Jarach Gallery
Venezia
San Marco - Campo San Fantin, 1997
041 5221938 FAX 041 2778963
WEB
Simone Bergantini
dal 3/6/2011 al 29/7/2011
mar-sab 14-20

Segnalato da

Jarach Gallery




 
calendario eventi  :: 




3/6/2011

Simone Bergantini

Jarach Gallery, Venezia

In mostra il progetto dell'artista che ha come punto di partenza un suo viaggio in America. Osserva, si intrufola, scova, scarta e concentra la sua attenzione su un archivio anonimo del dopoguerra che acquista in blocco per renderlo il cuore caldo del suo viaggio. Nasce cosi' "American Standard (Remix)".


comunicato stampa

---------------English below

2010. Simone Bergantini sbarca a New York con la borsa di studio vinta al Premio Terna. Già conosce la metropoli ma è la prima volta che la vive da artista dentro le meccaniche di un progetto predefinito. Decide che il senso reale dell’esperienza americana sarà il tuffo nell’organismo caldo delle cose, lungo culture e sottoculture, Nei meandri di scarti e differenze. Accetta la sfida da autore europeo che ogni giorno metabolizza la memoria lunga, quella che gli americani non possiedono per codice genetico. Vaga per mercatini, luoghi del disuso avanzato, tra piccoli e grandi cimiteri del consumo, nel cuore fragile del capitalismo traballante. Osserva, si intrufola, scova, scarta e poi sceglie… in particolare si fissa su un archivio anonimo del dopoguerra (anni Cinquanta e Sessanta) che acquista in blocco per renderlo il cuore caldo del suo viaggio americano. American Standard (Remix) nasce così.

2011. La mostra da Jarach Gallery sbarca a Venezia (mare anche qui, come a New York) durante la Biennale 2011, nella settimana “santa” in cui il potere culturale americano si trasferisce in Laguna e trasforma la città nel più grande remix di tutti gli standard del globalismo. Non esiste un legame diretto tra le immagini da archivio e il vagabondare mondano della folla milionaria che riempie i canali di strategie, azioni e commenti variabili. Eppure cresce una stranissima ed affascinante sensazione: che tra gli americani nelle opere di Bergantini e l’America culturale odierna ci sia un filo diretto che riporta la memoria breve (perché è così la memoria locale di un americano, non avendo pittura e scultura a raccontare i lontani secoli della propria terra) verso le peripezie del presente. Campo e controcampo tra un passato recente e un oggi indeciso. Il campo americano sono loro, gli avventurieri della tecnologia e della finanza, della scienza e della cultura, dell’organizzazione e delle politiche internazionali. Dall’altra parte pulsa quel controcampo americano che riguarda la zona media delle vite anonime, dei luoghi anonimi, del cibo anonimo, delle case anonime. Nel controcampo crescono la storia del consumismo, gli anni Cinquanta del boom, l’avvento del vivere pop, la passione sfrenata per gli oggetti comodi e funzionali, per i nuovi lussi abbordabili, per la comunicazione a portata di mano. Ed ecco le immagini dei volti in bianconero, ecco gli americani normali di un teatro dai molti fondali nascosti. Ecco gli americani di uno standard che ingloba il punto di rottura, la faglia silenziosa e continua. Non tutto normale ciò che luccica di normalità, potremmo dire. Qualcosa si nasconde dietro gli sguardi sorridenti: e quel qualcosa ha il profumo acre dell’analisi minuziosa che tagliuzza il corpo molle del consumismo. La chiave ipertestuale di Bergantini ha capito il nodo americano con l’arguzia distaccata di un europeo meticoloso e denso.

Simone Bergantini ha immaginato la mostra come un campo/controcampo. Da un lato corpi su piani ravvicinati, dall’altro luoghi a campo aperto.
Da un lato il bianconero, dall’altro il colore nelle sue variabili essenziali. Da un lato formati identici in sequenza, dall’altro formati diversi su un layout disarticolato. Nell’unica parete centrale un singolo lavoro: limbo ideale e interpretabile, apertura del testo.

