Seduti al contrario. L'artista inquadra con una telecamera il mondo che la circonda e trattiene nel quadro cio' che ha visto: i suoi lavori contengono suoni, odori, il peso e l'assenza.
testo in catalogo di Lea Mattarella
Le nostre città. Alberi, le arcate di un acquedotto, la trasfigurazione del
cielo nel pomeriggio. Un “viaggio da fermi” che nasce dalla sosta dopo un lungo
cammino. Fermo immagine che condensa una lunga sequenza di sguardi.
Laura Federici si misura ancora con il tema del viaggiare. Questa volta nei
luoghi di un viaggio quotidiano nelle città che frequenta, soprattutto Roma.
Olio su tavola, grandi formati, una straordinaria tavolozza che sembra
prepararci alla nuova stagione. Un lavoro più meditato, forse più maturo.
“...Quello che abbiamo di fronte è un Reise-Film, un film viaggio. Solo che
Laura lo ha dipinto. Allora eccoci qui nel corso del tempo, ma anche nel corso
di un cammino, di un luogo, di uno spazio che è quello che la Federici ha messo
in scena per chi guarda, si avvicina, decide di entrare tra i suoi pini, le
storie di onde, le arcate di una veduta che, tra le sue mani, diventa visione.”
(dal testo in catalogo di Lea Mattarella)
Laura è alla sua seconda mostra personale alla galleria l’Affiche.
Autrice romana, dopo esordi come architetto si dedica ormai alla professione di
artista a tempo pieno da più di dieci anni. Il tocco lieve con cui riesce ad
affrontare temi sociali, urbanistici e culturali anche molto complessi, la sua
pittura fresca, fintamente veloce e approssimativa, sono stati a volte fraintesi
e interpretati come puramente “rappresentativi”. Quello che a noi piace è invece
proprio questa sua capacità non teatrale e non retorica di interpretare i
conflitti e la realtà del quotidiano. Un posto qualunque: le bambine che giocano
nella moschea in Siria, la spiaggia di Viareggio, il sagrato di piazza del Duomo
sono in fondo la stessa cosa e viste da vicino le identità sembrano sovrapporsi.
(Ma d’altra parte Pasolini non scriveva che essere vivi o essere morti è la
stessa cosa?)
Testo in catalogo di Lea Mattarella
Nel corso del tempo
Che a suggerirmi il titolo sotto cui raccogliere le opere di Laura Federici sia
stato un film (Wim Wenders, 1975) non è certo un caso. Tra lei e il cinema c’è
una corrispondenza sottile già sottolineata da Daniele Luchetti che ha scritto
della “grande somiglianza tra il suo lavoro e quello che faccio io”, definendo i
suoi quadri “cinema a olio”. C’è stato anche l’episodio di Un amore di Gianluca
Tavarelli, in cui la pittura è diventata sequenza animata senza tuttavia perdere
nulla delle sue connotazioni tipiche, un po’ come se la Federici oltre ad aver
animato il disegno, avesse fatto altrettanto con la pennellata, mettendo in moto
il colore.
Questa volta sarà il bianco e nero di Wenders ad accompagnarci nella lettura del
gruppo di dipinti colorati e brillanti qui esposti a interpretare un mondo di
mattini pallidi, di autunni infuocati. Perché anche quello che abbiamo di
fronte è un Reise-Film, un film viaggio. Solo che Laura lo ha dipinto. Allora
eccoci qui nel corso del tempo, ma anche nel corso di un cammino, di un luogo,
di uno spazio che è quello che la Federici ha messo in scena per chi guarda, si
avvicina, decide di entrare tra i suoi pini, le storie di onde, le arcate di
una veduta che, tra le sue mani, diventa visione. Una Roma trasfigurata, un
mare color del vino, angoli di presente che ha scovato per incendiarli di
pittura. Lei li chiama “viaggi da fermi”. Perché nascono dalla sosta. Quella che
segue una lunga marcia però.
Guardare questi quadri è come esplorare paesaggi che diventano stati d’animo: a
volte i suoi viali di pini si scuriscono come fossero imbronciati, altre
prendono luce, esplodono come se volessero raffigurare una gaiezza senza fine.
Ciò che mi ha colpito la prima volta che ho visto le sue opere, è come Laura
avesse inquadrato la mia città, il posto dove abito da sempre, mostrandomene
lati segreti che pure avevo sempre avuto sotto il naso. Me l’ha fatta vedere in
un modo diverso, come se l’avesse profumata di esotico. Così ne ho percepito un
nuovo battito, un respiro inusuale. Che pulsava di rosso.
Il suo modo di lavorare è quello del movimento ( ancora una volta il cinema).
Lei inquadra con una telecamera il mondo che la circonda, non sceglie
l’inquadratura, se ne lascia inseguire. Dopo, tutto quello che ha girato le
serve per attivare il meccanismo della memoria, come se le sue immagini
prendessero forma da elementi da riallacciare insieme. Il quadro, dunque,
trattiene ciò che lei ha visto ma finisce per contenere anche i suoni, gli
odori, il peso e l’assenza. Mi piace immaginare la memoria che impasta, tiene
insieme, ricuce, rimette in gioco, squaderna, inventa. È un po’ come se la
Federici ci invitasse a camminare sulle sue vertigini, trasportandoci così in un
paesaggio che, citando Mariangela Gualtieri, mi viene da definire senza polvere,
senza peso. Il nostro sguardo si posa in un luogo che un giorno sarà pure stato
“qui e ora”, ma oggi è un altrove in cui perdersi. Spazio liquido, trama fitta e
poetica, la pittura diventa la sospensione, anche solo per poco, del flusso
della nostra esistenza. Questi quadri mi sembrano storie dal finale aperto:
Laura ci dà il ritmo iniziale, poi sta a noi pensare ciò che non ci è dato
sapere, ma solo immaginare. La luce è un orlo rossastro, un leggera brezza
viola. Assistiamo alla vittoria di un eterno tramonto, o magari di un’alba di
primavera. La Federici vede “caldo”, cancella il gelo dalla sua tavolozza. Negli
ultimi tempi predilige un formato verticale, ma ci ha abituato a lunghe e
orizzontali visioni panoramiche. E il mare gli evoca un quadrato. Tutto ha la
stessa consistenza: è armonia di vuoti e pieni che fa si che anche l’aria
diventi carica di memorie, di energia vitale. E ciò di cui siamo certi è che da
queste parti non calerà mai la notte.
Catalogo in galleria
Immagine: Pini, 2011, 120x80cm
Inaugurazione giovedì 9 giugno 2011 dalle 18.30
Galleria l’Affiche
via dell’Unione 6 - Milano
Orari: dal martedì al sabato ore 16-19