Galleria Spaziosei
Monopoli (BA)
via Sant'Anna, 6
080 802903 FAX 080 802903
WEB
Uccio Biondi
dal 7/10/2011 al 4/11/2011
mar- sab 17.30 - 20.30 o su appuntamento

Segnalato da

Mina Tarantino



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Uccio Biondi
Mina Tarantino



 
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7/10/2011

Uccio Biondi

Galleria Spaziosei, Monopoli (BA)

La sposa impossibile. L'esposizione, a cura di Mina Tarantino, e' costituita da una raccolta di opere pittoriche il cui soggetto ricorrente e' la figura femminile.


comunicato stampa

a cura di Mina Tarantino

La galleria SPAZIOSEI promuove, dal 08 ottobre al 05 novembre 2011, la mostra personale del maestro UCCIO BIONDI, un evento culturale che conferma l’impegno e la sensibilità della Galleria per la cultura e l’arte:

LA SPOSA IMPOSSIBILE
UCCIOBIONDI è nativo di Ceglie Messapica (Br).
Inizia l’attività nel 1973 sviluppando una produzione pittorica e calcografica. Il suo lavoro si è modificato nel tempo: dall’espressionismo pittorico a quello esistenziale, dall’informale a quello materico, dalle reincartazioni a un suo ultimo “zapping” pittorico incentrato sulla introduzione di inserti vili e sull’apporto di composizioni scritturali. Assai significative sono le originalissime “alto-pitture” che coniugano colore e terza dimensione e le sue “installazioni intermediali” che mettono in relazione video e corpo, video e oggetti (da ricordare, in particolare, l’installazione Durch den Kamin del 2006 per il Treno della memoria). Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. È presente nella 54a Biennale di Venezia, presso il Padiglione Italia - Puglia - Lecce.

La mostra, a cura di Mina TARANTINO è presentata dal critico d’arte Santa FIZZAROTTI SELVAGGI, che di lui scrive: «E se la sposa fosse la metafora di quell’impossibile desiderio che riempie senza fine l’ultimo sogno dell’artista? Quel sogno che nessuno di noi può vedere sino in fondo senza il terrore dell’annientamento?
Uccio Biondi, nella pienezza della coscienza, ama perdersi per poi ritrovarsi attraverso l’incontro con l’Altro, riflesso speculare di una Alterità indistinta con la quale un giorno noi tutti siamo stati fusi e confusi esperendo uno stato di beatitudine difficile da dimenticare, la cui mancanza genera il desiderio come tale.
L’impossibile, dunque, rappresenta quel gioco che all’infinito unisce e separa: è questo forse il segreto della fascinazione nascosta nei labirinti invisibili delle immagini delle Arti che ospitano gli universi molteplici della mente alla ricerca dell’amore, di quell’Assente che nostalgicamente riempie tutta la vita. In tal senso l’artista con il filo rosso di “misteriosi gomitoli” ci conduce, alla maniera di Arianna, metafora dell’anima del mondo, nel “luogo del divieto”, là dove si struttura l’inaccessibilità del linguaggio, nucleo sfuggente della nostra identità, tutto ciò che “sfugge al discorso”. In quel “non luogo” è racchiusa la nostra natura che appare trasfigurata nelle forme visibili della pittura e della scultura. Si ricrea la scena originaria che costituisce la sostanza dell’opera d’arte, una realtà-irreale che alimenta l’illusione di aver trovato quell’Oggetto impossibile che non avremmo mai voluto perdere.
È per queste ragioni che, a volte, si preferisce pensare ad un amore che poteva essere e non è stato, piuttosto che vivere la realtà di quell’amore che consente la separazione dall’Oggetto perduto. Si tratta, infatti di svegliarsi da un sogno e sentire di essere in compagnia del proprio Sé consapevoli di essere soli.

