Le bici invisibili. Personale di pittura. ''Opere che sembrano essere il malinconico canto dell'angelo, un ululare alla luna per la sua inutile corsa nel cielo, nella sua triste meccanica tragedia'' (Gaetano M. Bonifati).
La bicicletta e il corpo estetico
La bicicletta è degno oggetto d’ ispirazione artistica a partire dalla sua nascita. Ma è solo un breve e fugace innamoramento che sfuma nel giro di pochi ripetitivi esperimenti. Anche quando, la bicicletta, diventa meccanica velocità, mero agonismo, sport, troppo acuto il suo slancio competitivo, non ancora maturo e come oggetto d’arte seccherà nel breve tempo dell’esaltante esperimento.
Tutti gli artisti, o quasi, hanno dipinto o scolpito questo simpatico e pratico “velocipede”. La bicicletta rende liberi è il triste epitaffio che il neofuturismo elogista recita come uno slogan ripetitivo, ossessivo, martellante, che vuole l’uomo completamente libero da ogni istinto, essere finalmente solo, una mera volontà energetica a due ruote, da spendere candidamente per oscuri presagi di morte, ancora sussurrati, dai sacerdoti dello scientismo ecocompatibile.
Quasi un secolo fa, nel 1913, Umberto Boccioni dipingeva “Dinamismo di un ciclista”, l’opera dalla quale sarebbero schizzati colori fruscianti nella notte degli argentei campanelli. In una frantumazione dello spazio tempo che implodeva all’interno, in una dimensione che avrebbe trasformato il mondo umano in un modo puramente estetico, tutto metafisico, mera immaginazione vivente fatta di concreta oscurità e colori semplicemente immaginati nel buio della nottedell’uomo. Non la civiltà avrebbe illuminato il cammino dell’umanità ma la disgregazione dello spazio tempo in un’orgia finale del mondo sul crinale del suo declino. La furia finale del dinamismo l’avrebbe chiamata lo stesso Boccioni.
Quasi un secolo dopo, nel 2011, Dino Cucinelli, in un rinnovato impasto essenzialmente tricromatico dove il colore centrale si organizza come movimento fuggente che attraversa, quasi del tutto estraneo ai colori primari del cielo e della terra, un tempo statico e immortale. Qui al posto della furia dinamica che scompone lo spazio tempo si percepisce una delicata armonia di assonanze che sintetizza il suono dello spettro cromatico in frammenti sparsi casualmente nel tempo; e parti della bicicletta e sfondo sono la medesima musica: “Attesa”, “Ballata”, “Sosta”… opere che sembrano essere il malinconico canto dell’angelo, un ululare alla luna per la sua inutile corsa nel cielo, nella sua triste meccanica tragedia. Biciclette abbandonate, Gaetano M. Bonifati
Galleria Le Opere (nuova sede)
via di Monte Giordano, 27 - Roma
Ingresso libero