Per la mostra l'artista ricrea l'ambiente domestico e familiare, ma allo stesso tempo straniante e psichedelico, degli interni delle case borghesi del Giappone degli anni '70. Appesi al soffitto grandi lampadari al neon lampeggianti o che imitano lo stile delle sospensioni settecentesche veneziane, alle pareti specchi dalle cornici ridondanti e dai colori fluorescenti.
a cura di Marco Berengo
Com’è sua abitudine l’artista ricrea, negli spazi della galleria, l’ambiente domestico e familiare, ma allo stesso tempo straniante e psichedelico degli interni delle case borghesi del Giappone degli anni ‘70.
Appesi al soffitto grandi lampadari al neon lampeggianti o che imitano lo stile delle sospensioni settecentesche veneziane, alle pareti specchi dalle cornici ridondanti e dai colori fluorescenti.
Il lampadario-scultura, elemento protagonista dell’esposizione, evoca una presenza significativa nelle nostre vite quotidiane: in particolare l’opera realizzata dall’artista con la collaborazione della fornace Berengo Studio gioca con la contemporaneità dei tubi di luce al neon e la forma classicheggiante dell'oggetto più tradizionale e rappresentativo per Venezia, il “lampadario Rezzonico”, ideato nel 1700.
Il messaggio che l’artista vuole trasmettere? Nessuno, se non il desiderio di capire perché, oggetti tanto familiari, creino in lui un senso di disagio e sgradevolezza.
La sensazione che si ha entrando in una “room-size installation” di Higashionna è quella di immergersi in un incubo dai colori accattivanti, in una cacofonia di riflessi e luci.
Eccesso e ostentazione sono due sostantivi che descrivono bene il suo lavoro e l’estetica giapponese che lui descrive e sulla quale ironizza sarcasticamente. I giapponesi negli anni Settanta hanno vissuto un periodo di benessere e prosperità economica, durante il quale il loro paese si è aperto al mondo occidentale. Si è diffuso in quegli anni il desiderio, per non dire l’ambizione, di assomigliare agli europei e agli americani.
Tale ammirazione per la cultura dell’Ovest ha portato ad un consumo e imitazione ossessivi dei valori estetici occidentali, digeriti però dal gusto locale. Nasce così la cosidetta “Japanese fluorescent culture”, un’estetica precisa frutto del mix di qualcosa di pacchiano con qualcosa di inusuale e stravagante.
L’artista dice di trarre ispirazione per le sue opere dai ricordi della sua infanzia, dice di voler rappresentare il quotidiano, così come lo percepisce lui: amichevole, ma allo stesso tempo pauroso, consueto e conosciuto, ma anche insolito ed estraneo.
Questa sorta di “dualismo affettivo” è stato compiutamente descritto da Freud nel 1919, che lo ha definito “perturbamento”, inteso come il sentimento che nasce quando in un oggetto o in una situazione si uniscono caratteristiche di estraneità e familiarità. E’ il “ritorno del rimosso” inteso come riaffioramento di qualcosa di negato, riemersione di ricordi infantili, nel caso di Higashionna, che lo riportano ad un periodo nel quale si sentiva un”quasi-occidentale”, nella sua casa d’origine “quasi –americana” con uno stile di vita “quasi-consumistico”. Yuichi Higashionna. Venice/Tokyo
Inaugurazione venerdì 8 ottobre 2010, ore 18
Venice Projects
Dorsoduro, 868, Venezia
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 18
Ingresso libero