Otto lavori inediti. In sintonia con la sua ricerca recente, le opere esposte vertono principalmente sulla tematica dell'assenza e della sparizione, riferite all'identita' tanto dell'opera quanto dell'autore.
Per la sua mostra personale allo Studio Dabbeni, Giulio Paolini, tra i maggiori esponenti dell’arte del nostro tempo, ha ideato otto lavori inediti, allestiti sui due livelli della galleria.
In sintonia con la sua ricerca recente, le opere esposte vertono principalmente sulla tematica dell’assenza e della sparizione, riferite all’identità tanto dell’opera quanto dell’autore. Pur non avendo mai rinunciato alla seduzione di dati visibili e fatti materiali, Paolini ha da sempre assunto l’eclisse e l’eclissarsi del soggetto (nella duplice accezione del termine) come questione centrale della sua poetica. Se in passato lo sguardo era orientato principalmente verso il farsi dell’opera, verso l’istante della sua possibile rivelazione, in tempi recenti l’attenzione si è focalizzata soprattutto sulla verifica della legittimità o della necessità di questo stesso mostrarsi. L’identità dell’opera diviene più evanescente e imperscrutabile, quasi fosse soltanto l’eco di una perduta memoria: uno dei due lavori al piano terreno si chiama addirittura “Senza più titolo”. L’unico dato certo – attestato dagli elementi messi in scena – rimane l’intenzione che presiede all’attesa di un’opera, ovvero l’impossibilità di rinunciare all’urgenza che sempre da capo muove l’artista a predisporre un’“area riservata”, una stanza “privata” per l’enigmatico “accadere” dell’opera d’arte. E quanto più l’opera è riconosciuta come Assoluto – indifferente a ogni possibilità di appropriazione o di rappresentazione – tanto più l’autore si dichiara estraneo alla sua concezione. Se fin dal suo primo quadro (Disegno geometrico, 1960) Paolini ha formulato il rifiuto a considerare l’opera un veicolo di espressione o uno strumento di comunicazione, in tempi recenti la sua identità di mero “spettatore” si è ulteriormente radicalizzata. La scelta dell’esilio volontario è diventata la condizione del “suicida felice”, uscito di scena per ribadire il proprio sacrificio rispetto alla voce assoluta dell’opera.
Tutti i lavori in mostra presentano superfici di formato quadrato, inteso come “dimensione generale, neutrale e perfetta, accolta come dato pre-esistente e immutabile, anche se di misura sempre diversa”. In La pietra filosofale, l'opera esposta nello spazio d’entrata della galleria, un foglio da disegno, trafitto al centro da una matita, è sospeso sopra un misterioso “mondo al buio”, allestito su una pedana di plexiglas specchiante (15 x 220 x 220 cm) e costituito da un cubo di plexiglas brunito (90 x 90 x 90 cm), dentro il quale una sedia da regista in posizione capovolta trattiene degli indecifrabili disegni su fondo nero. Nel secondo ambiente, Senza più titolo si compone, in modo similare, di volumi in plexiglas, in questo caso trasparenti e accostati su una pedana bianca: sopra i cubi (90 x 90 x 90 cm ciascuno), un colonnato in gesso di un tempio in costruzione o in rovina delimita uno spazio occupato da una piccola “cella” di plexiglas, presidiata ai vertici da quattro statue in miniatura di carabinieri in alta uniforme, nella quale sono custoditi dei frammenti di elementi pressoché impercettibili.
Al piano ammezzato Les herbes folles propone il disegno di un atelier, dove al suolo “crescono e si accumulano i resti dei lavori in corso: frammenti di carta e plastica, matite consumate, contenitori vuoti…”. Al primo piano, cinque lavori a parete (tutti con teche di plexiglas 60 x 60 cm) annunciano delle “immagini latenti”, che pur esistenti “evitano di farsi riconoscere, di fissarsi in episodi corrispondenti a qualcosa di certo ed evidente”. Synopsis è un dittico con due fotografie in campo e controcampo dello studio dell’artista, che ambientano l’attesa dell’opera nel luogo per eccellenza deputato alla sua apparizione. In Detto (non) fatto quindici teche ordinate in tre file contengono ciascuna un frammento manoscritto di un testo dell’artista, che “descrive l’urgenza di conformarsi come esposizione – o deposizione giurata – nel corso del processo rivolto ad appurare la legittimità della realizzazione materiale di un’opera d'arte”. Questo e/o quel quadro e Natura morta si compongono ognuno di due parti complementari, che hanno per oggetto la rappresentazione dei due volti di uno stesso quadro. Nell’ultima stanza, Suicida felice “è la metafora della figura dell’artista escluso, per sua volontà adagiato ‘fuori quadro’ nello spazio neutro delle linee intermedie tracciate tra la superficie del ‘quadro nel quadro’ e l’area nella quale noi in effetti ci troviamo” (tutte le citazioni sono dell'artista).
In occasione della mostra, che cade in corrispondenza del 70° anniversario di Giulio Paolini, lo Studio Dabbeni pubblica il 70° numero della rivista temporale (con copertina, progetto speciale e scritti dell’artista). Per le Edizioni Dabbeni è stata inoltre realizzata una cartella grafica, intitolata Promenade, che riprende le dieci tavole del progetto ideato dall’artista per temporale.
Per notizie biografiche e approfondimenti sull'artista si rinvia al suo sito web: http://www.fondazionepaolini.it
Inaugurazione 12 novembre
Studio Dabbeni
corso Pestalozzi 1, Lugano
Mart - Ven 09.30 - 12, 14.30 - 18.30
Sabato 09.30 - 12, 14.30 - 17
ingresso libero