Campo. I corpi nascono da una sovrapposizione di due fotografie che compongono la singola immagine. Sono mezzobusti a taglio frontale, facilmente riconducibili al realismo storico tedesco, verso August Sander per capirci. Si tratta di scatti semplici e domestici, nulla di geniale benché ci sia un anomalo feticismo domestico, una ripetizione ossessiva che nasconde la fatidica faglia. Nel modo da morphing assumono la tipica disarticolazione motoria alla Francis Bacon, senza però esasperare la drammaturgia del piano visivo. Bergantini ha trovato fotografie così banalmente normali da trasformarle in un viaggio nel profondo verismo americano. In realtà, pur evitando la tensione muscolare delle torsioni baconiane, si tratta di immaginari che evocano il David Lynch di “Twin Peaks” o l’occhio straniero di Wim Wenders tra le highway californiane. Cito Lynch per la capacità di raccontare il pathos sottotraccia, la follia dietro gesti quotidiani, il surreale nel cuore del reale. Cito Wenders per la capacità di leggere la cultura americana come un chirurgo emotivo che viviseziona gli stereotipi con precisione e sentimento. La sequenza fotografica inquieta senza spaventare, come se catturasse la frattura interiore e ne riportasse un frangente mascherato, addormentato sotto l’apparenza del sorriso o della posa da ritratto. La pelle trema, parafrasando un film che parlava di terra. La terra trema di conseguenza, sotto il peso di corpi instabili e anime scivolose.

Controcampo. I luoghi nascono dalla sovrapposizione di una fotografia con l’immagine dei graffi sul negativo di quella stessa foto, il tutto virato in digitale con gamme cromatiche non casuali. Ogni opera ha un formato diverso dalle altre, la stessa composizione del foglio risulta unica nell’impaginazione stilistica. Sul muro i pezzi sono montati in maniera randomica e mostrano una dominanza complessiva che richiama (senza farlo in modo rigido) i tre colori della bandiera americana: bianco, rosso, blu. L’effetto del controcampo nasce per contrasto: ora la precisione geometrica dei ritratti in sequenza, ora i luoghi e le situazioni anonime che evidenziano la fatidica faglia in movimento, il sisma nascosto che incrina l’apparente certezza del quotidiano.

La lettura del progetto evidenzia un fraseggio leggibile e dialogante, un gioco minuzioso tra contenuti e contenitori, aperture e chiusure, chiaro e scuro. Ma tutto ciò che appare in un modo è anche il suo contrario, l’opera vive di doppie anime ed esiste per complessità aperte. Sono lavori che dimostrano intelligenza immaginativa ed elasticità del remix linguistico. Ci dicono molto sul passato come archivio fotografico dell’esistente, ci dicono moltissimo sul futuro di un linguaggio, la Fotografia, che esprimerà la sua matura coscienza nel rapporto mercuriale con la memoria privata e collettiva.

Testo a cura di Gianluca Marziani

---------------English

2010. Simone Bergantini lands in New York thanks to the scholarship of the Terna Award. He is already familiar with the metropolis but it is the first time that he gets the chance to experience it as an artist within the mechanics of a predefined project. He determines that the real meaning of his American experience will consist in diving into the warm organism of things, along cultures and subcultures, within the twists and turns of discards and differences.
He takes up the challenge as an European author who everyday processes and assimilates long memory, which Americans do not genetically possess. He wanders through open air markets, around places of extreme neglect and decadency, among little and vast cemeteries of consumerism, into the fragile heart of an unsteady capitalism. He observes, horns on in, seeks out, discards and then chooses… particularly he gets fixated on an anonymous After-war (from the Fifties or Sixties) archive, which he buys outright with the intention of making it the warm heart of his American journey. So American Standard (Remix) was born.

