Where. A cura di Valerio Deho'. Le fotografie di Luisa Raffaelli sono realta' chiuse che evocano l'altrove senza dargli un nome o un'immagine. Sono tentativi di comunicazione tra se stessi e gli altri che ritornano sempre al destinatario.
Le fotografie di Luisa Raffaelli sono realtà chiuse che evocano
l'altrove senza dargli un nome o un'immagine. Sono tentativi di
comunicazione tra se stessi e gli altri che ritornano sempre al
destinatario. La funzione comunicativa, per riprendere lo schema di
Lotman e Uspenskij, è Io-Io: l'altro c'è e ci deve essere, ma resta
sempre defilato come una variante contestuale, nascosto da colui (anzi,
colei) che invia il messaggio.
Teoria della comunicazione quindi, e non per amore della semiotica
psicologica, ma perché l'evidenza di messaggi di questo tipo induce a
pensare che l'artista usi il segno fotografico in modo sottile e
paradossale. La scena è dominata sempre da personaggi femminili intenti
a fare qualcosa attorno a se stessi, come se si trattasse di un
microcosmo inagibile dall'esterno. Il divano e la carta geografica alle
spalle evocano qualcosa di lontano e di diverso: un paese, una storia,
un uomo, un'avventura, che certamente è posizionata in un luogo
distinto da quello abitato dalla protagonista. Questa ben coordinata
nei colori tra vestito e accessori cerca affannosamente qualcosa nella
borsa: oggetto di moda certo ma anche d'affezione.
E se l'altrove fosse lì dentro e non invece in una situazione spazio-temporale dislocata? Forse è così. La borsa conserva, accumula
rapporti, relazioni tra oggetti che sono le tracce più vicine alla
nostra presenza e anche a quella degli altri. Un piccolo universo in
cui l¹ordine non regna mai e che in qualche modo riflette uno stato
d¹ansia permanente, che simula ogni volta in microscala, una ricerca
che si spera porti sempre a buon fine. Luogo di certezze ma anche di
perdite, la borsa è segnale di identità , abisso domestico gonfio di
certezze.
D¹altra parte e¹ esperienza comune che senza la nostra borsa ci
sentiamo perduti. Lasciarla da qualche parte equivale a metterci allo
scoperto, se qualcuno la trova ha libero accesso a ciò che siamo.
Paradossale è poi questa situazione perché presuppone sempre che noi
conosciamo esattamente la nostra identità , e anche se non è così, nella
borsa c¹è tutto quello su cui organizziamo la nostra esistenza: le
chiavi che aprono le porte di casa, dello studio, dell¹ufficio o le
agende in cui tassonomicamente annotiamo le relazioni in cui
imprigioniamo la nostra esistenza, computer, penne-regalo, biglietti da
visita, etc.
Allora è un piacevole ossimoro che la fotografia illustri ciò che non
si vede, ma è anche il suo destino. La splendida qualità delle opere
aiuta anche a capire che la Raffaelli uso il mezzo con calcolo estremo,
la casualità in questo caso è negata e ormai appartiene ad un uso
storico e avanguardistico della fotografia. Gli artisti che la usano
ne controllano ogni passaggio, dal progetto al lay out, dalla mise en
scène alla stampa. E la Raffaelli dispiega quasi una storia, ma una
storia per frammenti d¹identità , per assenze. Così dai lavori in cui
la è borsa protagonista e il soggetto non guarda mai direttamente verso
l¹osservatore perché questo è teoricamente negato e non deve entrare
nell¹opera, si passa ad altri lavori più recenti in cui la protagonista
gioca a guardarsi o a nascondersi con uno specchio.
Valerio Dehò
La Giarina artecontemporanea Interrato dell Acqua Morta 82 37129 Verona
Orari: dal martedì al sabato 15.30/19.30 escluso festivi.
Inaugurazione: sabato 19 ottobre 2002 ore 18.30