Stand-up! Il gruppo di opere riflette sul lato umano della produzione artistica, "laddove logiche di dematerializzazione ed esternalizzazione dei processi produttivi estendono oramai la propria influenza anche alle pratiche della creativita'": lungo la fune tesa nello spazio espositivo si inanellano piu' di cinquanta bolle di vetro soffiato.
Dopo il suo trasferimento a Los Angeles, avvenuto nell’autunno del 1989, Martin
Kippenberger acquisì il 35% della proprietà di un ristorante Italiano a Venice, California,
chiamato Capri. L’ossessione dell’artista per la Ford Capri, un’automobile americana
che prese il nome dalla più cinematografica delle isole italiane, é un fatto noto ai più.
Leggenda vuole che, al di là del godere del diletto offerto dai mash-up culturali in genere,
Kippenberger fosse piuttosto interessato ad assicurarsi un piatto quotidiano di spaghetti
alla bolognese. Non è questa la sede per giudicare la qualità di un piatto italiano cucinato
da cuochi (presumibilmente) americani per un palato tedesco. Kippenberger, del resto,
pare gradisse quegli spaghetti (che lui chiamava “noodles”, sic). Li consumava seduto
sempre allo stesso tavolo, posizionato in modo che chiunque entrasse nel ristorante non
potesse fare a meno di trovarselo di fronte.
Nel 1989 Kaspar Müller frequentava la scuola elementare. Era nato sei anni prima, nel
1983, a Sciaffusa, una cittadina della Svizzera settentrionale, vicina alle note cascate del
Reno. Nella casa dove abitava con i propri genitori, il televisore era racchiuso dentro un
mobile che Müller doveva aprire per poter godere dei colori che si rincorrevano sullo
schermo. Intrapresa la carriera d’artista nella seconda metà degli anni Duemila, Müller
ha messo a segno numerose mostre in gallerie commerciali, istituzioni e spazi espositivi
no-profit, tutti in prevalenza svizzeri. A giugno 2011, di fronte a un piatto di zuppa al
pomodoro consumato in un caffè della stazione dei treni di Zurigo, l’artista ha accettato la
proposta di una mostra personale nello spazio espositivo no-profit Gasconade a Milano.
La prima formulazione del progetto di Gasconade è avvenuta a gennaio 2011, nel corso di
una telefonata tra il fondatore dello spazio e Federico Vavassori, quando i due interlocutori
si trovavano a circa 670 km di distanza. Di lì a otto mesi Vavassori avrebbe inaugurato
l’attività della sua galleria commerciale, con la quale a tutt’oggi Gasconade condivide il
proprio ufficio e sala espositiva, secondo una logica di alternanza delle due programmazioni.
La parola gasconade è apparsa negli appunti del fondatore in un elenco nel quale
erano riportate anche le parole braggadocio e rodomontade – poiché tutti e tre i vocaboli
figurano tra i sinonimi di bombast, è possibile ipotizzare che il fondatore fosse interessato
a concetti radicalmente opposti a quello di “leggerezza”. Vavassori inoltre riferisce che,
nell’autunno precedente, il fondatore dello spazio avesse letto il saggio di Luca Cerizza
L’uccello e la piuma. La questione della leggerezza nell’arte italiana (lo stesso Vavassori
ha letto il testo in questione, in sole tre ore, approfittando del fatto che l’amico e futuro
coinquilino avesse dimenticato sbadatamente la propria copia nella sua macchina). È
logico concludere che il progetto di Gasconade ha preso forma con la volontà di lasciarsi
alle spalle, senza remore, le esperienze discusse da Cerizza, puntando i riflettori sulla
generazione emergente di artisti locali.
Il dominio www.gasconade.it è stato acquistato otto giorni dopo il suddetto incontro con
Müller. Fin d’allora, l’artista svizzero (che all’appuntamento indossava un completo
nero, non tanto perché di lì a qualche ora sarebbe andato a fare visita ai propri genitori,
quanto perché aveva trascorso la serata precedente in un cocktail bar, senza tuttavia poter
vantare particolari conquiste) è stato consapevole che la sua mostra sarebbe stata proposta
come un’eccezione che conferma la regola, una necessaria trasgressione all’intento
programmatico di Gasconade di promuovere il lavoro di giovani artisti milanesi.
Dopotutto, Müller è attratto dagli schemi, e ancor di più dalla possibilità di sovvertirli.
Il gruppo di opere che l’artista ha presentato nella sua mostra rifletteva sul
lato umano della produzione artistica, laddove logiche di dematerializzazione ed
esternalizzazione dei processi produttivi estendono oramai la propria influenza anche
alle pratiche della creatività. Come la maggior parte degli artisti della sua generazione,
Müller appartiene a quella categoria nota come “artista post-studio”; e sebbene in alcune
delle sue opere si faccia ricorso alle tecniche delle arti applicate, ciò accade perché la
tecnica è un sapere dell’uomo, l’occasione dove esibire un virtuosismo che non può essere
della macchina. Lungo la fune che Müller ha teso nello spazio espositivo di Gasconade
si inanellavano più di cinquanta bolle di vetro soffiato; a deciderne l’ordine è stato lo
stesso Müller, che ne ha marcato le differenze piuttosto che sottolinearne le similitudini,
di modo che l’unità dell’opera fosse costantemente compromessa dalla singolarità di
ciascuna bolla. L’artista ha risposto elegantemente alle aspettative che il fruitore comune
ha nei confronti di un’opera d’arte: formalizzava un processo concettuale in un artefatto
dotato di valore estetico e quindi monetario. Le bolle in vetro soffiato, del resto, erano
trasparenti, fragili, affascinanti; e pendevano sulle teste dei visitatori.
La storia di un’opera d’arte, di una mostra, di uno spazio espositivo si costruisce sulle
aspirazioni di più individui. Quando si è giovani l’ambizione è inscindibile dal proprio fare
quotidiano; a volte è in disaccordo con le dinamiche di professionalizzazione delle proprie
passioni, a volte le accelera. Müller, citando Bruce Nauman, ha persino scritto al fondatore
di Gasconade che “il vero artista è colui che aiuta il mondo rivelando verità mistiche”.
In Le nouvel esprit du capitalisme Luc Boltanski e Ève Chiapello hanno scritto
che la rivendicazione (emersa in seno alle proteste del Sessantotto) di una maggiore
considerazione del ruolo dell’individuo sul luogo di lavoro è stata introiettata dal
capitalismo, che ne organizza le giornate in funzione delle prospettive di successo
professionale. In questo scenario, è ancora possibile ridere dei propri fallimenti? Portare i
propri insuccessi su un palcoscenico di cabaret?
La mostra di Müller, la prima in uno spazio espositivo italiano, ha lasciato i suoi
visitatori con tanti interrogativi; primo tra tutti, quello se l’arte debba assumere un ruolo
nella società o se essa possa piuttosto rappresentare un luogo di negazione di tutti i ruoli.
Alcuni si sono domandati se fosse ancora possibile l’amore; altri cosa avrebbero dovuto
fare l’indomani.
Questa mostra è stata realizzata con in supporto dell’Istituto Svizzero di Roma.
Opening: 26 gennaio, 6:30 pm
Gasconade
piazzale Lavater, 2 - Milano
Orari_ martedi-sabato 11-19