In mostra il progetto dell'artista che ha come punto di partenza un suo viaggio in America. Osserva, si intrufola, scova, scarta e concentra la sua attenzione su un archivio anonimo del dopoguerra che acquista in blocco per renderlo il cuore caldo del suo viaggio. Nasce cosi' "American Standard (Remix)".
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2010. Simone Bergantini sbarca a New York con la borsa di studio
vinta al Premio Terna. Già conosce la metropoli ma è la prima volta
che la vive da artista dentro le meccaniche di un progetto
predefinito. Decide che il senso reale dell’esperienza americana
sarà il tuffo nell’organismo caldo delle cose, lungo culture e
sottoculture, Nei meandri di scarti e differenze. Accetta la sfida
da autore europeo che ogni giorno metabolizza la memoria lunga,
quella che gli americani non possiedono per codice genetico. Vaga
per mercatini, luoghi del disuso avanzato, tra piccoli e grandi
cimiteri del consumo, nel cuore fragile del capitalismo
traballante. Osserva, si intrufola, scova, scarta e poi sceglie… in
particolare si fissa su un archivio anonimo del dopoguerra (anni
Cinquanta e Sessanta) che acquista in blocco per renderlo il cuore
caldo del suo viaggio americano. American Standard (Remix) nasce così.
2011. La mostra da Jarach Gallery sbarca a Venezia (mare anche qui,
come a New York) durante la Biennale 2011, nella settimana “santa”
in cui il potere culturale americano si trasferisce in Laguna e
trasforma la città nel più grande remix di tutti gli standard del
globalismo. Non esiste un legame diretto tra le immagini da
archivio e il vagabondare mondano della folla milionaria che
riempie i canali di strategie, azioni e commenti variabili. Eppure
cresce una stranissima ed affascinante sensazione: che tra gli
americani nelle opere di Bergantini e l’America culturale odierna
ci sia un filo diretto che riporta la memoria breve (perché è così
la memoria locale di un americano, non avendo pittura e scultura a
raccontare i lontani secoli della propria terra) verso le peripezie
del presente. Campo e controcampo tra un passato recente e un oggi
indeciso. Il campo americano sono loro, gli avventurieri della
tecnologia e della finanza, della scienza e della cultura,
dell’organizzazione e delle politiche internazionali. Dall’altra
parte pulsa quel controcampo americano che riguarda la zona media
delle vite anonime, dei luoghi anonimi, del cibo anonimo, delle
case anonime. Nel controcampo crescono la storia del consumismo,
gli anni Cinquanta del boom, l’avvento del vivere pop, la passione
sfrenata per gli oggetti comodi e funzionali, per i nuovi lussi
abbordabili, per la comunicazione a portata di mano. Ed ecco le
immagini dei volti in bianconero, ecco gli americani normali di un
teatro dai molti fondali nascosti. Ecco gli americani di uno
standard che ingloba il punto di rottura, la faglia silenziosa e
continua. Non tutto normale ciò che luccica di normalità, potremmo
dire. Qualcosa si nasconde dietro gli sguardi sorridenti: e quel
qualcosa ha il profumo acre dell’analisi minuziosa che tagliuzza il
corpo molle del consumismo. La chiave ipertestuale di Bergantini ha
capito il nodo americano con l’arguzia distaccata di un europeo
meticoloso e denso.
Simone Bergantini ha immaginato la mostra come un campo/controcampo.
Da un lato corpi su piani ravvicinati, dall’altro luoghi a campo
aperto.
Da un lato il bianconero, dall’altro il colore nelle sue variabili
essenziali.
Da un lato formati identici in sequenza, dall’altro formati diversi
su un layout disarticolato.
Nell’unica parete centrale un singolo lavoro: limbo ideale e
interpretabile, apertura del testo.
Campo. I corpi nascono da una sovrapposizione di due fotografie che
compongono la singola immagine. Sono mezzobusti a taglio frontale,
facilmente riconducibili al realismo storico tedesco, verso August
Sander per capirci. Si tratta di scatti semplici e domestici, nulla
di geniale benché ci sia un anomalo feticismo domestico, una
ripetizione ossessiva che nasconde la fatidica faglia. Nel modo da
morphing assumono la tipica disarticolazione motoria alla Francis
Bacon, senza però esasperare la drammaturgia del piano visivo.
