Manon Bellet
Huber.Huber
Andreas Marti
Christian Niccoli
Jorg Nittenwilm
Martin Skauen
Esther Stocker
Heike Weber
Fabio Migliorati
Collettiva a cura di Fabio Migliorati. Otto artisti sono condotti a esprimersi dal curatore, secondo la nozione di un'entita' rintracciabile e volutamente non meglio precisata: Manon Bellet; Huber.Huber; Andreas Marti; Christian Niccoli; Jorg Nittenwilm; Martin Skauen; Esther Stocker; Heike Weber. Tutti lavorano per celebrare le tracce, piu' o meno evidenti e transitorie, dell'arte di oggi.
-------english below
a cura di Fabio Migliorati
ZAK! presenta Traceable, a cura di Fabio Migliorati, collettiva internazionale che, da una centralità mittel-europea, si slancia in incursioni nordiche con estremi scandinavi. Traceable: qualità dell’arte, nell’epoca della sua rintracciabilità. E se da Walter Benjamin si mutua una specie di slogan per assurgere al ruolo privilegiato dell’espressione creativa, allora quel messaggio è anche riconducibile al linguaggio di oggi, come fosse estetica che sancisce una forma della bellezza. Più il senso dell’opera si rintraccia, più si comprende, più si gusta – più è considerabile, valutabile secondo un canone presente o futuro. Sì, perché nel Duemila l’arte si cosparge nella propria mutevolezza; e spesso capita di percepire un andamento espressivo che genera galassie di varietà che è verità. Dall’opera, al documento dell’opera, tutto accade nel trasalire della nostra convulsa era contemporanea, fatta di rumore e di velocità (la “modernità liquida” di Zygmunt Bauman, la “dromocrazia” di Paul Virilio, la “accelerazione sociale” di Hartmut Rosa). L’attualità, quindi, va dal sistema di una società dirompente, alla deriva di una cultura della fermezza. E la liquefazione del contenuto sociopolitico corrisponde a quella della forma culturale: alla rincorsa di un presente socializzato composto di contaminazioni insinuanti. Dinamicità e frastuono sono caratteristiche imperanti, da esportare con la garanzia democratica di fiero stampo occidentale – quella decisa occidentalizzazione della contemporaneità che è direttamente ed esplicitamente collegata a un criterio della norma dilatata, per usare il tempo quale paradigma di nesso puramente politico il cui ritmo viene scandito dalla pretesa di un’incessante crescita della produttività. L’arte, allora, non è più quel moto che determina, ma diviene il brandello che rimane, che resta in giro o viene accantonato (a galla nel non-senso dei nostri giorni).
L’entità artistica diventa una sorta di rielaborazione della memoria latente: a preservare l’identità debole di ognuno di noi, minacciata da timori e incertezze. Il vissuto personale è ormai una minaccia, un’indispensabile morbosità che si fa dialettica nello spazio della creatività, tanto del concepire quanto del percepire. Immagine come simbolo di uno stadio contraddetto delle cose, come risultanza delle specificità (più spesso aniconiche) assunte a testo: ritracciando il concetto di “Mnemosyne” quale memoria del mondo di Aby Warburg, adesso costituito di spoglie, residui fattivi che regalano contenuto linguistico in quanto stimoli all’originario peso del testo. A testimonianza di ciò, infatti, sta il rapporto fra opera e documentazione dell’opera; nel suo realizzarsi e nel suo mostrarsi. Via, così, per l’efficacia o la rilevanza dell’apparato tecnico riproduttivo, o per la presenza temporanea in un luogo espositivo – mirando un’arte dissimulante, instabile, trasparente (fino all’arte come traccia). Di qui, il concetto di rintracciabilità: incontro alla verifica di un tale stato delle cose. È questo lo spirito che riflette la sostanza della nostra interiorità umana: una frammentazione sviluppatasi come riflessione sulla graduale decostruzione della soggettività. Dall'ermeneutica tedesca – attraverso la scissione foucaultiana – al pensiero debole italiano, gli individui divengono soli insieme: in comunità che celano l’apporto del singolo, fino allo stadio di un soggetto che viene ridotto a mero indice di rifrazione degli altri.
Otto artisti sono condotti a esprimersi dal curatore, secondo la nozione di un’entità rintracciabile e volutamente non meglio precisata: Manon Bellet (Basilea, 1979); Huber.Huber (Zurigo, 1975); Andreas Marti (Zurigo, 1967); Christian Niccoli (Bolzano, 1976); Jorg Nittenwilm (Coblenza, 1967); Martin Skauen (Fredrikstad, 1975); Esther Stocker (Schlanders, 1974); Heike Weber (Siegen, 1962). Tutti, secondo il critico aretino, lavorano per celebrare le tracce, più o meno evidenti e transitorie, dell’arte di oggi. La Svizzera di Bellet, di Marti, dei gemelli Huber partecipa rispettivamente con un’installazione in carta bruciata; un wall-drawing a chiazze e una pila di fogli bianchi; e con “Fireplace”, scultura-souvenir falòmorfica, da centro, posata sul pavimento e composta di idoli tribali afro-asiatici carbonizzati, circondati da pietre. Il video è presente con Niccoli e Skauen (il primo fa della teatralità una pratica simbolicamente antropologica; il secondo riprende con la camera i propri disegni, in una narrativa meccanicamente circolare articolata). Poi la Stocker accorre con un informale quasi optical, dalla sensazione labirintica, straniante, e Nittenwilm disperde ulteriormente il tratto tramite il suo disegnare libero sulle pareti: sinuoso, propulsivo. Infine la Germania evoca l’oriente dei manufatti etnologici, mediante alcuni disegni dal motivo di tappeto persiano che Weber è capace di costruire con l’uso di delicatissimi inchiostri su carte appese senza cornice.
