La pittura di Guido Pajetta. Il percorso espositivo vuole esplorare, attraverso una quindicina di opere selezionate per tema e per stile fra la summa davvero corposa della produzione di Pajetta, uno dei temi piu' interessanti della pittura dell'artista milanese: la 'Maschera' come simbolo del potere creatore e distruttore dell'arte, nella direzione filosofica che passa attraverso Nietzsche, Schopenauer, Freud, Brecht e Beckett.
LA PITTURA DI GUIDO PAJETTA
15 opere per figurare una umanitÃ
incalzata da un tragico sovrastante destino
Il giorno 10 ottobre, alle ore 18.30 si inaugurerà la mostra voluta dalla
Fondazione Panizzuti "Il Volto e la Maschera: La pittura di Guido Pajetta
(Monza, 1898 - Milano, 1987) presso la Galleria Tonelli di Corso Magenta 85 a
Milano. Sono previste visite guidate per i giornalisti dalle 16.00 alle 18.00
dello stesso giorno di inaugurazione.
La fondazione intestata al cognome della moglie dell'artista, Gianna Panizzuti,
recentemente scomparsa, e presieduta da Mons. Luigi Crivelli, già presidente
della Fondazione Sant'Ambrogio Museo Diocesano di Milano, è dedicata alla
promozione dell'opera di Pajetta e si avvale per il suo comitato scientifico dei
nomi di Mons. Luigi Crivelli, del Prof. Enrico Crispolti, Ordinario di Storia
dell'Arte Contemporanea presso l'Università di Siena, dell'Arch. Giorgio
Pajetta, figlio dell'artista, e del Collezionista d'Arte, Remo Stoppani.
Il percorso espositivo vuole esplorare, attraverso una quindicina di opere
selezionate per tema e per stile fra la summa davvero corposa della produzione
di Pajetta, uno dei temi più interessanti della pittura dell'artista
milanese: la "Maschera" come simbolo del potere creatore e distruttore
dell'arte, nella direzione filosofica che passa attraverso Nietzsche,
Schopenauer, Freud, Brecht e Beckett. I personaggi di Pajetta, spesso in fuga
dalla realtà e dal dolore, sono infatti deformati e mascherati dalle loro
maschere che a volte appaiono al fianco della vera forma, in un gioco di
celamento e svelamento della realtà del vissuto che richiama la poetica delle
famose "bucce di cipolla" di ibseniana memoria.
L'artista attraversando tutto il Novecento, da compagno di Accademia di
Lilloni e Del Bon, a giovane affrescante di Sironi, a irrequieto e curioso
esploratore delle avanguardie europee (in Francia, Inghilterra e Germania),
ritrova alla fine degli anni sessanta la sua più autentica vena narrativa
ironica e nichilista nell'uso degli acrilici, messaggeri veloci della sua
dinamica psichica e della sua gestualità interpretativa. Da questo momento il
colore diventa più estremo e radicale e la pittura di Pajetta perde ogni
compiacimento estetizzante, ogni adesione ai linguaggi espressivi per assumere
un aspetto più "sacrale", perché privo di restrizioni razionali.
Nell'immaginario dell'artista la vita diventa un vero e proprio "teatro delle
maschere" da cui ricevere gli apparati narrativi per indagare i temi del
paradossale e frammentario dell'esistenza, mentre l'Arte perde definitivamente
l'antico metro della Bellezza hegeliana come "splendore sensibile dell'Idea" e
da unica realtà salvifica cade nella condanna e nella menzogna.
Questo periodo artistico di Pajetta rimane emblematicamente delegato ad un
teatro di inquiete figure quando non esplicitamente "maschere"; e l'ironia si fa
allora, appunto, amarezza, sarcasmo nella declinazione tragica espressionista
che la sua pittura fa registrare dopo il secondo conflitto mondiale, accentuando
drammaticamente il senso della diversità dell'artista in mezzo agli altri che
vivono di mascheramenti. L'erotismo divertito e divagante di un tempo si fa
esasperato dramma di un disagio profondo che tutto sempre più va coinvolgendo.
La deformazione diviene un mezzo di testimonianza dell'incidenza di un
"discanto" doloroso che segna drammaticamente figure, cose e ambienti.
L'orizzonte immaginativo va facendosi più cupo, rinchiuso e disperato e la
deformazione diviene più insistente, a suo modo analitica, persino
grottescamente distruttiva, in un rimando continuo di inquietudine profonda,
quale misura ineluttabile di condizione del tempo. Un lavoro angosciosamente
solitario che si fa dunque giudizio tragico sul mondo per figurare una umanitÃ
incalzata da un tragico sovrastante destino.
Guido Paletta nasce a Monza nel 1898 da una famiglia di noti pittori veneti
dell'Ottocento. All'Accademia di Brera, che infine termina con una menzione
onorevole, durante il secondo anno gli viene assegnato il primo premio per il
disegno. E' poi invitato alle Biennali veneziane del 1928, 1939 3 1932. Di
Carattere irrequieto e curioso vive e lavora per alcuni anni a Parigi dove
incrocia i nuovi linguaggi delle avanguardie europee che saranno per lui
costante fonte di meditazione e ispirazione durante il suo lunghissimo viaggio
nella pittura. Nel 1954 riceve il premio "Lorenzo Delleani" per il dipinto "La
Cucitrice". Espone ripetutamente in Italia, Francia, Germania, Inghilterra e
Svizzera.
Il catalogo ripercorre l'opera più estrema di un artista trasversale e
visionario in un racconto dove il dialogo storico-critico e biografico che
Alberto Fiz conduce col figlio del pittore, Giorgio, si riflette nelle immagini
di quindici dipinti.
Immagine: Guido Paletta, Autoritratto, 1985. Acrilico su tela, cm 100 x 70
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Galleria Tonelli, corso Magenta 85, Milano