Castel Sismondo
Rimini
piazza Malatesta
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Tre mostre
dal 22/10/2010 al 26/3/2011
lun-ven 9-19, sab e dom 9-20
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22/10/2010

Tre mostre

Castel Sismondo, Rimini

'Parigi. Gli anni meravigliosi' presenta circa novanta opere provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo e, articolata in tre sezioni, pone a confronto i pittori del Salon e gli impressionisti; 'Caravaggio e altri pittori del Seicento' accoglie quindici dipinti, tutti di grande formato, provenienti dal Wadsworth Atheneum di Hartford. L'antologica di Alberto Gianquinto espone una ventina di opere dell'artista, pittore elegante, solitario e coerente testimone di una profonda conoscenza del colore, del segno, della forma. Mostre a cura di Marco Goldin.


comunicato stampa

Parigi. Gli anni meravigliosi. Impressionismo contro Salon
a cura di Marco Goldin

Mentre Bouguereau e i suoi amici imperversavano al Salon parigino, all’inizio degli anni sessanta del XIX secolo, quattro giovani pittori allora quasi sconosciuti, e tutti più o meno transitati dall’atelier di Charles Gleyre, cominciavano la loro lunga strada che li avrebbe portati a modificare profondamente il senso della pittura in Francia e in Europa nel decennio successivo. Sentivano forte la scossa nuova che alla pittura era venuta da Corot e Courbet da un lato e Manet dall’altro. Sentivano il corpo vivo e vero della natura davanti ai loro occhi, la luce e il colore trasmettersi in modo diverso.

Entro la misura di un’evocazione che non doveva più garantire il riferimento a quella sorta di coreografia storica che per primi gli artisti di Barbizon avevano mostrato di voler scardinare. Ma non era soltanto un discorso, certo per immagini, rivolto al paesaggio, perché tutti e tre quei pittori avevano indicato con forza come l’impatto della realtà sullo sguardo radicalmente modificava anche l’immagine di un volto, di un corpo, di una figura.

Quando William Adolphe Bouguereau presenta, al Salon del 1864, con il numero di catalogo 217, la sua grande Bagnante (oggi al Museo di Gand e presente in questa esposizione), non fa altro che tener viva quella lezione raffaellesca che egli aveva portato all’estremo limite di una lisciatura di pelle quasi diafana, apparentemente immobile e priva di vita nella sua perfezione. E che nell’essere addirittura troppo perfetta, tendeva alla cimiterialità. Nei medesimi anni, da un altro spalto di storia nella stessa Parigi di Bouguereau, Edouard Manet dipinge un’ampia tela che nell’essere identica quanto a soggetto rappresentato, se ne distanzia fino ad apparire come la nascita definitiva di un nuovo mondo della pittura, che per lungo tempo però si sviluppa parallelamente all’arte del Salon. Le Bagnanti sulla Senna, nel loro essere laica, laicissima rappresentazione di un corpo, e sua ostensione su un ricciolo di fiume dai tenui fumi colorati quasi tizianeschi, nascono a quella inedita pittura come rappresentazione del visibile e del veduto (Antonin Proust che ci racconta come Manet scrutasse, lungo la Senna ad Argenteuil, donne che uscivano dall’acqua, per farne infine un grande nudo) e come impatto vivido e poetico della quotidianità. La bagnante non era più, come in Bouguereau, icona di una staticità che proveniva dal mondo della statuaria quasi. E in questo senso un utile parallelo potrebbe essere fatto con Jean-Baptiste-Paul Cabet e per esempio la sua versione di Susanna al bagno esposta al Salon del 1861. La bagnante era invece per Manet parte viva del mondo, e la sua pelle non più diafana ammetteva il peso della vita.

