Per la personale "Just Before" Weiner presenta quattro installazioni a parete site-specific espandendo 'testualmente' la tematica proposta dall'artista stesso all'interno dello spazio espositivo. L'installazione di Rubsamen mostra un "processo attraverso il quale gli elementi romantici nel paesaggio cambieranno significato come cose che scompaiono dalla mischia".
Lawrence Weiner
Just Before
Per la quarta personale alla Galleria Artiaco, Lawrence Weiner presenterà quattro
installazioni a parete site-specific espandendo ‘testualmente’ la tematica proposta
dall’artista stesso all’interno dello spazio esibitivo della Galleria.
Tra i fondatori dell’Arte Concettuale, l’artista newyorkese Lawrence Weiner (Bronx New
York, 1942) produce ‘sculture’ a muro fatte di segni linguistici codificabili, ossia usa il
linguaggio come mezzo espressivo della sua pratica artistica.
“JUST BEFORE” è il titolo del percorso espositivo che l’artista propone ai fruitori della
mostra, un invito a ‘riempire di senso’ i suoi lavori testuali, che in questo caso specifico
avvicinano il visitatore ad una riflessione sulle categorie esistenziali spazio e tempo.
I suoi ‘statement’ assumono la forma di ‘scultura’ in quanto essenza stessa del suo
spirito artistico, Weiner, infatti, si serve delle parole come se fossero dei materiali grezzi
da utilizzare nell’esecuzione artistica. E’ piuttosto il rapporto tra opera d’arte e fruitore
ad interessare l’artista, infatti è il vuoto riempito da questa relazione a far funzionare
questa “macchina complessa e pigra”, come potrebbe definirla Umberto Eco.
L’artista citando la famosa frase di Ovidio “Il tempo che tutto divora” (Metamorfosi, XV,
234) e utilizzando altre asserzioni spazio-temporali crea un percorso in cui il visitatore
sarà invitato a dotare di senso le sue ‘sculture’ codificabili, attivando un meccanismo di
interpretanti atti a stimolare la riflessione su queste categorie esistenziali, senza
determinare un limite interpretativo. Ovvero, non veicolando il significato secondo
un’univoca direzione di senso.
Per Weiner l’arte non ha bisogno di definizioni, anzi l’assegnazione di un cartellino non
farebbe altro che alimentare un’estetica ‘fascista’ in cui si imporrebbe una personale
visione sulle possibili interpretazioni di un osservatore. Per questo il suo lavoro richiede
un grande impegno da parte del visitatore che grazie a questo invito alla riflessione può
espandere la propria conoscenza del mondo. Non a caso è il linguaggio ad essere lo
strumento principale di cui Weiner si serve, ripercorrendo ciò che in ambito filosofico
Ludwig Wittgenstein aveva anticipato nel suo Tractatus, in cui il logico scriveva: “I limiti
del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo” (§ 5.6). Una conoscenza che da
un lato ha un limite dettato dal linguaggio stesso, ma che da un altro punto di vista può
essere espansa indefinitivamente.
La sculture dell’artista america non devono essere quindi intese come tatuologie, cioè
come preposizioni analitiche che non dicono nulla sul mondo se non quello che
logicamente asseriscono, ma come dei concetti che hanno un valore ontologico, che
lo spettatore deve ‘dis-ambiguare’ per coglierne il significato approfondendo la propria
conoscenza del mondo circostante e di conseguenza di se stesso.
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Glen Rubsamen
Anabiosis
“La morte e la scomparsa delle palme in Italia l’anno scorso ha toccato profondamente
nella vera essenza la mia relazione con il paesaggio romano. Un’idea estetica che iniziò
forse con Poussin o Claude Lorrain ed è generalmente chiamata neoclassicismo ma
evoluta all’inizio del diciannovesimo secolo includendo sia l’idea di nazionalismo che di
colonialismo.
A Roma il mio studio è vicino alle piramidi di Sisto e il cimitero
protestante così credo di essere ancora ossessionato dal neoromanticismo e il
neoclassicismo o con ciò che è ancora esiste di questi concetti e come questi sono si
relazionano al presente. Mentre guardo le foto (ce ne sono circa 100 nella serie) inizio a
vederle meno tragiche e più ironiche, arrivano a rappresentare la fine di un
esperimento botanico mal condotto, una problematica strettamente coloniale che ha
tentato di collegare un certo stile di paesaggio con un concetto di dominio immanente.
Alberi di palme misti a pini nel paesaggio implicano un diritto geografico di possedere
concettualmente l’intero mar Mediterraneo, specialmente le parti africane e quelle
dell’est. Mussolini tentò negli anni ‘20 e ’30 di iscrivere sul paesaggio un fittizio
carattere ‘Romano’. Nel 1938 la Triennale D’Oltremare a Napoli con le sue quadruple
boulevard fiancheggiate da palme delle colonie Libiche è un buon esempio di questa
politica. Il Mediterraneismo botanico divenne di moda in Italia molto tempo prima della
cultura del turismo l’idea venne codificata insieme al tempo libero e alle spiagge.
Questo Mediterraneismo coloniale negli anni dieci e venti ha avuto un largo raggio di
influenza fuori dall’Italia e della Francia, come ad esempio a Los Angeles.
Il punteruolo rosso della palma (rhynchophorus ferrugineus) è una sorta di
anacronismo, originario dell’Asia si è mosso a ovest durante l’ultimo quarto di secolo,
aiutato dalle compagnie aeree dalle spedizioni globali e dai trasporti è arrivato in Italia
in maniera più veloce rispetto a quanto sarebbe accaduto100 anni fa, ma sarebbe
arrivato probabilmente in ogni caso. L’ironia è che le palme che esso attacca sono per
la maggior parte importate come loro stessi, importati dal nord Africa e dall’Asia.
L’ironia finale è che ha preso il riscaldamento globale combinato con la globalizzazione
per porre fine a questa costruzione essenzialmente stilistica. (Il paesaggio classico).
Senza le palme il paesaggio torna a ricoprire standard nord europei, in una più sobria e
funzionale estetica, più banale. Gli alberi morti in queste foto rappresentano un tipo di
immagine iper-moderna dove la natura assume l’aspetto di una vecchia stagione
decorativa che ha bisogno di essere ricambiata quando perde la sua funzione, come le
luci di natale a gennaio.
Penso che queste foto ritraggono un tipo di immagine che sarà sempre più comune
del futuro. Un’immagine di specie idiosincratiche morte a causa di uno stato arbitrario,
ma anche da bizzarri stati di cause naturali combinate con un dopo-effetto
(contraccolpo) della storia. Le immagini hanno un aspetto teatrale apocalittico, come
un’istantanea della vita dopo la morte. Spero che questa installazione presso la
Galleria Artiaco mostrerà un processo attraverso il quale gli elementi romantici nel
paesaggio cambieranno significato come cose che scompaiono dalla mischia. Un’
indagine di un evento estetico sottrattivo.” (Glen Rubsamen)
Immagine: Glen Rubsamen
Opening: 16 febbraio ore 19.30 alla presenza dell'artista
Alfonso Artiaco
piazza dei Martiri, 58 - Napoli
Orari: lunedì – sabato 10.00-13.30/16.00-20.00
Ingresso libero