Debito d'ossigeno. Personale dell'artista. "C'e' sempre nelle opere di Mauro Ghiglione qualcosa di enigmatico, che si sottrae alla piena leggibilita', per offrirsi solo alla profondita' dello sguardo". (L. Giudici)
a cura di Eleonora Fiorani e Lorella Giudici
C’è sempre nelle opere di Mauro Ghiglione qualcosa di enigmatico, che si
sottrae alla piena leggibilità, per offrirsi solo alla profondità dello sguardo, a un vedere
che non si traduce in parole e concetti, o che resta sospeso in un’interrogazione che non
prevede risposte. A un vedere che è mettere insieme il “vedere come”, che interpreta,
media, procede per analogie, paragoni, riconoscimenti, e il “vedere così” di una visione
dell’accadere dell’evento, dell’improvviso balenare, dell’intensità in cui la cosa si
presenta e si vede qualcosa come “qualcosa”, e si può dire solo “guarda”. In questa
visione a doppio sguardo si perdono i confini tra l’essere e le immagini, tra il noto e
l’estraneo. E diventa possibile la libera associazione di elementi e situazioni del
presente e del passato in un’archeologia della memoria, anamnesi, rammemorazione di
storie che non si sono mai vissute e che pur tuttavia sentiamo o immaginiamo che ne
facciamo parte o che ci appartengono.
Oggi che la visione è la nuova dimensione del reale e le immagini hanno preso
il posto delle cose e di noi stessi, il mondo è la visione del mondo nell’immagine, che ne
costituisce le sue attuali istanze esistenziali. La sua memoria stessa si fonda
sull’immagine, come la sua bellezza. Muta dunque lo statuto del reale, ma muta anche
lo statuto dell’immagine. Non è più un’icona, un “eikon”, ma un “eidolon”, un
simulacro, secondo l’idea antica di una sorta di pellicola che si stacca dalle cose o
persone producendo una immagine riflessa, o, per la concezione moderna, un’immagine
feticcio. L’ “eidolon” non è meno reale della cosa. Le immagini diventano allora
territori autonomi. ...
(dal testo di Eleonora Fiorani)
...Il punto di vista è la distanza necessaria per l’osservazione e
Ghiglione fa sempre in modo di posizionare coloro che guardano le
sue immagini “così distanti che il punto di vista da cui vengono
osservate diventa pressoché indifferente”, come un grandangolo:
un’inquadratura è sufficiente per abbracciare il tutto.
Facciamo un esempio. In Debito di ossigeno (un’opera del 2010)
Ghiglione prende alcune pagine degli evangelisti e le appende al
muro distanziandole con quattro calibri, ovvero con strumenti ad
alta precisione, strategicamente (aggiungerei emblematicamente)
sistemati alla metà dei quattro lati secondo i punti cardinali.
Alle pagine con le storie di Gesù, sovrappone poi delle immagini
di un corpo femminile, o meglio, un cadavere di donna avvolto in
una plastica nera, messo sottovuoto come un pezzo di carne del
supermercato e inquadrato in un rettangolo che ricorda il
perimetro di una tomba. L’immagine di per sé è già asfissiante,
con quella materia che s’incolla come una seconda pelle e blocca
qualsiasi via d’uscita con un insopportabile senso claustrofobico
che il nero certo non attenua. Ma lo è ancor di più quando ci si
accorge che la donna ha la bocca spalancata in un estenuante e
quanto mai inutile tentativo di prendere fiato. La sua
inquadratura poi è più o meno prossima a seconda della visione
della vita che il singolo evangelista ha espresso nel suo racconto
di Gesù. Le relazioni tra i due strati del racconto (il corpo e la
scrittura, le distanze delle cose e quelle delle parole, il
concetto di libertà e di interpretazione, lo scorrere delle righe
e l’immobilità del corpo e si potrebbe continuare all’infinito) si
fanno complesse. Insomma, per dirla con Ghiglione, in quella
totale assenza d’ossigeno prendono consistenza tutte quelle “cose
che mancano di parole” e a cui è davvero impossibile dare un nome.
(dal testo di Lorella Giudici)
inaugurazione: martedì 5 aprile 2011 ore 18 - 21
Dieci.due!
via Volvinio, 30 (passo carraio) - Milano
aperto da martedì a venerdì dalle 15,30 alle 19
e su appuntamento