E mentre Manet compiva questi passi di una sconvolgente modernità, i quattro giovani pittori venivano nominati come école du plein-air. Scuola senza esserlo, come si vedrà in seguito e anche molto bene in questa mostra. Ma Pissarro, Monet, Renoir e Sisley cominciavano a dare al paesaggio un volto nuovo, percorso senza sosta dalla forza della luce e del vento che spettina le nuvole. Che faceva del colore un punto di inarrivabile consistenza, rovesciando in questo modo il ruolo anche dell’ombra. E al principio del decennio successivo, quando venne preparandosi la prima delle otto rassegne impressioniste, i piccoli villaggi attorno a Parigi furono il teatro, vibrante quant’altri mai, di una devozione totale alla luce e al colore. I nomi di quei villaggi sono passati alla storia della pittura, da Argenteuil a Louveciennes, da Marly a Pontoise. Essi sono come parole incise una volta per sempre, perché la visione della natura, sotto l’impulso soprattutto di Monet, vi mutò in maniera piena e totale. Non si trattava più d’inventare un mondo, quanto piuttosto di guardarlo, amarlo, farlo proprio. La visione diventava ciò che l’occhio fisico comunicava all’occhio interiore.
Eppure la storia del Salon, più che non si creda, è storia anche di partecipazioni da parte di tutti i giovani pittori impressionisti, che ovviamente vedevano in quel luogo lo spazio per una possibile affermazione. Pur contraddicendo con le loro opere il senso di una stucchevole musealizzazione. Ma per esempio Bazille, a proposito di un suo quadro accettato al Salon del 1870, non riesce a trattenere l’entusiasmo: «Tutto il mondo lo vede e ne parla. Molti ne dicono più male che bene, ma insomma sono lanciato.»

E la mostra di Rimini vuole indagare, per la prima volta in Italia, e facendo ricorso a circa novanta opere provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo, proprio questo capitolo affascinante, quando il nuovo giunge e un grande muro viene opposto a quel giungere. Ma anche quando attraverso quel muro, il muro del Salon, passa il fascino che accende e accompagna la dimensione della pittura. Non a caso Frédéric Chevalier, in un articolo sul Salon del 1877 per la rivista «L’Artiste», e intitolato significativamente L’impressionismo al “Salon”, dopo avere compiuto un paragone con quanto Giorgione a Venezia e Correggio a Parma fecero per svecchiare «la severità dello stile alto», così prosegue: «L’impressionismo ha finito per entrare al Salon ufficiale. Da questo punto di vista, analizzando non per partito preso le opere dei diversi artisti contemporanei, ci si rende conto della sua importanza entro il movimento naturalista dei giorni nostri e si dà il giusto valore agli elementi di rinnovamento che esso contiene.»

Non sarà del resto inutile ricordare come, ovviamente al di là di Manet, al Salon siano stati a più riprese accettati Monet e Pissarro, Sisley e Degas, Bazille e Renoir, Cézanne e Guillaumin, Morisot e Fantin-Latour, solo per dire dei principali artisti più o meno riconducibili all’impressionismo e tutti presenti in questa mostra, anche con opere precisamente esposte nei Salon o rifiutate nella loro partecipazione. Tra gli altri, soprattutto Corot e Daubigny dalla Giuria ufficiale del Salon, spingevano affinché i rappresentanti della giovane pittura francese fossero accolti tra le alte cimase.

La mostra quindi, articolandosi in tre sezioni di carattere tematico (la prima Volto, corpo e figure, la seconda Nature sospese, la terza Lo specchio della natura) pone a confronto sui medesimi soggetti i pittori del Salon con gli impressionisti e prima di loro gli artisti legati a Barbizon. E lo fa anche dopo una lunga ricerca di opere sparse in molti musei francesi di provincia, che detengono dipinti, talvolta di grande formato, dei pittori legati al mondo ufficiale e che mai si vedono nelle mostre. Di modo che quello che alla fine risulti sia un vero capitolo della storia artistica in Francia nella seconda metà del XIX secolo.

Perché l’esposizione tocca proprio questo periodo, con il suo punto d’avvio però legato a un famoso quadro di Ingres del 1800. Dipinto nel dicembre del 1800, dunque da un Ingres appena ventenne, il Torso maschile rappresenta, secondo le parole di Vincent Pomarede, «un approccio realista e sensuale al corpo umano, unito a un lavoro raffinato sulla luce e sul modellato e a una perfetta sapienza di tocco. E già a questo punto traspare la sua idea successiva sulla realizzazione del corpo, che rifiuta i principi dell’anatomia a favore della naïveté e dell’impressione suscitata dal modello.» Questo precoce dipinto, concesso in prestito dall’École nationale supérieure des beaux-arts di Parigi, e che proprio per le ragioni di immediata modernità addotte da Pomarede aprirà la rassegna riminese, entro i dettami dell’Accademia ma già aperto con lo sguardo sul futuro, venne realizzato da Ingres per partecipare, come in uso tra gli allievi dell’Accademia, al concorso denominato della “demi-figure peinte”. Tradizionalmente chiamato “Prix du torse”, venne creato nel 1784 da Maurice Quentin de La Tour. Nell’edizione del 1800, Ingres colse il primo premio, che gli venne consegnato il 2 febbraio 1801.

