Alis/Filliol
Federico Baronello
Guy Ben-Ner
Francesco Bertele'
Ludovico Bomben
Laetitia Calcagno
Alex Cecchetti
Juan Carlos Ceci
Manuele Cerutti
Luca Chiusura
Cristian Chironi
Nemanja Cvijanovic
Alessandro Dal Pont
Paolo De Biasi
Giovanni De Dona'
Fabiano De Martin Topranin
Andrea Di Marco
Andrea Dojmi
Ericailcane
Andrea Facco
Christian Frosi
Nicola Genovese
Dimitri Giannina
Daniele Giunta
Paolo Gonzato
Gabriele Grones
Antonio Guiotto
Emanuele Kabu
Minji Kim
Tiziano Martini
Jacopo Mazzonelli
Rachele Maistrello
Giovanni Morbin
Shana Moulton
Michael Noble
Federica Menin
Cristina Pancini
Laura Pugno
Alessandro Pagani
Alessandro Pavone
Daniele Pezzi
Luca Pozzi
Lucio Pozzi
Fabrizio Prevedello
Roberto Pugliese
Giacomo Roccon
Andrea Salvatori
Markus Schinwald
Alberto Scodro
Peter Senoner
Priscilla Tea
Barbara Taboni
Luca Trevisani
Mario Tome'
Guido van der Werve
Eugenia Vanni
Willy Verginer
Giuseppe Vigolo
Andrea Visentini
Davide Zucco
Judith Supine
Daniele Capra
Associazione E
Gianluca D'Inca' Levis
Andrea Bruciati
Alberto Zanchetta
Alice Ginaldi
Dolomiti Contemporanee e' un progetto di interazione con il luogo, che non produce solo una serie di eventi espositivi, ma innesca un processo di riflessione, di operativita' e di lavoro sul territorio. L'evento e' articolato in due blocchi di mostre, con 7 curatori, 50 artisti, 3 sedi, un laboratorio e una residenza. La Pierre de la Folie costituisce la prima tappa del progetto.
Dolomiti Contemporanee è un progetto d’arte contemporanea nella (dalla) regione
dolomitica. Dal 2009, le Dolomiti (una parte di esse) sono divenute un sito Unesco.
Le Dolomiti sono dunque una risorsa (dell’Umanità). Fatte d’ambiente, roccia,
spazio verticale, potenza degli elementi dispiegati; e di interazioni antropiche; e
di processi, più o meno sostenibili, di utilizzo e configurazione e fruizione del
territorio.
Anche l’arte contemporanea è una risorsa. Un crogiuolo. Un’officina.
Corrisponde ad un esercizio critico d’intelligenza. Produce processi d’analisi
del senso, formalizzazioni di pensiero critico; è costruzione diretta o mediata di
rapporti e relazioni, riflessione acuta sulle identità, elaborazione plastica di
concetto e metafora; è palestra d’azione, impulso alla generazione di oggetti
rivelatori, testimoniali, critici; sviluppatore di senso.
L’arte (contemporanea) è uno scandaglio. Ed un visualizzatore amplificante.
Applicata ad un oggetto, ad uno spazio, lo legge, vi entra, lo apre, vi deposita la
larva fisica del proprio pensiero formalizzato. L’arte concentra l’idea, le dà
corpo, ne ricava immagini sintetiche pervasive.
Immaginiamo dunque di inaugurare una stagione di riflessione ed azione nell’ambito
- territoriale, spaziale, fisico, tematico, ideale - delle Dolomiti. Non pensiamo ad
una, o più, mostre chiuse, né ad uno spazio compiuto nella sua specificità.
Pensiamo piuttosto ad un gruppo di curatori, e di artisti, e di soggetti differenti,
interessati a puntare la loro lente in questa direzione. Che scrutino, indaghino,
dissezionino, estrovertano (ed introvertano), trasformino, muovano, la fisiologia
dei luoghi, producendo criticità (e criticismi) ed una ricca, variegata messe di
sedimento esteticointellettuale. Muovendo lo spazio.
Questo processo di interazione con il luogo, non produce dunque (solo) una serie di
eventi espositivi, ma innesca un processo, di riflessione, di operatività, di
lavoro, su (da) questo territorio.
Dolomiti Contemporanee vuole essere, diventare, una modalità di riflessione e di
azione culturale sul territorio. Questo territorio non viene narrato, descritto. Non
descrive se stesso. Diventa un luogo d’incontro. Un innesco.
