Le Voyage imaginaire. Nei lavori in mostra l'artista esplora il mondo delle sostanze sublunari dominato dai flussi di crescita e proliferazione.
Le Voyage imaginaire
Ivan Quaroni
“Della vaporizzazione e della concentrazione dell’Io. Tutto sta lì.”
(Charles Baudelaire)
La definizione del rapporto dell’arte con la natura è un tema secolare, fondato su
modelli per lo più imitativi. L’arte, però, può osservare la natura in molti modi. Il
modo più semplice e immediato, è quello della trascrizione morfologica, della
verosimiglianza ottica, come nel caso di un dipinto che ripropone fedelmente un
paesaggio o uno spaccato di vita. Un altro modo, più sottile è quello in cui
l’imitazione concerne il modo, più che la forma, diciamo pure le regole e le
strutture che presiedono al suo ordinamento. L’alchimia, come disciplina,
appartiene a questo genere di imitatio.
Lo ricordava Alessandro Riva in una sua
lettura del lavoro di Annalù1, dove indicava l’Opus magnum come un percorso di
conoscenza del sé e dunque, per estensione, del mondo stesso.
La ricerca artistica di Annalù segue, precisamente, un iter gnoseologico, che
procede dai fondamenti della materia - ossia da quegli elementi vitali che
Empedocle definiva rizòmata (“radici”) di tutte le cose – per giungere, infine, alla
comprensione della grandezza spettacolare dei fenomeni naturali.
Annalù appartiene a quel genere di artisti per i quali il dominio della materia, della
chimica, delle sostanze fisiche, è parte integrante di un più ampio processo di
esplorazione, che coinvolge certamente l’arte, ma anche le dimensioni più
impalpabili dello spirito.
Annaluigia Boeretto, questo il suo nome per esteso, non è, quindi, un’artista di
mimesi, di ricalco, ma piuttosto una discepola della metamorfosi, intenta a
penetrare i misteri della creazione. Tommaso D’Aquino nel suo trattato
sull’Alchimia2 designava questa disciplina “De modo amalgamandi”, ovverossia
un procedimento che consiste nel mescolare e fondere le diverse virtù della
materia, al fine di comprendere i processi generativi della natura, nei quali era
inteso che si specchiassero, secondo la Scolastica, i principi della creazione divina.
Quell’“ossimoro di materiali”, cui accennava Riva nel succitato testo, alludendo
alla capacità dell’artista di assemblare elementi incongruenti come resine,
cortecce e lana di vetro, è dunque il frutto di un particolare ingegno pratico, unito
a una vivida curiosità intellettuale. L’artista esplora il mondo delle sostanze
sublunari dominato dai flussi di crescita e proliferazione, con la stessa attitudine
dell’apprendista stregone, dedito al difficile compito di ricavare, come dicevano i
latini, e pluribus unum (dalla moltitudine, l’unità). Nel suo modus operandi emerge
una certa fascinazione per il caos, per la massa informe, da ricondurre, tuttavia,
alla forma ordinata dell’oggetto. Lei stessa afferma, infatti, che le sue opere
costituiscono il racconto di “una materia primordiale (caos), che plasmandosi si
serve anche dell’elemento casuale (caso) per divenire, attraverso il suo controllo
successivo, cosa, ossia opera, forma nuova”.
Anagrammando il termine “caos” si ottengono i vocaboli “caso” e “cosa”.
Ponendo i tre termini lungo una linea temporale progressiva, avremo la sequenza
“caos-caso-cosa”, che, di fatto, ci riporta al contenuto della massima e pluribus
unum, sublime sintesi del processo creativo, ma anche documento
programmatico di un certo modo di intendere l’arte.
Da qui parte il viaggio immaginario di Annalù, propriamente dalla realtà tangibile
degli elementi e delle sostanze organiche, dalla loro mescolanza, metamorfosi e
trasmutazione per opera di quella mirabile forma di alchimia che chiamiamo
“immaginazione”. Un’immaginazione analitica, che le ha permesso, fin qui, di
comprendere i meccanismi di crescita e dissoluzione che governano le mirabilia
naturali, talora decifrando i misteri dell’acqua, talaltra penetrando l’affascinante
microcosmo dei lepidotteri, ma con quell’attitudine capace di compendiare
l’osservazione dei fatti con la metafora e l’allegoria.
In questa nuova tappa del pellegrinaggio dell’artista, la natura assume forme più
complesse, si organizza in configurazioni geografiche precise, più specificamente
in frammenti di paesaggio, in un ipotetico conglomerato d’isole fantastiche. La
terra, già evocata simbolicamente nei lavori precedenti attraverso l’uso di sabbia,
radici e le cortecce d’albero, si trasforma ora in territorio. Soprattutto nelle Isole
FloreAli, gli elementi della stoichea platonica (aria, acqua, terra e fuoco)
appaiono fusi in nuove entità, in microcosmi autonomi e in architetture organiche,
ognuno delle quali sprigiona una diversa temperie emotiva, fedelmente trascritta
nella propria morfologia.
