Galleria l'Affiche
Milano
via Dell'Unione, 6
02 86450124 FAX 02 862866
WEB
Guido Scarabottolo
dal 23/10/2002 al 16/11/2002
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Guido Scarabottolo



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Guido Scarabottolo



 
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23/10/2002

Guido Scarabottolo

Galleria l'Affiche, Milano

La mostra, intitolata Disegni di ferro, presenta lavori in ferro e su carta: figure di uomini acefali e angeli dalle piccole ali rappresentati attraverso scultura e stampa.


comunicato stampa

Disegni di ferro

Guido Scarabottolo è nato nel 1947 a Sesto San Giovanni. Si è laureato in architettura presso il Politecnico di Milano. Nel 1973 è entrato a far parte dello studio Arcoquattro che si occupa di architettura e comunicazione visiva in ambito editoriale e pubblicitario. Grafico e illustratore ha lavorato praticamente per tutti gli editori italiani, per la RAI e tutte le principali agenzie di pubblicità e le maggiori aziende nazionali; ha collaborazioni in Giappone e negli Stati Uniti. Curioso sperimentatore di tecniche e materiali, ama le contaminazioni e si diverte a creare progetti e oggetti che stanno al confine fra diverse discipline visive. Designer per diletto, ha realizzato nel tempo manufatti e mobili, come librerie depresse, balene e sassi da passeggio. Sue opere sono apparse in numerose mostre, personali e collettive, in Italia e all'estero.

Dal 24 ottobre al 16 novembre, a Milano, la galleria l'Affiche espone opere di Guido Scarabottolo.

La mostra, intitolata Disegni di ferro, presenta lavori in ferro e su carta: figure di uomini acefali e angeli dalle piccole ali rappresentati attraverso scultura e stampa. Le sagome di ferro - di diverse misure, dal metro ai due metri e quaranta - sono state ritagliate nel ferro da un pantografo al plasma a controllo numerico e successivamente trattate attraverso inchiostri, ossidazione, piegature. I monotipi su carta - anch'essi di diversa misura - sono stati ricavati inchiostrando direttamente le sagome. Secondo una prassi consolidata, Scarabottolo si astiene dal commentare il proprio lavoro, ritenendo che tale compito non spetti a lui e che le parole di altri sulle sue opere costituiscano materia necessaria al compimento della sua esperienza.
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Dario Trento

Topografia delle ombre
di Guido Scarabottolo

Postazione
Per afferrare il contesto del lavoro di Guido Scarabottolo bisogna andare davanti al suo tavolo di lavoro. E' precisamente un luogo del nostro tempo, e può essere percepito come plancia di comando, o anche come spazio zen, luogo di preghiera: vi domina al centro uno schermo piatto a cristalli liquidi retroilluminato, parete verticale, schermo di cinemascope di un set in miniatura. Ai suoi piedi è depositata una tavoletta, altro elemento indispensabile al paesaggio minimalista (e potrebbe essere il suo specchio d'acqua), con accanto una matita elettronica (che potrebbe essere la panchina o un attrezzo da giardino). Sul piano del tavolo, poi, quasi più niente; ma su un ripiano sotto, fondamentale, la tastiera estraibile.
E' noto che un set del genere, quando collegato alla corrente elettrica, è in grado di accedere alle metamorfosi più impensate. Ora, con le lune che corrono, non è proprio il caso di lanciarsi in voli su metamorfosi e rivoluzioni digitali; al contrario, bisogna tenersi coi piedi ben piantati a terra per trasmettere la sequenza concreta delle operazioni che da questa postazione prendono il via.
Guido Scarabottolo fa principalmente l'illustratore, il creatore di immagini applicate alla comunicazione. Ci sono media di tutti i tipi che richiedono insegne, sigle, marchi, corredi illustrativi, fino a semplici immagini; usano questi prodotti a lungo, a intermittenza, o anche una volta sola; rarissime volte li richiedono con largo anticipo, quasi sempre li vogliono con urgenza. L'operatore di cui ci stiamo occupando riceve le ordinazioni, realizza e spedisce le proprie creazioni dalla postazione che ho descritto.

