttosto, per parlare di un artista presente in varie collezioni marchigiane, dello Spadino.
Nei primi anni Quaranta, Monachesi compone nature morte dai colori densi e vibranti, trattati con pennellate corpose: gli ortaggi e gli oggetti della quotidianità sono disposti in un apparente disordine e si affollano sui piani dei tavoli, quasi ribaltandosi verso di noi. Con il passare del tempo, i colori si fanno più chiari e gli oggetti si articolano in composizioni più studiate, caratterizzate da mazzi floreali disposti entro altri vasi policromi. I fiori variopinti stilizzati da Monachesi non hanno certo l’aspetto rarefatto e fragile di un ikebana, ma piuttosto il sapore fragrante dei bouquets composti con i fiori trovati ai margini delle strade di campagna o nei campi: tese su steli rigidi come aste di bandiera, le corolle di Monachesi non svelano alcun interesse per l’appassire e il lento disfarsi, allegoria del mesto passare del tempo, ma sembrano piuttosto destinate a conservarsi fragranti per l’eternità, testimoniando così l’inesauribile vitalità del loro creatore. I colori puri, violenti, sempre più vivaci sugli sfondi che si vanno schiarendo nel corso degli anni fino a diventare bianchi, hanno il vigore primordiale di un approccio selvaggio e sensuale all’arte del dipingere, dominato dall’istinto e dalla passione, che è il tratto di tutta l’opera di Monachesi.
Instancabile promotore di nuovi movimenti artistici il pittore marchigiano nei primi anni Sessanta non rimase insensibile al progresso tecnologico e alla appassionante gara in corso fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti per la conquista dello spazio.
"Nell’epoca dei satelliti artificiali, spiegava, mentre l’uomo si accinge a conquistare la luna è possibile continuare a dipingere gli stessi oggetti, o meglio, a dipingere con lo stesso intento di una volta?": nasceva da queste considerazioni l’Astralismo, al quale faceva seguito nel 1962 un nuovo movimento "Agrà", presentato nel 1964 in occasione della XIII Biennale di Venezia. "Non cadremo più", dichiara Monachesi in quella circostanza, e gli oggetti fluttuano, come risucchiati in un gorgo cosmico che, superate le leggi della gravità, origina il comporsi di forme astrali dai colori vivaci, navicelle pronte ad affrontare il viaggio intersiderale alla ricerca del nuovo.
Ciò che accomuna le creazioni dell’artista marchigiano, nel suo spaziare dalla pittura alla scultura, dalla letteratura al cinema, è la coerenza interna alle sue opere: l’espressione libera da condizionamenti, di autonomia artistica, di desiderio sperimentale, persino di anticonformismo, che tutto accomuna nel suo divagante procedere creativo; una sorta di furor che caratterizza anche altri artisti che dalla piccola patria marchigiana si sono affacciati alla grande ribalta internazionale, scoprendosi desiderosi di sperimentare soluzioni nuove, talvolta senza nemmeno chiedersi se ciò fosse coerente con quanto realizzato in precedenza.
IL PERCORSO ESPOSITIVO si apre e si chiude con le sculture ideate da Monachesi, proprio per mettere in rilievo il suo importante ruolo anche nell’ambito dell’arte plastica e prende avvio con gli "Allumini a luce mobile" che rivelano l’attenzione dell’artista verso l’interazione fra forma, materiale e luce che con la sua mobilità concorre a determinare i rilievi delle opere.
L’esposizione si conclude invece con le sculture realizzate negli anni Sessanta e Settanta, consentendo così di apprezzare la modernità della riflessione estetica di Monachesi che mostra di voler sfruttare per finalità artistiche i nuovi materiali plastici di produzione industriale: la sperimentazione di Monachesi si focalizza sulla scoperta della gommapiuma i cui grandi fogli divengono la materia prima per la creazione di opere plastiche, le Evelpiume, nate dalla semplice azione del "legare e sciogliere" che l’artista suggeriva di praticare anche a quanti visitavano le sue mostre.
Contemporaneamente l’artista marchigiano è fra i primi a comprendere le potenzialità espressive legate all’uso del metacrilato con il quale modella ampie forme plastiche caratterizzate da colori intensi - gialli accesi, rossi squillanti, azzurri profondi - che contraddistinguono anche la sua pittura: il materiale trasparente attraversato dalla luce si smaterializza e la scultura acquista una leggerezza che ne contraddice la stessa essenza plastica.
Mostra e catalogo a cura di: Prof. Stefano Papetti e Archivio Sante Monachesi
Catalogo edito da De Luca Editori. Costo in mostra € 22,00, di copertina € 28,00
Organizzazione Civita
Ufficio stampa
Barbara Izzo-Arianna Diana Tel. 06 692050220-258 cell. 348-8535647 izzo@civita.it; diana@civita.it
Anteprima stampa Lunedì 20 settembre dalle ore 11.00 alle ore 13.00
Inaugurazione Lunedì 20 settembre ore 18.00
Fondazione Roma Museo
via del Corso, 320 Roma
Orario:
Dal martedì alla domenica dalle ore 11.00 alle ore 20.00 (l’accesso alla mostra sarà garantito fino alle ore 19.30)
Ingresso: Biglietto intero Euro 6,00; Ridotto Euro 4,00.