2011. The exhibition in the Jarach Gallery arrives in Venice (where there is the sea here just as well, like in New York) during the Art Biennale 2011, in the “holy” week when the American cultural power moves to the Laguna and transforms the city into the widest remix by all standards of Globalism. There is no straight connection between the archive images and the mundane wandering of the millionaire crowd which fills up the canals with strategies, actions and mutable comments. Nevertheless, a very peculiar and fascinating sensation arises: one which suggests that among the Americans in Bergantini’s artwork and contemporary cultural America there is a direct thread which brings short memory back (since so it is Americans’ local memory, not having painting or sculpture there to tell the far-away centuries of their own land) towards today’s vicissitudes. Shot/reverse shot between a recent past and an unsettled today.
They are the American shot: the adventurers of technology and finance, of science and culture, of international organizations and politics. On the other side, throbs that American reverse shot which pertains to the average context of anonymous lives, of nameless places, of tasteless food, of ordinary houses. The history of consumerism, the Boom of the Fifties, the coming of the lanzane lifestyle, esw the history of conumerism,nameless places, tasteless food, having icans in Berganitini'ixetical code Pop lifestyle, the unbridled passion for modern comforts and functionality, for new affordable luxuries and for handy communication grow in the reverse shot. And here are the black and white images of faces, ordinary Americans of a theater with many hidden backdrops. Here are the Americans of a standard which encompasses the breaking point, the quiet and continuous fault. All that glitters for its normality is not normal, as we might say. Something is hiding behind those smiling looks: and that something has the acrid smell of the thorough analysis which chops the flabby body of consumerism. Bergantini’s hypertextual key has captured the American knot with a meticulous and thick European’s detached wit.

Simone Bergantini has conceived the exhibition as a shot/reverse shot. On the one hand, bodies on close levels; on the other hand, places in a wide shot.
On one side, black and white; on the other, color in its essential variables. On the one hand, a sequence of identical formats; on the other hand, different formats on a disjointed layout.

On the only central wall, a single work: ideal and interpretable limbo, opening of the text.

Shot. The bodies take shape from an overlap of two photos which compose one single image. They are half-length portraits facing front, easily ascribable to German historical Realism, towards August Sander, I mean. They are simple homemade shots; nothing genius, even though there is an abnormal household fetish, an obsessive repetition which hides the fateful fault. In morphing mode, they assume the typical motor disarticulation à la Francis Bacon, still without exasperating the visual dramaturgy. Bergantini found such banally normal photos that he has been able to turn them into a journey to the deep American verismo. Actually, even avoiding the muscular tension of Baconian torsions, these are imageries evoking David Lynch as in ”Twin Peaks” or Wim Wender’s stranger’s eye along Californian highways. I am citing Lynch for his ability to tell pathos subtly, insanity behind daily gestures, the surreal in the heart of reality. I am citing Wenders for his skills to read American culture as a surgeon of emotions who vivisects stereotypes with precision and feeling. The photographic sequence troubles without scaring off, as if it captured the inner fracture and depicted one of its masked moments, asleep underneath the appearance of a smile or of a portrait pose. The skin shakes, paraphrasing a film dealing with earth. Consequently, the ground also trembles, under the weight of unsteady bodies and slippery souls.

Reverse shot. The places are composed of the overlap of a photo with the image of the scratches on its own negative, all digitalized with non-casual chromatic spectra. Each artwork has a distinctive format, the very composition of the paper is unique in the stylistic layout. On the wall, all the pieces are set at random and show an overall predominance which recalls (without rigidity) the three colors of the American flag: white, red and blue. The reverse-shot effect grows out of a contrast: first there is the geometric precision of the sequenced portraits, then the anonymous places and situations which highlight the movements of the fateful fault, the hidden earthquake that fractures the seeming certainty of the everyday.

The reading of the project highlights a clear and interactive phrasing, an elaborate game dealing with contents and containers, openings and closures, bright and dark. But all that appears in a certain way also embodies its opposite, the artwork is kept alive by double souls and exists thanks to unresolved complexities. These are works which show imaginative cleverness and quickness in the language remix. They can tell us a lot about the past as a photographic archive of what exists nowadays, they can tell us very much about the future of a language, Photography, which will express its mature conscience through its mercurial relationship with private and collective memory.
Text by Gianluca Marziani

Inaugurazione sabato 4 Giugno ore 18

Jarach Gallery
Campo San Fantin, San Marco 1997 Venezia
Orari: dal martedì al sabato ore 14-20, lunedì e domenica su appuntamento
Ingresso libero

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Matteo Cremonesi
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