Il rigore tenero della materia. Nei dipinti in mostra l'immagine finale e' frutto di strati di colore, di carte cancellate e strappate, di linee svirgolate, rapprese in un piccolo spazio della tela.
A cura Tiziana Todi
Cosa serve per dipingere
“... Indifferenza a tutto tranne alle tele.
La capacità di lavorare come un treno.
Una volontà di ferro.”
(Raymond Carver “Orientarsi con le stelle” Edizioni Minimum Fax)
Le Tele di Enzo Fabbiano saranno esposte presso la Galleria Vittoria (Via Margutta, 103)
dal 22 settembre al 2 ottobre durante la mostra “Il rigore tenero della materia”
I quadri di Enzo Fabbiano hanno come punto di riferimento la nascita di un paesaggio,
identificato nell’uso del colore. “... L’immagine finale è quindi, frutto di numerosi strati di
colore di carte cancellate e strappate, di linee svirgolate e rapprese in un piccolo spazio
della tela. È, quindi, una pittura mobile, fluttuante, magmatica, altezzosa pur evocando
la “probità” del segno e della pennellata. È una pittura, anche, che si compiace delle sue
trasparenze e di un’acquosità che permea ogni angolo del dipinto...” (Giorgio di Genova).
A prendere parte all’evento l'artista Enzo Fabbiano, il critico Giuseppe Parisi, la gallerista
Tiziana Todi e il professor Giorgio di Genova.
Testo critico
Le composizioni di Enzo Fabbiano sono il risultato di una ricerca assidua e tenace sul
colore e sulle sue variabilità il cui frutto è febbrile, intenso e carico di allusioni
all’invisibile. L’artista lavora all’interno della sua stessa opera in una specie di
autoanalisi per interpretare se stesso e il mondo; traccia una via per elaborare gioie e
lutti e dolori e pianti attraverso i quali s’innesta un sincero innalzamento della propria
sensibilità e una larvata spiritualità, aperta a tante varianti. La sua ricerca sui materiali
(fusi e accostati in tentativi non semplici) è un’operazione frutto di un lungo
apprendistato e corroborato da una volontà di ferro, piuttosto insolita in un contesto
ostico come quello calabrese. Quindi, l’attività, pur nascendo da autodidatta, si
perfeziona con lo sguardo attento alle opere altrui, in primis agli informali, ai post-
informali e con lo sperimentare l’uso della materia, come generatrice di fenomeni
imprevisti. Da tutto questo nascono le opere dal “rigore-tenero” con le protuberanze-
grembo nella superficie della tela, prosperano certi solchi flebili e morbidi che si
conficcano nello spazio pittorico. Le opere, così, si immergono in un ricordo dei colori del
tempo: il blu del mare, la terra secca e grigia dei calanchi argillosi, il cielo incerto e
variabile durante la tramontana invernale. Questi temi e queste riflessioni cromatiche
nutrono con energia l’opera del calabrese che sperimenta come uno zelante “sacerdote”
l’epifania del rosso o il suo nascondimento, la visibilità dei toni freddi o la loro esclusione,
forse con ricorsi memoriali alla visione di una vita in un contesto con elementi “arcaici”
dove il mitologico (la paura, la vendetta, il trionfo, l’esclusione) si mescola con il senso
vivo delle cose.
La pittura di Enzo Fabbiano s’innalza a coraggioso tentativo di modulare
una via artistica piena di senso per combattere le piatte architetture di tanti mediocri
artisti il cui “fiato artistico” è sprecato in inutili volteggiamenti coloristici. La sua pittura
(senza stati di allucinazione) si stende sull’opera con più strati come se dovesse arrivare
al nucleo del mondo: i dati sensibili, i dati intermedi come filtro dei due strati, i dati
interni (e più profondi) da cui si possano leggere la propria storia personale e anche
quella degli altri. I dati sensibili sono i più visibili e anche i più concreti e riflettono
l’ultima “carezza” dell’artista che li slega dall’autore per farli vivere nel proprio tempo,
nella propria vita, nel proprio vissuto. Quelli intermedi nascono come percezione di
alcune intuizioni, ma “s’appisolano” sul piano pittorico in attesa dell’evento, della
trasformazione. Quelli interni (e nascosti) vivono con la certezza di essere la base
costituente dell’opera e nell’opera si annidano come covate benefiche pronte a nutrire di
energia la progressione pittorica dell’artista. A fare da collante in queste opere l’autore
immette vari materiali, ma uno su tutti ricorre quasi costantemente: la carta velina,
fragile come il vento, che l’artista applica nelle sue opere con una simbologia precisa. La
morbidezza della carta, unita ad altre sostanze, diventa più consistente, più duratura e
può costituire una sorta di “paesaggio interiore”.