Fukinagashi, isola che trae il nome da un particolare stile
di coltivazione dei bonsai che replica l’effetto delle chiome degli alberi quando
sono battute da un forte vento, è un tributo alla forza impetuosa degli elementi,
una sorta di trascrizione dell’epos preromantico. È puro sturm und drang in salsa
zen. Paideia, al contrario, canta il distacco dalle passioni, evoca i piaceri della
contemplazione, simboleggiati dalla sedia, punto privilegiato d’osservazione.
Qualcosa di analogo accade in Seduta ai margini dell’onda, dove alla sedia si
sostituisce una panchina, ultimo rifugio degli emarginati, e dove, in continuità con
le opere precedenti, ritorna prepotentemente l’elemento metamorfico
dell’acqua. Le materie prime di cui sono fatte queste Isole FloreAli sono, ancora
una volta, resine, sabbie, radici, ma anche carte, inchiostri e perfino tessuti.
Questi
ultimi, sperimentati nella recente collaborazione con la stilista Lavinia Turra,
formano la struttura portante di opere come Il sogno del bosco sospeso, ... e
ancora primavera e Della pioggia che danza. In questi e in altri lavori, osservando
il principio di verosimiglianza, Annalù usa scampoli di seta fissati con la resina per
riprodurre le crepe e i corrugamenti della terra. Una terra attraversata da una fitta
trama di rizomi che si estendono, come tentacoli, ben oltre i limiti consentiti. La
proliferazione radicale, con le sue proprietà leganti e stringenti, è parte della
grammatica imitativa dell’artista, da sempre attenta ai fenomeni di
propagazione, replicazione e accrescimento organici della natura. Non è un caso
che l’albero, con tutte le sue implicazioni simboliche e totemiche, sia l’elemento
centrale e dominante di questi microcosmi, axis mundi intorno a cui si aggruma e
si condensa la profusione vitale e vegetativa, ben rappresentata dal fogliame
frammisto a turbe di farfalle. Sorta di Axis mundi, simile a un’alta e ripida vetta è
anche l’isola intitolata Una torre dei venti, ispirata al mitico horologion ateniese, un
edificio ottagonale in marmo pentelico dedicato al culto di Nettuno.
Svettante come un colossale megalite è, invece, l’erta scoscesa, di ...Tu eri chiaro
e trasparente come me, dominata da un clima di caligine infernale di Böckliniana
memoria. Dilavata dal riflusso di un’anomala onda di greggio, questa è forse la più
malinconica delle opere di Annalù. Non è tanto la nota romantica dell’altalena
solitaria (posta in una cavità ai piedi del monte) ad alimentare l’atmosfera “persa”
del luogo, ma piuttosto la dominante cromatica, che sembra alludere alla
putrefactio alchemica e, dunque, alla dissoluzione degli elementi e alla
formazione di un composto simile alla pece, al carbone, al sale bruciato e al
piombo fuso. È il primo gradino della Grande Opera, quello che, ponendo mente
a Dürer, getta il discepolo nello sconforto dell’umor malinconico. Nel processo
creativo, esso corrisponde al Caos, alla materia indifferenziata che Annalù intende
dominare, anche con il contributo del Caso, per raggiungere il lapis
philosophorum, l’oggetto, il composto ordinato, la Cosa.
Istantanee di una fase del processo creativo sono le Mappe, che appunto
registrano l’attimo in cui il magma indifferenziato della materia prende forma,
corpo e disegno con una precisione quasi sismografica. Si tratta di tessuti serici, cui
l’artista offre una conformazione plastica, increspata e corrugata come quella di
certe topografie a rilievo. Sopra, tracciati a sottili linee d’inchiostro, si delineano
gemme floreali e virgulti arborei. Sembrano, a tutti gli effetti, lande innevate viste a
volo d’uccello, piste calpestabili, percorribili. Torna, qui, l’idea del viaggio
immaginario, già preconizzato nelle Isole FloreAli, simili a mobili zolle natanti.
L’idea di navigazione è il fil rouge che collega le mappe e le isole, il mare e la
terraferma, come dimostra l’emblematico omaggio a Magritte, un’impalpabile
figura acquea in forma di veliero. S’intitola Viaggio Interiore e ci riporta ancora, e
inevitabilmente, all’Opus Magnum e quel famoso acrostico, VITRIOL3, che
simboleggia la discesa nelle profondità dello spirito umano. D’altronde, come ha
scritto Tarkovskij , “c'è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro
mondo interiore”.
Visita Interiorae Terrae Rectificando Inveniens Occultum Lapidem.
Inaugurazione 28 ottobre ore 19
Wannabee Gallery
via Massimiano, 25 Milano
Orari: da lunedì a sabato ore 11-19
Ingresso libero