Ingres che rappresenterà per molti, nel campo della figura e del nudo da Gérôme a Bouguereau e da Dugasseau a Cabanel come ben si vedrà a Rimini, il fondamentale, e certamente ineludibile, riferimento. Fino a quel celeberrimo dipinto di Bazille, uno dei caposaldi del nascente impressionismo, La Toilette, rifiutato al Salon del 1870 e che chiude la parte dei nudi nella mostra di Castel Sismondo.

Questa prima, foltissima sezione ha molti altri punti di forza. Dai corpi sacri distesi da Henner a Bonnat, nella luce fosca di una rivelazione fortemente spirituale e sofferta, fino ai veri e propri ritratti, che da rappresentanti del Salon come Delaunay e Baudry, Bonnat e Carolus-Duran, Bertrand e Couture, attraverso il sublime passaggio di Corot e Courbet, tra l’altro con quel suo capolavoro indiscusso che è La filatrice addormentata del 1853, giunge alla strabiliante stagione impressionista con Manet e Degas, Fantin-Latour e Renoir, Cézanne, Caillebotte, Morisot, Bazille e Gauguin fino alla scultura di Rodin. E infine da non dimenticare la sosta su alcuni autoritratti, da Ingres a Fantin-Latour e Guillaumin.
La seconda sezione, dedicata al tema della natura morta, lavorando ancora sul confronto tra gli artisti del Salon e gli impressionisti, così collocati in una continuità sulla parete e sul puntuale raffronto, affianca il principale pittore accademico di natura morta, Bonvin, con una notissima natura morta di Bazille. O sul tema dei fiori, Maisiat e Benner a Fantin-Latour e Renoir, a Pissarro e Gauguin, assieme a nature morte di frutta e oggetti di Manet e ancora Renoir, Monet e Cézanne, entro i confini di un genere che pur meno frequentato dagli impressionisti non ha mancato di manifestarsi in molti dipinti splendidi.

Perché certamente il trionfo di quella che venne definita la Nouvelle peinture, si celebra nella terza e ultima sezione della mostra, dedicata al paesaggio. Con uno stacco perfino esagerato se si considera la pittura classica di paesaggio in Francia nel corso del XIX secolo e soprattutto la sua prima metà, ma certamente con un solco che resta ampio anche nella seconda parte del secolo. Rousseau, Courbet, Millet, Daubigny, Chintreuil, Boudin ma soprattutto Corot rappresentano, con ogni evidenza, il punto di passaggio tra un prima e un poi e su questo l’esposizione farà la sua opportuna sosta, considerando anche quanto pittori neo-naturalisti o di Salon come Laurens e Busson, Ségé e Couture, Lepic e Carolus-Duran, Bastien-Lepage e Lhermitte, realizzano sul tema dello sguardo sulla natura.

Anche qui nel confronto dapprima con i precoci paesaggi impressionisti degli anni sessanta dell’Ottocento, come per esempio il grande quadro di Sisley del 1867, ed esposto al Salon di quell’anno, Il sentiero dei castagni a la Celle-Saint-Cloud, o certe vedute di villaggi in Normandia realizzate da Monet tra l’altro a Honfleur a metà di quel decennio, ma poi prendendo l’avvio quella strabiliante stagione, gli anni settanta, che sono il pieno e autentico tempo dell’impressionismo. Con Monet, presente in tutto con una quindicina di opere, ovviamente al centro della scena, nel suo transito da Argenteuil a Vétheuil. E accanto a lui le opere di Pissarro e Sisley, di Cézanne e Renoir, Guillaumin e Morisot, Gauguin e Van Gogh. I dipinti poi di Monet negli anni ottanta, e ugualmente compresi nella mostra, portano verso quel secondo tempo dell’impressionismo che ne genererà la crisi e una forte modificazione. Quando lo stesso Monet, all’apparire sulla scena di Seurat, leggermente imiterà il suo procedere. Ma quella diventerà un’altra vicenda, sul cui limitare questa mostra s’arresta.