Biondi costruisce figure femminili che contengono il seme di ogni realtà, della scelta che conduce oltre il confine dell’Eden, del processo di soggettivazione che dipinge il mosaico cangiante del mondo sì che l’Essere manifesti i suoi volti infiniti e si sveli a se stesso. E come scrive Flaminio Guardoni: “è una voglia di corpo che solo la pittura conosce, e può nuovamente far struttura di senso”. Si tratta della corporeità, della pelle che tiene e contiene infiniti universi possibili, materia pregna di Eros, del Dio bambino che “scioglie le membra”.
Nella storia è come se attraverso Eva, la madre dei viventi, fosse stata donata al mondo la bellezza: attrazione e sensualità, movimento verso l’Altro, seduzione e fascino, ovvero tutto ciò che genera la vita.
Ma Eva, come Hestia, oggi come ieri, tramanda le immagini in forma di poesia, musica e pittura intorno al focolare, metafora delle mura domestiche entro le quali il Soggetto accade a se stesso. Le Madri rappresentano le custodi del fuoco della creatività, unico antidoto alla omologazione del pensiero consapevoli forse che la violenza, come la morte, è parte integrante dell’essere umano: vi sono abusi sottili, occulti, manifesti, ferite non rimarginabili, lutti originari. L’Arte, però, è contro ogni perdita, sublima pulsioni inconfessabili, ripara l’Oggetto amore fantasmaticamente danneggiato, facilita la nascita dei luoghi transizionali e la cultura intesa quale esercizio di libertà senza orizzonti, né servi né padroni, in modo che l’uomo diventi Uomo.

I linguaggi dell’arte sono una possibilità di definire i confini di uno spazio pregno di sacralità sì che al simbolico incrocio di Laio nessuno debba perire: la “sposa” diviene inviolabile e pertanto salvificamente “impossibile”. Biondi, attraverso le sue Opere, condivide con noi il suo sogno, in parte svelando il suo Sé arcaico, le cui radici sono in un altro “corpo”, ovvero in quella dimensione in cui si struttura la corporeità e il successivo sentire di “essere nel proprio corpo”. Soltanto in questo caso è possibile svegliarsi dal sonno e riconoscere se stessi nel mondo all’interno di un rapporto di reciprocità.
In tale intimo dialogo si colloca la nascita della creatività e di una nuova immagine di un Sé integrato in grado di vedere con un altro sguardo anche “l’Altro da sé” che invero è “l’Altro di me”. E forse per tali considerazioni Maria Antonietta Epifani afferma che: “come un viandante che medita con l’occhio della curiosità sulla vertigine dello spazio circostante, Uccio Biondi nella Diversità fa scoprire quell’equivoco che risveglia la mente critica e trasporta nelle magiche lontananze dell’Arte”.
L’artista, con la sua “Sposa impossibile”, ci riconduce per alcuni aspetti, alla “Sposa del vento”, uno dei quadri più noti di Oskar Kokoschka (1914), a quella intimità sempre sognata che alimenta il senso della nostra vita. Si illuminano così gli oscuri meandri della memoria e appaiono scenari e visioni, ricordi, epoche di avvento.
Il maschile si accorge di essere stato generato dal femminile, da quel principio universale che faticosamente trasmette la vita e con questa la storia, le immagini, i suoni, le parole, le emozioni e gli affetti per consegnarli, se pur illusoriamente, all’eternità.
Le Arti, dunque, e la creatività che le genera e le sostiene, hanno in ogni caso a che vedere con la separazione e con la possibilità di tollerare la perdita di quella primitiva “percezione di contatto” attraverso la quale transitano i pensieri. Per tali ragioni Biondi evita l’anoressia figurale che dilaga nella nostra realtà, multimediale e finanche virtuale, opponendo all’anti-racconto dell’arte e del corpo, la narrazione del “corpo dell’arte” la cui essenza si struttura nell’interazione complessa dei sensi e di quel Senso sempre aperto che invita alla conoscenza.
Le Opere di Biondi si inscrivono in quella dimensione che si pone come ponte e passaggio tra corpo e mente determinando la nascita di un linguaggio Altro.

Paul Lemoine, psicoanalista e contemporaneamente artista, ha scritto: “quando traccio una linea o dipingo su una tela depongo un segno per qualcuno. E bisogna che ciò interessi l’altro che deve legittimare il mio gesto, altrimenti sarebbe stato un gesto vano...Il segno, dunque, che io invio ad altri non è parola. Il segno non è significante, lo diventa”. D’altra parte, Langer afferma che “un’opera d’arte è appunto una forma individuale offerta direttamente alla percezione. Ma è un tipo speciale di forma poiché sembra essere qualcosa di più di un fenomeno” e continua sostenendo che l’opera d’arte contiene una tale “portata” che in fondo è “la struttura della vita stessa com’è sentita e direttamente conosciuta”. Si tratta cioè di una mimesis che rinvia a una “forma” percepita in uno “spaziotempo” radicato nella nostra memoria implicita, nel “luogo del divieto” dove la sposa era sempre “possibile” pur nella sua “impossibilità”».

Inaugurazione 8 ottobre ore 18

Galleria SpazioSei
via S. Anna, 6 - Monopoli (BA)
Da martedì a sabato, ore 17.30 - 20.30
Ingresso libero

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Annamaria Suppa
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