La struttura di Dolomiti Contemporanee prevede la messa a punto di una piattaforma
logistica territoriale. L’istituzione di una rete fitta di rapporti tra numerosi
soggetti eterogenei, istituzionali, politici, sociali, culturali, artistici,
imprenditoriali, didattici -territoriali ed extraterritoriali- punta a costituire
quest’esperienza come uno spazio integrato d’azione sul territorio, che sappia
operare all’interno di una mappa estesa e ramificata. Dolomiti Contemporanee non
è una mostra. E’ un progetto di rete.
L’epicentro di dolomiti contemporanee è Sass Muss. Un complesso di archeologia
industriale, costituito da alcuni edifici realizzati nella seconda metà del XIX
secolo, da pochi anni recuperato, che storicamente ospitava un polo chimico, e da un
gruppo di corpi di fabbrica più recenti. L’ampliamento produttivo, costituito da
grandi volumi in cemento prefabbricato piantati nel verde, a poca distanza dai primi
picchi dolomitici, crea uno scarto estetico sensazionale.
Gli edifici originali sono chiusi da oltre vent’anni. Quelli industriali recenti,
non sono stati fino ad oggi utilizzati, se non in minima parte.
Li accendiamo con dolomiti contemporanee.
Due blocchi di mostre, sette curatori (i primi), cinquanta artisti, tre sedi di
mostra, un laboratorio, una residenza.
Il primo blocco inaugura sabato 30 luglio ore 18.30 (e si conclude il 4 settembre).
Tre esposizioni, negli edifici Sass Muss, Pavione, Schiara, a cura di Andrea
Bruciati, Gianluca D’Incà Levis, Alberto Zanchetta.
Il secondo blocco inaugura sabato 17 settembre ore 18.00 (e si conclude il 16
ottobre). Quattro esposizioni, a cura di Daniele Capra, Gianluca D’Incà Levis,
Alice Ginaldi, Francesco Ragazzi e Francesco Urbano.
Un programma di residenza breve consentirà ad alcuni artisti di risiedere, per un
periodo di una settimana/dieci giorni tra il 30 luglio e il 17 settembre a Sass
Muss.
Artisti: Alis/Filliol, Federico Baronello, Guy Ben-Ner, Francesco Bertelè, Ludovico
Bomben, Laetitia Calcagno, Alex Cecchetti, Juan Carlos Ceci, Manuele Cerutti, Luca
Chiusura, Cristian Chironi, Nemanja Cvijanovic, Alessandro Dal Pont, Paolo De Biasi,
Giovanni De Donà, Fabiano De Martin Topranin, Andrea Di Marco, Andrea Dojmi,
Ericailcane, Andrea Facco, Christian Frosi, Nicola Genovese, Dimitri Giannina,
Daniele Giunta, Paolo Gonzato, Gabriele Grones , Antonio Guiotto, Emanuele Kabu,
Minji Kim, Tiziano Martini, Jacopo Mazzonelli, Rachele Maistrello, Giovanni Morbin,
Shana Moulton, Michael Noble, Federica Menin, Cristina Pancini, Laura Pugno,
Alessandro Pagani, Alessandro Pavone, Daniele Pezzi, Luca Pozzi, Lucio Pozzi,
Fabrizio Prevedello, Roberto Pugliese, Giacomo Roccon, Andrea Salvatori, Markus
Schinwald, Alberto Scodro, Peter Senoner, Priscilla Tea, Barbara Taboni, Luca
Trevisani, Mario Tomè, Guido van der Werve, Eugenia Vanni, Willy Verginer, Giuseppe
Vigolo, Andrea Visentini, Davide Zucco, Judith Supine.
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La Pierre de la Folie
A cura di ALBERTO ZANCHETTA
Il progetto della Pierre de la Folie si basa sulla possibilità di convertire l’energia (ossia l’idea) in massa,
quindi in materia (vale a dire in opera) rilevabile dai nostri sensi. Com’è ovvio, la materia è un’entità
capace di adeguarsi a una forma, ma è anche una disciplina di studio suscettibile di classificazione. Da
questa premessa nasce un “macro-allestimento di micro-mostre” che attiene ai criteri espositivi del
complesso industriale in cui ha sede Dolomiti Contemporanee; dato che ogni edificio del distretto
artistico è concepito per ospitare una singola mostra, nel Padiglione C verrà ricreata la stessa modalità
operativa in una scala più ridotta, ricavando cioè delle piccole rassegne all’interno del più ampio e
articolato progetto della Pierre de la Folie. In modo del tutto autonomo, ogni sezione svilupperà una
propria tipologia, ma tutte risulteranno connesse tra loro (a riprova del fatto che la somma delle parti è
più grande delle parti stesse). Prendendo spunto dalla roccia dolomia che circonda Sass Muss, la
mostra si concentrerà su differenti opere – che non sono altro che “materia sottoforma di pietre” -
permettendo così un’analisi metodologica intorno al fare e al [ri]pensare l’arte visiva. Posto che è l’idea
a creare la materia, le opere-pietre di cui si darà testimonianza non sono semplici oggetti bensì dei
processi creativi (naturali e/o artificiali). La relazione con il paesaggio dolomitico si declinerà quindi in
“aeroliti filosofali”, “rocce alchemiche”, “pietre angolari”, “pietre di paragone”, “monoliti invisibili” e nel
primigenio “Adam Kadmon”.