Bergantini ha trovato fotografie così banalmente normali da
trasformarle in un viaggio nel profondo verismo americano. In
realtà, pur evitando la tensione muscolare delle torsioni
baconiane, si tratta di immaginari che evocano il David Lynch di
“Twin Peaks” o l’occhio straniero di Wim Wenders tra le highway
californiane. Cito Lynch per la capacità di raccontare il pathos
sottotraccia, la follia dietro gesti quotidiani, il surreale nel
cuore del reale. Cito Wenders per la capacità di leggere la cultura
americana come un chirurgo emotivo che viviseziona gli stereotipi
con precisione e sentimento. La sequenza fotografica inquieta senza
spaventare, come se catturasse la frattura interiore e ne
riportasse un frangente mascherato, addormentato sotto l’apparenza
del sorriso o della posa da ritratto. La pelle trema, parafrasando
un film che parlava di terra. La terra trema di conseguenza, sotto
il peso di corpi instabili e anime scivolose.
Controcampo. I luoghi nascono dalla sovrapposizione di una
fotografia con l’immagine dei graffi sul negativo di quella stessa
foto, il tutto virato in digitale con gamme cromatiche non casuali.
Ogni opera ha un formato diverso dalle altre, la stessa
composizione del foglio risulta unica nell’impaginazione
stilistica. Sul muro i pezzi sono montati in maniera randomica e
mostrano una dominanza complessiva che richiama (senza farlo in
modo rigido) i tre colori della bandiera americana: bianco, rosso,
blu. L’effetto del controcampo nasce per contrasto: ora la
precisione geometrica dei ritratti in sequenza, ora i luoghi e le
situazioni anonime che evidenziano la fatidica faglia in movimento,
il sisma nascosto che incrina l’apparente certezza del quotidiano.
La lettura del progetto evidenzia un fraseggio leggibile e
dialogante, un gioco minuzioso tra contenuti e contenitori,
aperture e chiusure, chiaro e scuro. Ma tutto ciò che appare in un
modo è anche il suo contrario, l’opera vive di doppie anime ed
esiste per complessità aperte. Sono lavori che dimostrano
intelligenza immaginativa ed elasticità del remix linguistico. Ci
dicono molto sul passato come archivio fotografico dell’esistente,
ci dicono moltissimo sul futuro di un linguaggio, la Fotografia,
che esprimerà la sua matura coscienza nel rapporto mercuriale con
la memoria privata e collettiva.
Testo a cura di Gianluca Marziani
---------------English
2010. Simone Bergantini lands in New York thanks to the scholarship
of the Terna Award. He is already familiar with the metropolis but
it is the first time that he gets the chance to experience it as an
artist within the mechanics of a predefined project.
He determines that the real meaning of his American experience will
consist in diving into the warm organism of things, along cultures
and subcultures, within the twists and turns of discards and
differences.
He takes up the challenge as an European author who everyday
processes and assimilates long memory, which Americans do not
genetically possess. He wanders through open air markets, around
places of extreme neglect and decadency, among little and vast
cemeteries of consumerism, into the fragile heart of an unsteady
capitalism. He observes, horns on in, seeks out, discards and then
chooses… particularly he gets fixated on an anonymous After-war
(from the Fifties or Sixties) archive, which he buys outright with
the intention of making it the warm heart of his American journey.
So American Standard (Remix) was born.
2011. The exhibition in the Jarach Gallery arrives in Venice (where
there is the sea here just as well, like in New York) during the
Art Biennale 2011, in the “holy” week when the American cultural
power moves to the Laguna and transforms the city into the widest
remix by all standards of Globalism. There is no straight
connection between the archive images and the mundane wandering of
the millionaire crowd which fills up the canals with strategies,
actions and mutable comments. Nevertheless, a very peculiar and
fascinating sensation arises: one which suggests that among the
Americans in Bergantini’s artwork and contemporary cultural America
there is a direct thread which brings short memory back (since so
it is Americans’ local memory, not having painting or sculpture
there to tell the far-away centuries of their own land) towards
today’s vicissitudes. Shot/reverse shot between a recent past and
an unsettled today.