Dal manuale al digitale
Fino a qualche anno fa tutto questo veniva realizzato con mezzi e riti diversi: squillava il telefono, un pony-express portava un plico con un libro o un testo, l'operatore si metteva in azione con matite, chine, pennarelli, pastelli, forbici, colle, carte colorate, timbri e quant'altro, fino alla realizzazione del prodotto. Poi prendeva il telefono e chiamava il corriere o il pony per il ritiro e aspettava di veder pubblicato il lavoro.
L'arrivo del fax ha quasi eliminato pony-express e corrieri e compresso i tempi di lavoro: testi e richieste arrivavano per via elettronica e a loro volta gli elaborati finivano tradotti nello stesso mezzo. A questo punto, però, la rapidità della comunicazione permetteva operazioni ulteriori e inedite: il committente alzava il telefono e chiedeva nuovi interventi sul prodotto, anche più volte, fino al momento della messa in macchina. Adesso il web permette di far passare tutte le comunicazioni attraverso un solo canale, moltiplicando fasi e possibilità di elaborazione.
Il digitale ha vampirizzato non solo il telefono (o viceversa'). Ha spazzato via dal tavolo matite, tubetti, pennarelli, fogli, forbici e taglierine. Adesso le operazioni del disegno, a partire da una minima base materiale, si realizzano nella triangolazione tra la matita elettronica, la tavoletta collocata sul tavolo e lo schermo ortogonale. Nei magazzini della macchina sono stipati tutti i segni di cui si può aver bisogno: il tratto della matita, lo sfumino, il segno della china, l'effetto di foglio ruvido o liscio, la macchia di acquerello, la retinatura di stampa, e così via. Ora si tratta di portarli in superficie e combinarli, anche con le moltissime possibilità inedite del mezzo. (E qui sta il carattere che assumono le invenzioni di Scarabottolo in questa fase, di passaggio da uno stile di forme e strumenti concreti a uno che, a partire dalla sua memoria genetica, approda a forme conseguenti a una genesi immateriale e senza pesi).
Poi il prodotto realizzato passa in pochi attimi sullo schermo del tavolo del committente, a Milano, a Brescia, a Parigi, Tokyo o New York. E qui ricomincia il ping pong delle opinioni e delle richieste, spostare quella figura, attenuare un colore, evidenziare la scritta... Tutto facendo capo alla postazione citata all'inizio: lo schermo, la tavoletta, la penna e la tastiera.
Vent'anni fa, quando i giornali volevano far capire la rivoluzione portata dall'elettronica, scrivevano che le giornaliste con bebé avrebbero mandato i loro pezzi da casa mentre allattavano e cambiavano pannolini. Dicevano che l'avanguardia della società futura si stava trasferendo nei vecchi borghi abbandonati e nella natura, tenendosi a contatto con il mondo del lavoro attraverso internet. Si è visto come è andata: gli ingorghi di traffico sono aumentati e gli inciampi elettronici sono arrivati a sbarrarci la strada a ogni piè sospinto: bancomat, videocamere, metaldetector, display, soglie elettroniche e tessere magnetiche a scandire ogni giornata e movimento, mostrandoci che la macchina non signoreggia più solo la fabbrica e il lavoro, ma anche gli spazi materiali dell'esistenza.
La postazione di lavoro di Scarabottolo, tuttavia, si sottrae a questo processo violento di normalizzazione e riesce a sviluppare una dose di autonomia che vale la pena di studiare.

Una storia milanese
Il lavoro di illustratore presenta un alto quoziente inventivo che solo in minima parte viene inquadrato nelle leggi schiavistiche attuali del digitale. Malgrado la sua forma produttiva sia risucchiata al suo interno, i modi di ideazione e le pratiche disegnative restano per gran parte legate a una memoria autonoma.
Bisogna poi tornare alla postazione di lavoro descritta all'inizio e osservare cosa c'è intorno: non una selva di macchine, video e display o un ambiente asettico e silenzioso, ma un laboratorio dove lavorano una ventina di persone con diverse specializzazioni, architetti, grafici, disegnatori di fumetti, gente che cammina avanti e indietro, entra ed esce, ascolta radioline, discute, commenta, ride. L'inventore delle forme che incontriamo in questa manifestazione opera immerso nel brusio di un'officina del disegno applicato. Si è abituato ad operare in mezzo ad esso dall'inizio, facendolo diventare la colonna sonora della sua immaginazione.
I rumori del lavoro sono stati la matrice del suo luogo di nascita, Sesto San Giovanni, e i mezzi del sistema produttivo sono stati i veicoli del suo apprendimento: i tram e le metropolitane che lo hanno portato a scuola e alla conquista della città. Nei luoghi successivi in cui ha compiuto la sua formazione Guido ha incontrato persone che spesso ancora stazionano nel laboratorio in cui opera, o comunque nello spazio della sua vita. Così la storia personale si lega a quella professionale senza strappi, costruendo una vicenda dove il disegno si impone prima di tutto come modalità di lavoro concreto e qualificato.
Guido Scarabottolo sostiene di disegnare da sempre, ma anche di aver imparato, nell'infanzia, da artigiani che realizzavano prodotti perfetti maneggiando straordinariamente quel mezzo. Se questi sono i suoi modelli dichiarati, la storia collettiva dentro alla quale il personaggio è inscritto è in tutto e per tutto milanese, ma estranea alle mitologie milanesi correnti della Milano da bere, della moda, della televisione o della finanza, e legata invece alla Milano dei centri satellite, del lavoro concreto, delle solidarietà costanti messe alla prova nei luoghi di vita e di lavoro dalle metamorfosi imposte dalla tecnica.

