Cocci di xilografie giapponesi dal 1600 al 1900. Alcune riproduzioni dell'inizio del XX secolo, fine periodo Meiji, salvate da un incendio. A cura di Enzo Bartolone e Fernando Monta'.
a cura di Enzo Bartolone e Fernando Montà
La perizia
Alcuni anni fa fui interpellato per una perizia onde valutare il danno su alcuni Hon (volumi) di xilografie giapponesi che un malaugurato incendio aveva ridotto parzialmente in cenere.
Il proprietario mi accolse nel suo mondo, le antiche scuderie di un palazzo milanese diventate museo privato.
Da onnivoro collezionista, mi esibì spade, armature, mobili pregiati firmati Bugatti, medaglie, elmi, maschere, stampe, dagherrotipi, oggetti provenienti da tutte le parti del mondo. Il filo conduttore di quella raccolta non teneva conto della rarità o del valore, tutto era tenuto insieme dalla passione per reperti che trasmettono una cultura diversa dalla nostra.
Raccolte generazionali di padre, nonno, bisnonno, tutti grandi esploratori, viaggiatori, forse filibustieri, - mi confidò con fare sornione l’ultimo erede. Mi mostrò infine quattro xilografie del grande pittore dell’Ukiyo-e Kitagawa Utamaro, che facevano bella mostra di sé dentro cornici non all'altezza del contenuto.
Ad un esame più approfondito - avvalorato poi dal mio collaboratore della Setsu-bun, libreria con un ampio settore di arte orientale, che firma gli expertise delle xilografie che commercializziamo - le quattro stampe si rivelarono, purtroppo, delle splendide riproduzioni dell'inizio del xx secolo, fine periodo Meiji.
Se per un Giapponese è di poca cosa la differenza del tempo che passa tra la fattura di un oggetto e la sua ideazione, o prima realizzazione, è irrilevante ancor più il numero delle copie fatte, privilegiando il contenuto, il pensiero, la visione del maestro, e sdegnando il nostro vezzo di dare qualità artistiche a stampe, la cui tiratura viene numerata come requisito assoluto: ma il valore commerciale di quelle xilografie era inferiore alle aspettative del mio interlocutore.
Il mio anfitrione infine mostrò gli oggetti del mio interesse, prelevandoli da una cassettiera per stampe.
Plichi di fogli “paglierini”, centinaia di quei fogli di carta ruvida che in passato usavano i macellai per incartare la carne, e incollati su questi vi era quello che restava dei volumi di xilografie: oltre alla carbonizzazione sulle parti esterne a causa del fuoco, qualcuno aveva operato un editing estremo, ritagliando altre parti rovinate e attaccando con famigerata colla sintetica il pezzo salvato.
L'operazione diede un risultato utile per la conservazione e la maneggevolezza di quelle opere perdute nella loro interezza (molte di esse possedute o viste riprodotte su testi giapponesi), ma riconoscibili quali opere di Hokusai, come le vedute del Fuji; di Ichiyùsai Kuniyoshi, della serie biografie di donne sagge e virtuose; di Utagawa Sadahide nelle meravigliose composizione di scene notturne in un giardino con alberi di «sakura», il ciliegio in fiore, e ancora: iconografia di lottatori di sumo di samurai, scene del teatro kabuki, paesaggi.
L’iniziale rammarico si trasformò in meraviglia: come di fronte ai poeti lirici greci del settimo-sesto secolo avanti Cristo, di cui ci sono giunti parti, brani d'opere perdute, frammenti, fragmenta, dal latino frangĕre, "spezzare".
La critica più antica ha accentuato il carattere della loro “frammentarietà”, intesa anche come brevità rispetto ai lunghi poemi epici.
Questa frammentarietà casuale, come la perdita del colore nelle statue classiche, regala il fascino dell’essenzialità, con l'effetto di un raggio di luna che cade, per caso e brevemente, su un volto, su un fiore o su una pietra nell’oscurità della notte. Fa convergere sulla poesia il nuovo, la luce d'immagini che vivono di altre prospettive, dimensioni, colori, e di quello che manca non si sente la mancanza.
Nel rivedere i frammenti, nel cercare l'essenzialità, la mente richiama gli haiku.
Staccarli dal supporto senza danneggiarli ulteriormente e sospenderli nel vuoto, in una cornice speciale, fu un’ operazione involontaria che mi creò metamorfosi di sensazioni. Quei cocci assunsero vita propria.
L'esposizione di questi ritagli senza valore economico è un doveroso omaggio al pensiero libero da quelle sovrastrutture, da quei condizionamenti, che sempre di più esaltano ciò che vale in termini di mercato, sottraendoci ad una analisi critica e ad una ricerca necessaria per un arricchimento interiore.
enzo bartolone
Informazioni Paola Barbarossa
335 360545 e-mail: paolabarbarossa@libero.it
Inaugurazione venerdì 3 febbraio 2012 ore 17.00 (con una cerimonia del tè)
Fino alle 21.00
MartinArte
corso Siracusa, 24a - Torino
orari : lunedì 15,30 - 19,30 martedì giovedì 10,00 - 12,30 / 15,30 - 22,00 mercoledì
venerdì 10,00 - 12,30 / 15,30 - 19,30
ingresso libero