Anthony James
Aaron Bobrow
Heather Cook
N. Dash
Alex Dordoy
Leo Gabin
Andrew Gbur
David Hominal
Erik Lindman
Nazafarin Lotfi
Joseph Montgomery
Oscar Murillo
Ben Schumacher
Hugh Scott
Douglas
Dan Shaw
Town
Nick Van Woert
Ned Vena
Phil Wagner
Lisa Williamson
Con Conciousness and Portraits of Sacrifice Anthony James presenta due installazioni che si configurano come due light box trasparenti. Nella collettiva Into the surface il gruppo di artisti partecipanti focalizza l'attenzione sul processo creativo in se' rispetto alla rappresentazione della realta'.
Anthony James
Consciousness And Portraits Of Sacrifice
Brand New Gallery è lieta di presentare Consciousness And Portraits Of Sacrifice, prima personale italiana dell’artista
anglo-americano Anthony James.
In una sintesi di eleganza formale e concettuale, le opere di Anthony James fondono precisione tecnica, ripetitività e
spettacolarità, mettendo a nudo l'influenza mitica e persistente di un minimalismo velatamente surreale nell'arte e
nella cultura contemporanea.
Lo spazio milanese ospita due installazioni dell'artista della serie Birch Cube, che si configurano come due light box
trasparenti, cubi luminosi che custodiscono intricate foreste vergini di legno di betulla, moltiplicate all'infinito grazie
agli specchi sapientemente posizionati a disorientare lo sguardo, che viene assorbito in un'immagine suggestiva
capace di ricollocare lo spettatore in uno spazio innaturalmente distante e riflettente. Il legno rimane così intrappolato
in questo gioco illusionistico, tremendamente immobile e avulso dalla mano dell'uomo; le opere di Anthony James
diventano vetrine minimaliste simili ad un tempio, reliquiari di grandi dimensioni.
Se in passato l'artista aveva già tumulato i resti carbonizzati della sua Ferrari 355 Spider, per i suoi progetti futuri si
rivolge ad oggetti di feticismo bellico, come il mitragliatore AK-47 o l'aereo da guerra russo MIG-15 che egli cerca di
immortalare in un intrico distrofico di specchi e luci riflettenti. Anche nelle opere in mostra della serie Today Was A
Good Day è palese l'interesse dell'artista per il tema della guerra: si tratta infatti di tre “shotgun paintings”, lastre
d'acciaio lucidate a specchio che l'artista crivella dal retro a colpi di fucile.
Nella rappresentazione delle opere di James si afferma inevitabile una sensazione di violenza lasciva e stilizzata che
abbellisce le vestigia della morte, protetta in un abisso di spazio solitario, e finisce per rappresentare la
contemporanea conservazione del progresso nel XXI secolo.
Anthony James nasce nel 1974 in Inghilterra e consegue il diploma presso il Central St. Martins College of Art and
Design di Londra nel 1998. Le sue opere sono state esposte presso importanti musei e fiere internazionali e il suo
lavoro è incluso in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui il GM Building ed il Seagram Building a New York.
Attualmente vive e lavora a Los Angeles.
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Into the surface
Aaron Bobrow, Heather Cook, N. Dash, Alex Dordoy, Leo Gabin, Andrew Gbur, David Hominal, Erik
Lindman, Nazafarin Lotfi, Joseph Montgomery, Oscar Murillo, Hugh Scott-Douglas, Dan Shaw-Town, Ben
Schumacher, Nick Van Woert, Ned Vena, Phil Wagner, Lisa Williamson
Brand New Gallery è lieta di presentare la mostra collettiva Into the surface.
Fortemente interessati a trasporre in maniera tradizionale interessi pittorici su supporti e media anticonvenzionali,
questo gruppo di artisti focalizza l’attenzione sul processo creativo in sé rispetto alla rappresentazione della realtà,
relazionando i propri diversi processi creativi ed il proprio atteggiamento al concetto di "materia astratta". Adottando
un insieme di segni e strategie laddove linguaggi diversi si intrecciano in una continua ridefinizione del concetto di
forma, questi artisti indirizzano i loro interessi al principio elementare della pittura attraverso l'uso di materiali
inusuali, spesso semplici e grezzi, segnati dal luogo d’origine e dalle esperienze con essi condivise.
Ibridi tra pittura e scultura o tra pittura e fotografia, queste opere sono concepite con intensità, delicatezza ed un
sottile senso di equilibrio.
È interessante notare come ogni artista abbia un approccio specifico e differente alla
materia che costituisce l’opera d’arte, da cui scaturisce una diversa poetica di fondo. Se le tele di Aaron Bobrow
incorporano l’accidentale nell’estetica attraverso l’esplorazione dei limiti di vita dei materiali industriali (protési
attraverso segni gestuali a divenire oggetti d’arte), Phil Wagner lavora principalmente con materiali poveri, oggetti
ritrovati, recuperati e riciclati attraverso un continuo collegamento espressivo tra pittura e scultura; anche le opere di
Alex Dordoy vengono percepite in primo luogo attraverso il supporto fisico e si configurano come detriti industriali,
questa volta impregnati di un miscuglio di sostanze pittoriche.
