Volti d'Italia ... a mia immagine. Partendo spesso da immagini celebri, come nel caso di personaggi storici, tra il serio e il faceto, con una tecnica in bilico tra pittura e scultura (quella del cartone romano meglio nota come cartapesta), Bruno compone le tessere dei suoi puzzle.
Rosario Bruno predilige alcuni dei generi artistici più tradizionali, la natura morta, il nudo femminile e soprattutto il ritratto, ma li declina in modo del tutto personale, coniugandoli a una tecnica in bilico tra pittura e scultura, quella del cartone romano (meglio nota come cartapesta, anche se tra le due definizioni vi sono sottili differenze), molto usata a partire dal Settecento specialmente nel Sud Italia per la creazione di statue sacre e apparati effimeri nelle feste religiose, ma anche per maschere e carri del Carnevale. Nato a Siculiana (Agrigento, 1945), dopo il diploma all’Istituto d’arte di Sciacca (città dalla celebre attività carnascialesca) si trasferisce a Roma a metà degli anni Sessanta (1965-7), dove entra in contatto con l’ambiente artistico della capitale.
Il linguaggio di matrice pop allora dominante incide sul suo immaginario, ma egli guarda con interesse soprattutto a quegli autori, come Mimmo Rotella, impegnati in interventi sui materiali, sulla loro fisicità legata a un processo di trasformazione dell’immagine. La prima personale è a Brescia nel 1969, ma è agli inizi degli anni Settanta che, abbandonata la pittura tout court Bruno si dedica all’uso della carta, tappa finale di un processo lento, meticoloso, quasi artigianale che parte da un modello in argilla per passare poi al calco in gesso, a sua volta supporto per quello stratificarsi di carta e colla, pagine di giornali, ritagli, fogli leggeri e colorati, tasselli accostati secondo le più varie nuance di colori, costruiti bendando e svelando le figure, facendo scaturire dalla materia ‘bruta’, come in un processo di trasformazione alchemica, la solenne perentorietà di una scultura a tutto tondo, di un busto o di un bassorilievo.
Da questo paziente lavoro di costruzione nasce l’opera, che visivamente si presenta come la trasposizione in termini di volume e spazio di un grande mosaico, un’arena in cui segni e solchi s’incrociano, si avvicendano, tracciano i confini tra i singoli brani di un volto o di un oggetto, simili a un cretto il cui processo di disgregazione è sublimato dalla fascinazione del colore. In un continuo alternarsi di pieni e vuoti, volumi e superfici, plasticità e bidimensionalità, quel che unisce i personaggi di Bruno è il giocare a nascondino con le loro identità. Partendo spesso da immagini celebri, come nel caso di personaggi storici legati all’Unità d’Italia – Garibaldi, Mazzini, Cavour…- egli tende a farli divenire icone, volti senza occhi e senza sguardo, ‘tipi umani’, per certi versi assenti, pur con la loro colorata presenza, simulacri, epifanie, visualizzazioni che affiorano da un ricordo o da una memoria collettiva.
Solo in alcuni casi affida l’individuazione, la riconoscibilità del soggetto alla parola, al nome del personaggio che campeggia come un’insegna o uno slogan sulla sua testa o in basso come un epitaffio, come una didascalia. Tra il serio e il faceto, a metà tra l’omaggio e il tono burlesco, Bruno ‘gioca’ a comporre le tessere dei suoi puzzle, ma lo fa con la maturità e la naturalezza di chi possiede nelle sue mani il potere dell’artista faber, del creatore che manipola la materia per trasformarla in opera d’arte. Non esita neanche a parlarci di sé, inserendo in questa serie di lavori anche degli autoritratti, entrando, dunque, in prima persona in questo processo di ‘astrazione’ e decantazione dell’io, in una spersonalizzazione non radicale ma sottile, in cui la riconoscibilità delle fisionomie, pur evidente, convive con una tendenza alla tipizzazione.
Le sequenze di volti accostati come multipli in alcune serie offrono allo spettatore un repertorio di visi frammentati, identità ‘ a pezzi’, spesso dissimili solo per qualche dettaglio della posa o per le gamme cromatiche dominanti, quasi una riproposizione, un omaggio alle ‘icone’ pop di Andy Warhol, alle sue Marilyn e alle sue Liz, ai Mao e agli Elvis, facendoli, però, riemergere dalla piattezza serigrafica del maestro americano attraverso lo spessore della cartapesta. Giocosa ironia e riflessione, sorriso e malinconia si fondono, dunque, nelle opere di Bruno che, dietro un’apparenza ludica, cerca di rimettere insieme i brandelli di uomini, cose e ricordi, cultura alta e popolare, storia ufficiale e memoria personale, in un costante esercizio di costruzione nel quale egli dà forma e visibilità al tema del doppio, alternando identità e anonimato, colore e segno, se stesso e gli altri, offrendoci così una caleidoscopica galleria di ritratti ‘a sua immagine’.
Marina Giordano
Inaugurazione Venerdì 12 Novembre 2010 ore 18.30
Monogramma Arte Contemporanea
via Margutta, 57 Roma
Tutti giorni: 10.00 - 13.00 e 16.00 - 19.30 chiuso la domenica