Concetto e visione. L'immagine sospesa. L'incipit del suo lavoro prende forma dallo studio antropologico della storia attraverso il recupero sistematico di immagini comuni e talvolta banali; spesso fotografie collezionate dalla cronaca giornalistica o da riviste vintage.
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Il CACT Centro d’Arte Contemporanea Ticino inaugura sabato 26 febbraio la prima esposizione personale di Donato Amstutz. Parigino d’adozione, l’artista svizzero affronta e realizza da anni il suo lavoro in maniera consequenziale, laddove, solo apparentemente, lo stilema scelto ci induce verso la tradizione della rappresentazione pittorica. CONCETTO E VISIONE. L’IMMAGINE SOSPESA è il titolo che ho scelto per presentare questa mostra, proprio a suggerire i diversi aspetti del procédé artistico di Amstutz, che torna in maniera centripeta verso la (con)figurazione dell’uomo e della sua esistenza, in bilico tra analisi della realtà e visione. Osservatore acuto e preciso, l’incipit del suo lavoro prende viepiù forma dallo studio antropologico della Storia e delle storie di ognuno di noi, attraverso la raccolta e il recupero sistematico di immagini comuni e talvolta banali; spesso fotografie collezionate dalla cronaca giornalistica o da riviste vintage, che l’artista prende in considerazione e approfondisce a partire dai tanti volti caduti nell’anonimato. La sua è una verace reazione del soggetto ‘uomo’ all’iperproduzione di immagini. Sul mezzo giornalistico egli si sofferma più di altri, nella sua riflessione, segno di un tempo della liturgia, della reiterazione e riproducibilità, e dell’elaborazione/manipolazione politica della realtà riflessa ...mezzi di comunicazione di massa, Internet compreso, ch’egli filtra e fa sue, concentrandosi prevalentemente sulla produzione giornalistica, quale elemento di fragilità votata al disfacimento. Amstutz colleziona, isola e taglia fotografie in bianco e nero tratte da quotidiani, mezzo di comunicazione democratico e informativo per eccellenza, e realtà di un giorno.
Lo fa, consapevole che il domani sarà un altro giorno. Catturare queste immagini, decontestualizzarle, decostruirne il significato originale e ricostruirne un significato sublime, ri-fotocopiarle ingrandendone l’effetto offset, è il procédé primo dell’artista. Egli lo fa per entrare nell’immagine ridandole senso, e con lo scopo di ricollocare l’uomo entro il confronto con la post-contemporaneità che ci circonda. L’universo della tecnica e della tecnologia ha sicuramente riconfigurato le nostre modalità d’osservazione, dando vita ad una nuova estetica che attinge al mondo liturgico delle immagini riflesse. La consistenza del materiale cartaceo d’origine viene coerentemente ripresa dall’artista con la leggerezza del cotone bianco, su cui l’artista ricama a mano le sue figure – perlopiù volti di donne – lentamente e con una perseveranza estenuante piacevolmente artigianale… come un vecchio ricamatore al suo telaio, che, nell’atto del fare e del riprodurre ferma il tempo virtuale per riappropriarsi di quello reale. Questo è il fine principe di Amstutz. A più riprese ho scritto di quanto l’arte abbia saputo ancora una volta e sempre dimostrare la sua totale incapacità di adattamento e integrazione al mondo reale, nello specifico di una società borghese fortemente connotata da una virtualizzazione recrudescente; se non subirne i diktat molto spesso impostisi attraverso i molteplici modelli estetici. Egli si oppone alla macchina, strumento politico per la sottomissione dell’uomo: Amstutz si contrappone alla capacità dell’apparato, del mondo della produzione esagerata d’immagini destinata alla mistificazione e all’effimero, di privarci di visione e umanità. Le sue donne, i suoi personaggi finora anonimi, ricamati con paziente e ossequiosa dedizione riproducendo il sistema offset, riacquistano una identità e un valore umano soggettivi; Donato Amstutz ricostituisce la possibilità dello spettatore di ritrovarsi, di ritrovare intimamente l’anima per