They are the American shot: the adventurers of technology and
finance, of science and culture, of international organizations and
politics. On the other side, throbs that American reverse shot
which pertains to the average context of anonymous lives, of
nameless places, of tasteless food, of ordinary houses. The history
of consumerism, the Boom of the Fifties, the coming of the lanzane
lifestyle, esw the history of conumerism,nameless places, tasteless
food, having icans in Berganitini'ixetical code Pop lifestyle, the
unbridled passion for modern comforts and functionality, for new
affordable luxuries and for handy communication grow in the reverse
shot. And here are the black and white images of faces, ordinary
Americans of a theater with many hidden backdrops. Here are the
Americans of a standard which encompasses the breaking point, the
quiet and continuous fault. All that glitters for its normality is
not normal, as we might say. Something is hiding behind those
smiling looks: and that something has the acrid smell of the
thorough analysis which chops the flabby body of consumerism.
Bergantini’s hypertextual key has captured the American knot with a
meticulous and thick European’s detached wit.
Simone Bergantini has conceived the exhibition as a shot/reverse shot.
On the one hand, bodies on close levels; on the other hand, places
in a wide shot.
On one side, black and white; on the other, color in its essential
variables.
On the one hand, a sequence of identical formats; on the other
hand, different formats on a disjointed layout.
On the only central wall, a single work: ideal and interpretable
limbo, opening of the text.
Shot. The bodies take shape from an overlap of two photos which
compose one single image. They are half-length portraits facing
front, easily ascribable to German historical Realism, towards
August Sander, I mean. They are simple homemade shots; nothing
genius, even though there is an abnormal household fetish, an
obsessive repetition which hides the fateful fault. In morphing
mode, they assume the typical motor disarticulation à la Francis
Bacon, still without exasperating the visual dramaturgy. Bergantini
found such banally normal photos that he has been able to turn them
into a journey to the deep American verismo. Actually, even
avoiding the muscular tension of Baconian torsions, these are
imageries evoking David Lynch as in ”Twin Peaks” or Wim Wender’s
stranger’s eye along Californian highways. I am citing Lynch for
his ability to tell pathos subtly, insanity behind daily gestures,
the surreal in the heart of reality. I am citing Wenders for his
skills to read American culture as a surgeon of emotions who
vivisects stereotypes with precision and feeling. The photographic
sequence troubles without scaring off, as if it captured the inner
fracture and depicted one of its masked moments, asleep underneath
the appearance of a smile or of a portrait pose. The skin shakes,
paraphrasing a film dealing with earth. Consequently, the ground
also trembles, under the weight of unsteady bodies and slippery souls.
Reverse shot. The places are composed of the overlap of a photo
with the image of the scratches on its own negative, all
digitalized with non-casual chromatic spectra. Each artwork has a
distinctive format, the very composition of the paper is unique in
the stylistic layout. On the wall, all the pieces are set at
random and show an overall predominance which recalls (without
rigidity) the three colors of the American flag: white, red and
blue. The reverse-shot effect grows out of a contrast: first there
is the geometric precision of the sequenced portraits, then the
anonymous places and situations which highlight the movements of
the fateful fault, the hidden earthquake that fractures the seeming
certainty of the everyday.
The reading of the project highlights a clear and interactive
phrasing, an elaborate game dealing with contents and containers,
openings and closures, bright and dark. But all that appears in a
certain way also embodies its opposite, the artwork is kept alive
by double souls and exists thanks to unresolved complexities. These
are works which show imaginative cleverness and quickness in the
language remix. They can tell us a lot about the past as a
photographic archive of what exists nowadays, they can tell us very
much about the future of a language, Photography, which will
express its mature conscience through its mercurial relationship
with private and collective memory.
Text by Gianluca Marziani
Inaugurazione sabato 4 Giugno ore 18
Jarach Gallery
Campo San Fantin, San Marco 1997 Venezia
Orari: dal martedì al sabato ore 14-20, lunedì e domenica su appuntamento
Ingresso libero