AEROLITI FILOSOFALI. Nel settecento veniva derisa la pratica di estrarre chirurgicamente delle pietre
sanguinanti dalla testa di persone eccentriche o dal comportamento anomalo. La “pietra della follia”
che possiamo estrarre dal libro di Fernando Arrabal (qui esposto in copia autografa delle edizioni City
Lights di Ferlinghetti) corrisponde ai sogni più reconditi e assurdi del genere umano. Disseminati nel
salone centrale, alcuni aeroliti sembrano sfidare le leggi della gravità terrestre, involandosi come
fossero dei pensieri. Alla maniera dell’isola volante di Laputa, che galleggia nel cielo di Balnibarbi, la
spugna luminescente di Luca Pozzi fluttua su un campo elettromagnetico, testando le proprietà fanta-
scientifiche della materia inerte. Elisa Monaldi propone invece la perfetta summa dei quattro elementi
(acqua, terra, fuoco, aria) nella fattispecie di una creta naturale e di una ceramica smaltata che
sembrano in procinto d’ascendere verso il cielo riprodotto su una minuscola fotoceramica. A ingannare
la legge di Newton ci pensano anche i paesaggi che Daniele Giunta ha disegnato su piccoli formati che
alligneranno misteriosamente nel vuoto della parete centrale.
ROCCE ALCHEMICHE. Manuele Cerutti, Fulvio Di Piazza e Juan Carlos Ceci presenteranno ciascuno
un piccolo quadro che individuerà tre differenti fasi di metamorfosi geologica. La pietra sfaccettata di
Cerutti, la montagna biomorfa di Di Piazza e il paesaggio roccioso di Ceci sono ovviamente dei pretesti
metalinguistici per raccontare l’alchimia della pittura. La misteriosa pietra di Cerutti riveste
un’importanza simbolica perché viene fatta corrispondere alla sedimentazione pittorica, a quel travaglio
concettuale che rivela la promiscuità e l’ambiguità delle “prime intenzioni”. Di Piazza è un artista
[in]naturalista capace di trasfondere la fisiologia umana nella geografia; esercitando la propria volontà
sulla natura, egli riesce a permearla/plasmarla a propria immagine e somiglianza. Seppur imbevuta di
pittura, la pelle coriacea del mondo – così come ci viene mostrata da Ceci – è essiccata, trasformata in
una carcassa di pietra, con le “carni” indurite e le “cartilagini” fibrose che dichiarano la stanchezza di
una natura appesantita dai secoli... di storia naturale, e artistica in particolare.
PIETRE ANGOLARI (OMAGGIO AL CUBO). Sotto quali aspetti un sampietrino può essere equiparato
al posacenere di Bruno Munari, ai dadi di Giulio Iacchetti, ai post-it di Arthur Fry, ai multipli di Paul
Schatz o ai celebri rompicapi di Ernö Rubik, William Altekruse e Piet Hein? Non facendo nessuna
distinzione tra elementi naturali, manufatti artistici o di design, la selezione di oggetti ragiona sul
concetto di opera, intesa come creazione pura e semplice. Parafrasando – e, perché no, parodiando – l’Omaggio al quadrato di
Joesf Albers, questo piccolo “Omaggio al cubo” cercherà di stimolare gli spettatori, mettendone alla
prova il senso critico e le loro capacità deduttive (molto spesso non è nelle opere monumentali ma in
quelle di dimensioni più piccole che troviamo una “complessità risolta”).
