Margherita Leoni
Giuseppe Bombaci
Danilo Marchi
Claudio Destito
Luca Beolchi
Gianluca Chiodi
Stefania Migliorati
Gianni Cuomo
Paola Silvia Ubiali
In questa mostra, a cura di Paola Silvia Ubiali, otto artisti si confrontano sulla Vanitas presentando il tema sotto diversi punti di vista e sfruttando diverse teniche artistiche.
a cura di Paola Silvia Ubiali
L’uomo si è sempre confrontato con la caducità del proprio corpo, il tema della Vanitas era già ricorrente nell’antica Grecia. Dalle danze macabre medievali alle composizioni barocche, la Vanitas ha un significato strettamente legato alla religiosità, è un ammonimento verso il peccato. La precarietà della vita è espressa attraverso il ricorso alla natura morta in cui vengono inseriti degli elementi simbolici. Tipici simboli della Vanitas sono il teschio, come memento mori, la clessidra e la candela che si consuma ad indicare il passare del tempo, fiori appassiti, frutti maturi che alludono ai piaceri effimeri e bolle di sapone che indicano la leggerezza umana. Il proliferare di questo tema è strettamente correlato al senso di precarietà che investì l’Europa in seguito alla guerra dei trent'anni e al dilagare della peste. Dal Settecento la Vanitas assume connotazioni meno moraleggianti, diventando sempre più una personale riflessione dell’artista sull’effimera condizione dell’esistenza.
L’attuale società, attraversata da crisi spirituali, economiche, politiche ha progressivamente cercato di eliminare la morte. Oggi, il memento mori (ricordati che devi morire) potrebbe leggersi al contrario: ricordati che non devi morire. Il progresso scientifico ci dà un’illusione d’immortalità, ma la paura dell’ignoto resta e si cerca di esorcizzarla. I simboli della transitorietà della vita, soprattutto il teschio, si ripresentano con nuova forza nell’arte contemporanea tant’è che moda, design, cinema se ne sono appropriati a dismisura. Forse proprio per esorcizzare la paura della morte rendendola glam o, addirittura, ridicolizzandola…
In questa mostra otto artisti si confrontano sulla Vanitas presentando il tema sotto diversi punti di vista. Margherita Leoni inserisce un piccolo teschio rosso sangue tra le fronde di una lussureggiante natura che l’uomo distrugge, ad indicare la fragilità della natura umana e vegetale, inscindibilmente legate. Anche Danilo Marchi mette in luce il difficile equilibrio natura-uomo creando sculture antropomorfe in P.E.T. (la plastica usata per le bottiglie di acqua) riflettendo sulla scarsità delle risorse naturali e sulla capacità dell’uomo di sopravvivere ai cambiamenti ambientali. Gianluca Chiodi lo fa attraverso una serie di portraits in cui i protagonisti incontrastati sono l’essere umano e il suo alter-ego, in questo caso il teschio, che si interroga sulla vita e sulla morte. Nelle sue sculture Gianni Cuomo mette in evidenza la fragilità dei rapporti umani sempre più legati all’immaterialità della tecnologia, riflettendo in questa occasione su una somma di considerazioni legate al rifiuto del vuoto lasciato dalla vanitas, dello spirito legato alla materia organica e al mistero che ci attende oltre. Stefania Migliorati nelle serie “Toys” usa strumenti chirurgi per creare giocattoli, questi oggetti sono espressione della paura della morte che cerchiamo di tenere sotto controllo attraverso la medicalizzazione dei nostri corpi. Claudio Destito ci spiazza dissacrando il “rigore della morte” e ribaltandone il senso con l’ironia dei suoi consueti giochi di parole; Giuseppe Bombaci è affascinato da ciò che resta dell’essere umano prendendo spunto dalla still life classicheggiante riletta in chiave contemporanea. Luca Beolchi ci immerge in una dimensione intima e fiabesca, dove il sogno crea diversi mondi possibili.
Inaugurazione: sabato 19 marzo 2011, ore 18
Galleria Marelia
via Guglielmo d'Alzano, 2b - Bergamo
Lunedì/Venerdì 14.00-20.00 Sabato 15.30-20.00