Resto
Che un lavoro così saldamente radicato nella produzione sia riuscito a prendere piede nella migliore editoria nazionale è argomento di indagine di non piccolo peso. Non bastasse questo, nella pratica di disegno di Scarabottolo c'è un resto che rimane estraneo a questa storia e va spiegato: c'è una specie di sottofondo onirico che sfugge a ogni regola e inquadramento produttivo e si manifesta in tic, lapsus e ripetizioni, nella proliferazione di segni ossessivi. Per un certo periodo possono manifestarsi come cuccume, poi diventano nasi e altre volte mani. Per queste insorgenze petulanti non basta l'inserimento nei disegni di volta in volta prodotti, si rendono necessari ulteriori sortilegi. Occorre dare loro corpo specifico di feticci, secondo la forma imposta di volta in volta dalla loro vocazione. Così la cuccuma va fusa in alluminio come una insegna futurista, i nasi si impongono sotto forma di timbri (mi dicono realizzati da un anziano artigiano di eccellenza planetaria) e posti come lari e penati a protezione dei luoghi di lavoro, dei biglietti da visita, del tavolo di lettura o del frontespizio dei libri e la mano si concretizza in lastra nera, segno disponibile a ravvivare o inquietare gli spazi.

Ombre in esilio
L'ultimo resto uscito dallo stilo di Scarabottolo è un angiolone goffo. Il modo con cui ha assunto le forme che vediamo in esposizione ci dice cose interessanti sulle aperture del reticolo digitale, in verità piuttosto dissimili dalle favole vulgate dei testi specializzati con lo schermo piatto dove forme e dati premerebbero senza limiti di tempo e spazio in attesa solo di catturarci con la loro mirabolante capacità di prodezze. In verità il digitale ha una sua precisa geografia, anche una sua piccola storia, e fra non molto dovrà fornirsi di archivi istituzionali. All'interno di essi si inserisce il tavolo-postazione di Scarabottolo alle prese con fantasmi che ultimamente hanno assunto forme di corpi o torsi, statici, in volo o in caduta. Il disegnatore ne ha riprodotto infinite volte con la penna di luce il profilo immateriale, provando soluzioni diverse che ha immagazzinato nella memoria dietro allo schermo. Poi periodicamente ha passato in rassegna le tracce registrate per scegliere le più convincenti e ricavarne un piccolo mazzo. Quando questo è diventato sufficientemente corposo, ha combinato un pacchetto elettronico e lo ha spedito in direzione della Valcamonica.
A riceverlo c'era un computer pronto ad accendersi, aprire e scaricare il plico. Ogni sagoma è stata bene valutata per dedurre misure e peso del suo trasferimento in lastra di ferro. Però non c'è stato bisogno di uscire dal recinto digitale: dalla tastiera è partito un comando a una macchina e al suo braccio che galleggiava sopra un tavolo di acciaio. Dalla sua estremità è partito un micidiale raggio al plasma che ha profilato fogli di acciaio come la rotella dentata delle nonne incideva la pasta sui tavoli da cucina. Poi un braccio munito di calamita ha sollevato la sagoma e l'ha buttata in un angolo: siamo in una valle bresciana del tondino, della industria delle armi e degli attrezzi semplici o sofisticati in ferro e questa volta l'officina ha sputato ombre strane. Devo dire che quel posto asettico (che ho visto solo in fotografia) mi è sembrato già adatto a ricerverle. Le grandi lastre di ferro e acciaio che lo riempiono con la loro massa e il loro odore si addicono ai fantasmi di Scarabottolo che nel frattempo avevano preso corpo. Torna il ricordo delle officine antiche, del fuoco e delle fucine, del sudore e della faticata attenzione degli uomini. Una siffatta memoria rimane anche quando le sagome arrivano in città e vengono scaricate in ordinati magazzini. La loro piattezza resta inquietante: mentre i profili continuano a richiamare presenze vive, essa ci ricorda che abbiamo a che fare con fantasmi. Tornano in mente per qualche attimo gli eroi neri dei fumetti, Macchia nera, Fantomas, Diabolik. Ma possono rimbalzare anche le marionette di Depero o i giocattoli nella foresta di Alberto Savinio.
Le sagome nere che spesso hanno liberato le ossidazioni della ruggine spandono un'ombra attorno a sé, e tuttavia non cupa, solo lievemente inquietante, familiare e insieme distante. Dimostrano immediatamente la loro vocazione a indicare i confini. Potrebbero essere utilizzate a segnare quelli dei giardini delle case reali, ma servono soprattutto a demarcare quelli dello spazio immaginativo. Ci ricordano la soglia sulla quale elaboriamo gli alfabeti, le immagini e i linguaggi che ci servono a manipolare il mondo, un orizzonte del quale di volta in volta forniamo definizioni razionali o magiche, umanistiche o apocalittiche. Le sagome di Guido Scarabottolo di essa ci suggeriscono una cifra che, alla lontana, richiama la favola vitale degli dei in esilio di Heinrich Heine.
Inaugurazione: giovedì, 24 ottobre, ore 18, 30.

Orario della mostra: da martedì a sabato, dalle 16 alle 19.

Catalogo, a cura di Dario Trento, disponibile in galleria.

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Francesco Bocchini
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