PIETRE DI PARAGONE. Introduce questa sezione il catalogo “Due pietre ritrovate di Amedeo
Modigliani” pubblicato nel 1984 a seguito del rinvenimento di alcune teste in pietra che furono attribuite
a Modigliani (i presunti capolavori si rivelarono essere in realtà dei clamorosi falsi). Il catalogo
dell’affaire Modì – diventato una rarità per gli amatori – costituisce una testimonianza molto concreta
sulla labilità e le distorsioni che spesso colpiscono il giudizio della critica ufficiale; ma al di là della
beffa, desta una certa curiosità il titolo stesso del libro, in cui le teste non vengono chiamate “sculture”
ma semplicemente “pietre”. Con la stessa ambiguità lessicale vengono qui proposte quattro opere che,
disposte a pavimento e in fila indiana, saranno messe a confronto con delle pietre dolomitiche
prelevate dal paesaggio circostanze Sass Muss. Benché la dolomia sia una roccia grossolana, in cui
confluiscono sedimenti calcarei e marnosi, l’Unesco ne ha riscattato il valore intrinseco proclamando le
Dolomiti “patrimonio dell’umanità”. E dal momento che l’arte è stata spesso intesa come una imitazione
della natura, non è inverosimile pensare che la natura possa plagiarla a sua volta e diventare essa
stessa un artificio culturale. Mettendo alla berlina il concetto che oppone i materiali “nobili” a quelli
“volgari”, la pietra dolomia risulterà equipollente alle quattro sculture che l’affiancano: 1. il reperto post-
industriale di Andrea Facco, calco fossile di un pacchetto di sigarette cui è stata data forma e dignità
d'arte ma che dichiara d’essere anzitutto un residuo della modernità. 2. I caldi di colata di Lucio Pozzi
ottenuti assemblando i prodotti di risulta delle fonderie, materiale inutilizzato che l’artista ha
ironicamente convertito nella – effettiva – fusione di una scultura. 3. L’am-masso minerale realizzato da
Michael Noble, che si mantiene in bilico tra ciò che è autentico e ciò che è artefatto (lo scultore, che per
molte sue opere si ispirò alle Dolomiti, ha sempre cercato l’intimità delle cose, e in particolar modo
della pietra che fu il suo “ideale laboratorio”). 4. L’Ikebana Mon Amour di Andrea Salvatori, composta
da dei gigli che stillano del sangue su una superficie rocciosa, induce a una riflessione sulla bellezza
floreale che è anche metafora della brevità e della fragilità dell’esistenza; l’antica arte dell’ikebana si
propone infatti di «mantenere vivo [“ike-ru”] il fiore [“hana”].
L’INVISIBILITÀ È UNA TRA LE POSSIBILITÀ DELLA MATERIA. Laddove il concetto diventa
materia, ecco che la visibilità tende a un maggior grado di fisicità. All’opposto, nella saletta adiacente
l’ingresso, apparentemente vuota, non ci saranno opere ma solo un libro aperto e dei fogli che
comunicano al pubblico la presenza di pietre “invisibili” all’interno della mostra. La prima è una pietra
immaginaria, letteraria se vogliamo, perché ci viene raccontata da Paul Auster nel romanzo-
sceneggiatura di Lulu on the Bridge. La seconda e la terza pietra sono invece delle “omissioni” che si
pongono l’obiettivo di ricordare quale fosse l’approccio artistico di Gino De Dominicis. È noto come una
personalissima visione del proprio lavoro portasse GDD a mantenere un diritto di veto su apparizioni e
riproduzioni fotografiche; un’indicazione che non ha mai trovato un adeguato riscontro dopo la morte
dell’artista. GDD era solito ripetere che «la riproduzione non è una mia opera ma l’opera del fotografo»
e che «l’arte non ha bisogno, per esistere, di essere vista». Con l’intento di suffragare queste sue
dichiarazioni, le pagine del catalogo Electa “Gino De Dominicis: l’Immortale” sono state scorporate dal
volume e private della riproduzione fotografica di Equilibrio (un grande masso su cui è infissa un’asta
dorata). Diversamente, si cercherà di stabilire la vera paternità della Seconda soluzione di immortalità
(in cui appare una pietra che reca il titolo di Attesa di un casuale movimento molecolare generale in
una sola direzione, tale da generare un movimento spontaneo della pietra). E poiché GDD declinava la
richiesta di descrivere a parole le sue creazioni, invitando viceversa i suoi interlocutori a conoscere
ogni sua opera solo «quando sarebbe stata esposta di nuovo», si è deciso di listare a nero le schede di
commento delle relative immagini.
