Berkovitz racchiude nella linearita' di figure geometriche un'arte primitiva fatta di segni e disegni nascosti, elementi da scrutare che si intarsiano in perfetti angoli e sensazioni di simbiotica contiguita'.
Il vigore espressivo è dettato da una fantasia primordiale, una forza immaginativa che scioglie il proprio
contenuto di violenza trasformandolo in una scrittura eversiva, caricata di umori dissidenti e contrastanti
energie.
Le premesse estetiche dell'opera di David Berkovitz non riescono a prescindere da una sorta di
“intrinseca etica formale”, sia sociale che spirituale, un ordine sovvertitore in grado di innescare quel
processo di sublimazione del pensiero all'interno della propria enfasi creativa.
Tutto si tiene e si produce come continuo perfezionamento di un movimento spaziale: sgretolando il
concetto di forma fissa, l'artista propone – al contrario – moduli reiterati di immagini in movimento,
forme mobili al servizio di un procedimento di trasformazione continua e rinnovato mutamento.
Le immagini di Berkovitz si compongono di un'unica, infinita linea, la quale non si interromperebbe se non
incontrasse ostacoli o impedimenti fisici: l'opera – pare di intuire – si trova come imprigionata nel
ristretto del quadro o del supporto dal quale – incondizionatamente – di volta in volta viene ospitata. Non
ci sono fratture concettuali ad interrompere il segno che, liberato nello spazio, lascerebbe fluire nella
trasformazione della materia la propria, continuata, energia propulsiva.
Evidente risalta il parallelo con la scriptio continua e bustrofedica risalenti ai primi passi della scrittura
antica, o ancora con certi segni ideogrammatici propri di molte comunità tribali, a sottolineare il forte
legame con tanta arte primitiva ed automatica, espressione della pura intuizione creativa.
Le forme prendono così corpo nel comporsi di un labirinto di segni, proprio all'interno di quei circuiti entro
i quali l'immagine viene rifiutata, segmentata, sbriciolata e di nuovo ricostruita: segni che restano e
ripassano sulle figure come un maquillage o un tatuaggio, ad accorciare ancora le distanze con
procedimenti e costumi delle religioni primitive.
Nel tentativo di superare ed oltrepassare i limiti dello spazio, il tratto del graffito cerca e ricerca sé
stesso, si riconduce a riempire ogni singola porzione dominabile, in una sorta di horror vacui o di
“overall”, come già venne definita una particolare tendenza formale dei primi street artists americani.
Come seguendo il filo di una perdurante ondulazione fonetica, l'opera di Berkovitz narra il suo essere
iconica e aniconica assieme, rappresentativa di categorie mentali prima ancora che di principi formali, grido
di silenzio e rifugio nella libertà.
Alberto Gross
Inaugurazione: Venerdi 27 gennaio 2012 ore 19.00
con musica dal vivo con i Live Tropical Fish
Atelier Moro&Femme
via Santo Stefano, 14/D - Bologna
Orari lun-sab 10.00-13 e 15.30 - 19.30
Ingresso libero