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Caravaggio e altri pittori del Seicento. Capolavori dal Wadsworth Atheneum di Hartford
a cura di Marco Goldin

Il Wadsworth Atheneum di Hartford, nel Connecticut, è il più antico museo americano, ancora oggi uno dei più importanti, con una collezione folta di capolavori che spazia dai maestri dell’arte europea soprattutto del Seicento e del Settecento, una fondamentale sezione impressionista, una grande parte dedicata all’arte americana dell’Ottocento e una sezione dedicata alla pittura del XX secolo, che parte da Matisse, Picasso e Klee, tocca in modo ampio il Surrealismo di Magritte, Dalí, Ernst e Tanguy giungendo fino a Pollock, Rothko e Wyeth in America.

Considerato che nel 2010 si compiono i 400 anni dalla morte di Caravaggio, Castel Sismondo ha scelto di ospitare, nel tempo stesso della mostra Parigi. Gli anni meravigliosi, una seconda, straordinaria esposizione dal titolo Caravaggio e altri pittori del Seicento. Capolavori dal Wadsworth Atheneum di Hartford. Si tratta di una sublime selezione di quindici dipinti, tutti di grande formato, da quel nucleo così importante che nel museo americano è dedicato proprio al Seicento. Naturalmente originando da quel capolavoro indimenticabile che è L’estasi di San Francesco di Caravaggio, primissimo quadro di soggetto religioso dipinto dal grande artista attorno al 1594.

Si tratta della prima composizione di Caravaggio impostata su più figure, è il suo primo dipinto di carattere religioso, il suo primo esperimento di ambientazione paesaggistica e uno dei primi esempi in cui l’artista utilizza la luce sia in senso letterale, per illuminare la scena, sia in senso figurativo, come metafora della presenza divina. Ogni aspetto di quest’opera è eccezionale e innovativo. Il modo in cui l’artista interpreta l’estasi che accompagnò la morte metaforica di Francesco e la sua rinascita spirituale nell’immagine di Cristo è alquanto insolita per l’assenza del serafino celeste, per la posa del santo non inginocchiato in preghiera bensì riverso e per la presenza del grazioso angelo fanciullesco. Caravaggio volle chiaramente alludere alla morte metaforica di Francesco e alla sua rinascita spirituale nell’immagine di Cristo. Nel dipinto sono proposte in modo esplicito le analogie tra la vita di Francesco e quella di Cristo: le figure intorno al fuoco ricordano l’annuncio della nascita di Gesù ai pastori, l’abbraccio di sostegno da parte dell’angelo è basato sulle rappresentazioni dell’agonia nell’Orto degli Ulivi e la posa di Francesco, atteggiato come il corpo della Pietà, richiama l’immagine di Cristo morto sostenuto dagli angeli. Il gesto dell’angelo, con l’indice e il pollice agganciati intorno al cordiglio del santo in modo da volgerlo verso l’osservatore per rendere visibili le ferite, sottolinea, insieme all’estatico mancamento della morte e della rinascita spirituale di Francesco, il ruolo di quest’ultimo come imitatore di Cristo.

Attorno a questo dipinto capitale, la mostra si compone di opere insigni di autori che da Caravaggio hanno tratto esempio; Cigoli, Morazzone, Gen--tileschi, Strozzi, Saraceni in Italia. Quindi in ambito spagnolo Zurbarán, con una delle sue opere più riconosciute, il San Serapione del 1628, un quadro affascinante che rivela l’intimo collegamento, esistente nell’arte spagnola del XVII secolo, tra scultura e pittura. Il modo in cui è ritratto il santo è infatti estremamente realistico, al punto che si ha quasi l’impressione di poterlo toccare.

E poi Ribera, con il suo Il senso del gusto, 1614-1616 circa, che rivela un evidente legame con il naturalismo e il chiaroscuro del Caravaggio. Quindi, Le Sueur in Francia e la Scuola fiamminga e olandese con Sweerts, Van Dyck e Hals, il più importante ritrattista di Haarlem nel secondo quarto del XVII secolo, con il Ritratto di Joseph Coymans, 1644, eseguito con pennellate vivaci e indipendenti per tratteggiare la personalità dinamica del personaggio ritratto in conformità alle convenzioni della ritrattistica di quel tempo.

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Alberto Gianquinto. Opere rare 1959-2003
a cura di Marco Goldin

L'intento di questa preziosa antologica che raccoglie una ventina di opere rare di Alberto Gianquinto (Venezia 1929-2003), molte delle quali provenienti dalla collezione di famiglia, e' quello di dare, se possibile, il senso piu' completo di questo grande artista, pittore elegante, solitario e coerente, testimone di una profonda conoscenza del colore, del segno, della forma.