ADAM KADMON. A chiudere il cerchio metodico-virtuoso dell’esposizione troviamo una scultura di
Willy Verginer. È come se le diverse pietre disseminate in tutta la mostra si fossero trasformate in
un’unica pietra circolare che pone l’uomo al suo centro: quell’uomo primordiale che è un Golem nato
dalla terra (Adam Kadmon significa per l’appunto “uomo terroso, terreno o della terra rossa”). Come
fosse l’ultimo anello di una catena evolutiva in cui la trasmutazione della materia – vale a dire la ricerca
dell’opus/opera – ha modificato anche l’essere umano, la figura scolpita da Verginer è circondata da
oggetti non meglio identificati che sembrano modificarne la struttura molecolare.
In definitiva, non ci resta che «accordare attributi umani a una pietra piuttosto che negarli a una
possibilità di coscienza, per quanto minima» [Mark Rothko dixit].
ARTISTI
JUAN CARLOS CECI (Saragozza, 1967 - vive e lavora a San Marino)
MANUELE CERUTTI (Torino, 1976 - vive e lavora a Torino)
FULVIO DI PIAZZA (Siracusa, 1969 - vive e lavora a Palermo)
ANDREA FACCO (Verona, 1973 - vive e lavora a Verona)
DANIELE GIUNTA (Arona, 1981 - vive e lavora a Milano)
ELISA MONALDI (San Marino, 1978 - vive e lavora a San Marino)
LUCA POZZI (Milano, 1983 - vive e lavora a Milano)
LUCIO POZZI (Milano, 1935 - vive e lavora a Valeggio sul Mincio)
GEORGE ERNEST MICHAEL SINCLAIR NOBLE (South Moor, 1919 - Grasse,1993) †
ANDREA SALVATORI (Faenza, 1975 - vive e lavora a Solarolo)
WILLY VERGINER (Bressanone, 1957 - vive e lavora a Ortisei)
LIBRI, OGGETTI & REPERTI
“La Pierre de la Folie” di FERNANDO ARRABAL
“Lulu on the bridge” di PAUL AUSTER
“Due pietre ritrovate di Amedeo Modigliani” a cura di DARIO DURBÉ
“Cubo” di BRUNO MUNARI
“Kuboid” e “Inversis” di PAUL SCHATZ
“Cubo di Rubik” di ERNÖ RUBIK
“Altekruse” di WILLIAM ALTEKRUSE
“Soma cube” di PIET HEIN
“Happy dice” di GIULIO IACCHETTI
“Sugar cube” di MARTÍ GUIXÉ
“Post-it” di ARTHUR FRY
documentazione su GINO DE DOMINICIS
pietre dolomitiche
sampietrino
I siti
Sass Muss, con i suoi grandi padiglioni, e con tutti gli altri siti che si trovano
nei dintorni del complesso (emergenze ambientali, manufatti d’archeologia
industriale, cave di pietra) è un epicentro. Ma, attraverso un sistema d’orbite
concentriche, l’intera area dolomitica è teatro operativo, all’interno del
quale individuare situazioni o siti di progetto significativi.
Tra i siti alternativi di Sass Muss, la chiusa, il bunker, la presa, il
tetto-giardino dell’edificio schiara, le vasche, i piombi della foresteria, il
cementificio diroccato, le cave calcaree, l’alveo del torrente cordevole, le
grotte d’acqua del mis, la diga, il lago, la falesia,...
Il progetto è promosso da:
Regione del Veneto, Provincia di Belluno, Comune di Belluno, Comune di Sospirolo,
Attiva SpA Agenzia per la Trasformazione Territoriale In Veneto
Con il fondamentale sostegno di:
Consorzio Bim Piave, Confindustria Belluno Dolomiti, Enel, Il Gazzettino
Inaugurazione sabato 30 luglio ore 18.30
Sass Muss ex polo chimico
Sospirolo (Belluno)
Orari: 10.00-12.30; 15.00-19.30; 20.00-23.00
Chiuso il lunedì e dal 5 al 16 settembre
Ingresso libero
Come arrivare da Belluno
Statale Agordina, direzione Agordo (SR204)
Alla rotonda alla fine di via Igino d’Incà proseguire diritti in Via Dolomiti
Girare a sinistra imboccando il ponte Mas
Al termine del ponte girare a sinistra verso Località Ponte Mas
Proseguire sulla salita per circa 100 m. e girare nuovamente a sinistra in direzione località Masiere (non proseguire in direzione Sospirolo) Seguire la strada per circa 1 km fino all’arrivo in località Sass Muss