------- english
curated by Fabio Migliorati
ZAK! shows Traceable, by Fabio Migliorati: an international collective exhibition which, from a mittel-european centrality, soars itself into norvegian penetrations. Traceable: quality of art, in the era of its traceability. And if from Walter Benjamin we are able to create a sort of slogan for the elevation to a privilegiated role of creative expression, then that message could also be conducted to today language, as it was aesthetics consecrating a form of beauty. The more the rationale of the work is traceable, the more it is understandable, the more it could be tasted- the more it could be taken into consideration, being assessable under a present or future standpoint. Yes, because in the 2000 Era, art spreads in its own inconstancy; and it often happens that we can perceive an expressive trend which gives birth to galaxies of variety, that is, actually, truth. Starting with the art work, along with the document of the work, everything happens in our wincing convulsive contemporary age, made of noise and speed (the Zygmunt Bauman’s liquid modernity, the Paul Virilio’s dromocrazia, the Hartmut Rosa’s social acceleration). Actuality therefore goes from the system of a disruptive society to the drift of a culture which emphasizes constancy. And a socio-political content that is liquefying is equivalent to the cultural form (shape), which is liquefying too: it corresponds actually to the run of a socialized present, made up of creeping insinuations. Dynamism and noise are crucial characteristics, exported with the democratic guarantee of a proud Western-style- exactly that remarkable westernization of contemporary ages which is directly and explicitly linked to a criterium of the expanded norm, in order to use time as a purely political nexus paradigm whose rhythm is beated by the claim of a relentless increase of productivity. Art, therefore, is not anymore that movement which ascertains things, but becomes a fragment which lasts, stays around or is put aside (floating in our days’ non-sense). Artistic being becomes a sort of re-elaboration of latent memory: protecting everyone’s weak identity, threatened by fear and uncertainty. Personal life is by now a threat, an essential morbility which makes itself dialectic in the slot of creativity, both of conceiving and perceiving. Image as a symbol of a controverted level of things, as a result of (more often aniconic) specificity adopted as a text: it tracks down the concept of “Mnemosyne” as a memory of Aby Warburg’s world, now made up by spoils, proactive traces which give linguistic content, being drivers to the original body of the text. Confirmation of this issue is, indeed, the relationship between the work and its documentation; it lies in the achievement and show of the work itself. Going on like this, for the effectiveness or the relevance of the technical apparatus or for the transitional presence in an exhibition – aiming at a kind of art that is dissembling, unstable, transparent (until art becomes a trace). From here we have the concept of traceability: going toward the verification of such a context. This is the ideal which reflects the essence of our human spiritual inwardness: a fragmentation which has developed as a consideration on the gradual de-construction of subjectiveness. Starting with the german hermeneutics, through the foucaultian splitting, until the weak italian thought, individual persons become lonely all together: they do it in communities which hide the contribution of the single person, until the level in which everyone becomes a mere index of others’ refraction.
Eight artists are guided by the curator to express themselves, following the notion of a traceable and voluntarily not stated entity: Manon Bellet (Basilea 1979); Huber.Huber (Zurigo 1975); Andreas Marti (Zurigo 1967); Christian Niccoli (Bolzano 1976); Jorg Nittenwilm (Coblenza 1967); Martin Skauen (Fredrikstad 1975); Esther Stocker (Schlanders 1974); Heike Weber (Siegen 1962). Everybody, according to the critic (from Arezzo), work in order to celebrate today’s art traces, that can be more or less clear and transitional. Switzerland, being represented by Bellet, Marti and Huber twins participate to the exhibition with a burned paper installation; with a patchy wall-drawing and a stack of white sheets; and also with “Fireplace”, a falòmorphic souvenir-sculpture, centrally positioned on the floor and made up by afro-asiatic tribal idols surrounded by stones. Video art is present too thanks to Niccoli and Skauen (the former makes theatricalism a symbolically anthropological issue, while the latter records its drawings with the camera, following a kind of narrative which is mechanically circular and complex). Then Stocker comes, with an informal almost optical, emotionally labyrinthine, alienating, and Nittenwilm scatters the line even more with its free-drawing on the walls: it is flexuous and propulsive. At last Germany evokes ethnological Eastern handiworks through some drawings which replicates the woof of persian carpet; Weber is actually able to create these pictures using delicate inks on papers hanging on the wall, but without any frame.
Inaugurazione 8 gennaio ore 18.30
Galleria ZAK
via San Martino 25/27 - 53100 - Siena
martedì/sabato 11:00-13:00 / 15.00-19:30
domenica/lunedì su appuntamento