L’increspatura della carta viene solidificata e lascia sul campo territori scabrosi su cui la
mano può avvertire la ruvidezza, lo spazio modulato, la variabilità dell’umore cartaceo.
Tutta la produzione di Fabbiano è dentro i canoni post-informali: la mancanza di legami
con il figurativo, la visione coloristica sganciata dal reale, i materiali utilizzati (la ricetta è
unicamente sua) sono in sintonia con le opere contemporanee dove sperimentare è
ricercare l’essenza del nostro vivere. L’artista lavora come un navigato alchimista nel suo
studio che si affaccia sul mare. Dopo ogni operazione (soprattutto nelle tele di grandi
dimensioni) l’artista ne esce sfiancato come un corpo a corpo con l’opera poiché la ricerca
e la fascinazione della materia assorbono ogni sua più piccola energia, ogni suo briciolo
di forza. L’opera, per suo dire, deve raccontare l’inconoscibile e dare un segno di visibilità
tonale allo sguardo accorto dello spettatore. Il canto finale deve essere quello di un
lavoratore che conosce i materiali, le loro combustioni, le loro specificità, ma anche
quello di un “fabbro-creatore-inventore” che elabora una linea molto personale la cui
logica sta nel cogliere le sfumature più intime del nostro correre verso lidi sconosciuti.
Allora, Fabbiano, è non solo un visionario, ma anche un “diverso” vedente (come lo sanno
essere solo i più bravi artisti) del mondo che anticipa soluzioni e competenze di altri
settori dello scibile umano. Potremmo dire che è un “farmacista” che dà pillole di estetica
post-informale per celare “la realtà orribile della vita” e tracciare con il suo “fluido
magico” (la pittura) una sottile linea verde che ogni individuo capta in pochi momenti
della propria vita. Per concludere, la pittura di Fabbiano è piena di attese, di riprese, di
scatti bloccati che squarciano la materia su più punti dando corpo al coraggio del fare e
del dire nonostante la resistenza del vuoto e dei suoi ineffabili silenzi.
Giuseppe Parisi
Biografia
Pittore autodidatta, nasce a Crotone l’8 Ottobre del 1963. Nel 1980 si trasferisce a Siena
per seguire corsi di studio universitari. Gli anni passati in toscana (1980-85) sono ricchi
di incontri con artisti di varia estrazione e provenienza ai quali deve l’introduzione all'uso
del colore ad olio, e la spinta verso lo studio e la rappresentazione della figura umana e
della natura. Ben presto inizia a partecipare ad esposizioni collettive di arte ricevendo
sempre consensi sia da parte del pubblico che, soprattutto, dalla critica. Consenso
dovutogli, principalmente, per il sapiente uso del colore, di stampo tipicamente
impressionista. Da alcuni anni ad oggi, spinto da un’innata propensione, da continua
ricerca e soprattutto dalla visita della retrospettiva romana dell’opera di Afro Basaldella,
è approdato ad esprimersi attraverso i canoni, oggi a lui più congeniali, del post-
informale.
Ufficio Stampa: Maria Alessandra Scuderi - 3396817939 – mariaalessandra@montitv.it
Immagine: Enzo Fabbiano, La veduta, tecnica mista
Inaugurazione: giovedì 22 settembre ore 18.30
Galleria Vittoria
Via Margutta, 103 Roma
Orario galleria: lunedì/venerdì 15,00 -19,00 / fuori orario su appuntamento
Ingresso libero