L’approccio pittorico è particolarmente presente nel
lavoro del collettivo Leo Gabin, le cui tele celano una critica sociale concepita attraverso una rielaborazione estetica
che cerca di stimolare l’immaginazione, imbrigliata negli stereotipi offerti dalla proliferazione delle immagini che
scaturiscono dai media, ma anche nel lavoro di Oscar Murillo che si concentra su di un processo archeologico di
crollo/rovina/ristrutturazione per cui anche i segni lasciati dalla polvere del pavimento del suo studio sono
volutamente evidenziati sulla tela. David Hominal, invece, recupera una tecnica antica come quella dell’encausto per
operare su una vasta gamma di supporti attraverso un processo di costruzione e decostruzione dell’immagine. Altri
artisti scelgono di esprimersi attraverso tecniche artistiche dalle caratteristiche quasi processuali, come Heather Cook,
il cui denim frottage in mostra indaga il confine tra materia e immagine attraverso un approccio fenomenologico che
comporta la sottrazione del pigmento grazie ad un’azione meccanica di sfregamento, o come Ned Vena, il cui il
pannello d’alluminio incorpora strati di vinile restituendo piani geometrici ed ipnotici ed è solcato da un pattern
costituito dalle piccole creste caratterizzanti il materiale plastico applicato.
Le sbavature degli inchiostri serigrafici
utilizzati da Andrew Gbur sembrano opporsi alla costrizione del nastro adesivo che nelle sue opere funge da stencil,
alla ricerca di una distorsione visiva che sembra lasciata in eredità dalla Op Art. Sperimentazione e processualità sono
alla base del lavoro di Hugh Scott-Douglas che recupera un antico metodo di stampa come il cianotipo, attraverso cui
elabora composizioni ancora una volta ottiche e minimaliste, mentre le opere di Nazafarin Lotfi rasentano la
monocromia e la superficie scura inghiotte la luce rinnegando ogni forma di visibilità, facendo comparire qua e là
elementi eterogenei e fuorvianti: un filo da pesca, delle graffette, un nastro adesivo, più che materiali in sé sono indizi
di fronte a cui l’artista pone lo spettatore, come attori necessari per una rappresentazione teatrale del nulla.
Erik
Lindman utilizza come supporto una tela di raso, su cui interviene con pittura ed inserti in stoffa, riorganizzando le
superfici e trasformando la materia in immagine: una distesa scura ed increspata lascia posto ad una sezione quasi
intonsa, come un poster strappato per rivelare ciò che stava sotto, mentre Dan Shaw-Town si avvale di un linguaggio
visivo tradizionale, quello del disegno, le sue opere si rifanno ad un modello elementare generato da righe e da segni
di grafite, ma questi disegni si vestono di una varietà di superfici e trame ottenute attraverso un meticoloso lavoro di
levigatura, cancellatura e pittura: le superfici, così consumate, anziché privare mettono a nudo i segni visibili del
processo di creazione dell’opera.
Il lavoro di N. Dash è caratterizzato da una purezza di fondo e da un linguaggio
privato e introspettivo, in cui il tocco dell’artista-demiurgo permane nelle pieghe e nelle grinze del tessuto alterando la
materia in modo irreversibile; ne risulta un processo quasi aleatorio, sigillato per mezzo del pigmento indaco, tinta
originaria dell’India e contraddistinta da un valore antropologico antichissimo. Ben Schumacher è più che altro
interessato al cedimento dell’oggetto in immagine e approfondisce questo tema creando installazioni scultoree che
documenta sottoforma di immagini, creando una finzione visiva dell’oggetto originale.
Insieme a lui, altri artisti
evidenziano un approccio scultoreo che sembra essere imprescindibile quando si tratta di materia: le opere di Joseph
Montgomery si estendono oltre le restrizioni della tela, diventando oggetti pittorici attraverso il collage di elementi
plastici in cera, fibra di vetro e cartone, mentre Lisa Williamson indaga il potenziale espressivo degli oggetti attraverso
il loro riposizionamento, in un lavoro rigorosamente formale in cui i materiali assumono funzioni intuitive e cognitive.
Infine, Nick Van Woert non nasconde il suo interesse per l’architettura, una disciplina che influenza fortemente il suo
lavoro: l’artista, infatti, crede nella semantica della materia e focalizza il proprio interesse su materiali comuni e da
costruzione; le sue opere sono, allo stesso tempo, critica e resa per l’ambiente costruito e per la tendenza umana
all’espansione territoriale.
Ufficio stampa - Lucia Crespi
via Francesco Brioschi 21, 20136 Milano
t. +39.02 89415532 - 02 89401645, lucia@luciacrespi.it
Immagine: Anthony James
Inaugurazione 12 gennaio 19-22
Brand New Gallery
via Farini, 32 Milano
Orario: da martedì a sabato 11.00-13.00; 14.30-19.00
Ingresso libero