Gianquinto e' un artista complesso, sfaccettato, intellettuale. La sua e' una pittura meditata, studiata: indagine e riflessione, composizione e ricerca, avvicinarsi progressivo a quella essenzialità e a quel rigore che paiono spesso segni d'ascetismo, di sobrietà di forme e colori.
Ma accanto a questa marcata componente intellettuale, Gianquinto e' anche un poeta indagatore di emozioni e di sentimenti, colmo di passioni forti e solide, un poeta generoso e rigoroso fino alla durezza e all'inflessibilità, ma la cui vena lirica ed elegiaca non rinuncia a prendere il suo spazio, le sue epifanie.

La sua ricerca si e' svolta lungo tutto il corso del Novecento senza pero' mai poter essere incasellata in alcuna specifica corrente artistica. Gianquinto ha dipinto sin dall'inizio il reale cosi' come veniva riducendosi nella sua essenza poetica, nella sua posizione di segno; vedeva le cose disfarsi, sciogliersi sotto l'emozione del guardare e scopriva la loro capacità plastica di deformarsi, subendo l'impronta dell'occhio emozionato. Dalle prime nature morte, attraverso i grandi quadri “storici”, i paesaggi meridionali, i paesaggi veneti, i giardini di Asolo, i frumenti, i quadri dentro il quadro, quello di Gianquinto e' stato un percorso che ha sempre costeggiato la realtà, dipingendone le impronte, le ombre, i fantasmi e le essenze. In questo senso ha reinventato la realtà per mezzo dei suoi elementi, ne ha saputo dare un'immagine semplice e ambigua, ridotta in superfici e risonante in profondità, ricca di pensieri e di suggerimenti. La sua pittura sa sciogliere nel ricordo e nella memoria il senso stesso della realtà; e' l'attesa di un annuncio di liberazione, la chiamata a un impegno che e' soprattutto la pittura, la devozione all'arte come vocazione; una devozione che si traduce nella grammatica sobria dei colori, la geometria sublime di una pittura di solide sorprese, di riflessioni poetiche essenziali, fatta di un colore che definisce e costruisce, che impagina e si fa architettura di quella realtà fantastica e visionaria.

Caratteristiche della sua pittura rimangono la forza della sua ricerca, la coerenza, l'originalità, la serietà, la trama di indagini sommesse e non esibite, lo spessore culturale. Una pittura che non “rappresenta” ma restituisce il massimo degli elementi dell'esperienza visiva; se infatti la si percorre con lo sguardo, essa rivela uno straordinario equilibrio compositivo, una geometria costruttiva, strutturale, che e' tutta raccolta nella lucidità architettonica del suo lavoro.

La sostanza ultima della pittura di Gianquinto e' dunque un imperativo razionale e poetico; l'intelaiatura dello spazio, l'equilibrio del colore, il taglio sempre sapiente, la nitidezza delle forme evocate e proposte; ed e' al contempo anche una lezione di metodo per cui il suo percorso e' la testimonianza di uno stile di vita e di un impegno culturale e artistico totale.

Immagine: Alberto Gianquinto: Due figure guardano la luna diventar piccola, dopo il suo sorgere, 2002 olio su tela, cm 81 x 100 collezione privata

Immagine: Frédéric Bazille: toilette, 1869-1870 olio su tela, cm 132 x 127 Montpellier, Musée Fabre

Ufficio Stampa
Studio Esseci
di Sergio Campagnolo
info@studioesseci.net
http://www.studioesseci.net

Vernice per la Stampa: Mercoledì 20 ottobre dalle 13 alle 18
Inaugurazione: sabato 23 ottobre con l'apertura straordinaria delle mostre e dei negozi del centro storico aderenti all'iniziativa Rimini Art Card, dalle 20 di sabato alle 2 di domenica 24 ottobre.

Castel Sismondo
piazza Malatesta - Rimini
Orari: lun-ven 9-19, sabato e domenica 9-20
Chiuso 24, 25, 31 dicembre 2010
1 gennaio 2011: ore 10 - 20
Biglietti: intero 13, ridotto 11, ridotto speciale 8

IN ARCHIVIO [18]
Franco Sarnari
dal 30/3/2012 al 2/6/2012

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