Officina Giovani - Cantieri Culturali Ex Macelli
Prato
piazza Macelli, 4
0574 1836753 FAX 0574 1836779
WEB
Networking City
dal 16/4/2003 al 31/5/2003
0574 616753 FAX 0574 616779
WEB
Segnalato da

Lea Codognato Davis&Franceschini




 
calendario eventi  :: 




16/4/2003

Networking City

Officina Giovani - Cantieri Culturali Ex Macelli, Prato

La mostra/evento a conclusione del progetto ''Networking 2003 - le città della gente'' che trasformera' lo spazio di Officina Giovani a Prato in un insediamento temporaneo. Fino al 31 maggio in questa sede, si attivera' una sorta di citta' entro le mura, proponendo una serie di servizi (biblioteca, videoteca, internet point, ristorante, arena dibattiti, spazio disco in cui saranno ospitati eventi live e Dj-set) mescolati agli spazi espositivi e di ricerca. La mostra raccoglie i lavori realizzati durante 5 workshop tenuti da Meschac Gaba, Carlos Garaicoa, Stalker, Superflex e Bert Theis ai quali hanno partecipato 70 giovani artisti del territorio toscano. A cura di Marco Scotini


comunicato stampa

NETWORKING 2002-2003
le città della gente – the cities of people – die Städte der Menschen – les villes des gents – les ciudades de la gent

a cura di Marco Scotini

Si inaugura giovedì 17 aprile la mostra/evento a conclusione del progetto NETWORKING 2003 - le città della gente che trasformerà lo spazio di OFFICINA GIOVANI Cantieri Culturali Ex Macelli a Prato nell’insediamento temporaneo Networking City. Fino al 31 maggio, in questa sede, si attiverà una sorta di città entro le mura, proponendo una serie di servizi (dalla biblioteca alla videoteca, dall’internet point al ristorante, dall’arena dibattiti allo spazio disco in cui saranno ospitati eventi live e Dj-set) mescolati agli spazi espositivi e di ricerca.

La mostra raccoglie i lavori realizzati durante cinque workshop tenuti da Meschac Gaba, Carlos Garaicoa, Stalker, Superflex e Bert Theis - tra i maggiori esponenti nell’ambito dell’arte pubblica e relazionale internazionale - ai quali hanno partecipato 70 giovani artisti del territorio toscano, selezionati tramite un bando.

Promosso dalla Regione Toscana-Tra Art Rete Regionale per l’Arte Contemporanea, e dai Comuni di Firenze, Livorno, Monsummano Terme, Prato e Siena, “Networking” nasce nel 2000 come progetto annuale finalizzato alla valorizzazione e alla formazione della creatività giovanile nei campi della sperimentazione e della ricerca, oltre che come manifestazione tesa a potenziare e ad incrementare la visibilità dei centri toscani nei circuiti della produzione artistica nazionale e internazionale.

Questa seconda edizione, a cura di Marco Scotini, porta il sottotitolo “Le città della gente/The cities of people” e si propone come un vasto laboratorio territoriale articolato in in tre sezioni fortemente interrelate che hanno come comune denominatore il tema della trasformazione della città contemporanea: cinque Workshop; due incontri/dibattito denominati Town Meeting su esperienze di urbanistica partecipata e attivismo popolare con urbanisti, sociologi e artisti, realizzati con la collaborazione del SESV (Spazio Espositivo Santa Verdiana); la mostra/evento finale Networking City.

I workshop, della durata di quattro/cinque giorni ciascuno, si svolgono a Firenze, Prato, Monsummano Terme, Livorno e Siena tra marzo e aprile 2003. Sono concepiti dagli artisti invitati come un vero e proprio progetto in cui vengono elaborate le ricerche sul piano urbanistico, pubblico e sociale che ciascuno di loro persegue. Meshac Gaba, intervenendo a Firenze, città della moda per eccellenza, mette a fuoco come i panni usati dell’occidente o la seconda vita dei nostri vestiti attraverso il mercato dell’usato, possano divenire generatori di identità individuali e collettive nei paesi del terzo mondo. Il suo laboratorio, che consiste nella trasformazione di vestiti usati di bambini in abiti per adulti si conclude con una sfilata di moda dal titolo TRANSFORMATION, in Palazzo Vivarelli Colonna dove Gaba presenta la sua “summer collection”. Bert Theis sposta temporaneamente il suo spazio OUT (Office for Urban Transformations) nella Villa Renatico Martini a Monsummano Terme. Gli Stalker attraversano con delle barche i canali del porto della città di Livorno nel tentativo di ricostruire una mappa della città con supporti audio-video e con interventi in diretta per restituire una testimonianza collettiva della esplorazione realizzata. Una sorta di jam session condotta assieme ai giovani artisti e agli abitanti di Livorno. Garaicoa lavora a un progetto di restauro urbano a Santa Maria della Scala a Siena. Il trio danese dei Superflex appronterà un workshop dal titolo SUPERCOPY/SELF-ORGANIZING e lo spazio degli Ex-Macelli/Officina Giovani a Prato sarà trasformato in un luogo di produzione in cui sarà realizzata una copia alterata di un MARS BAR, poi venduta e messa in circolazione. Verranno analizzati alcuni prodotti, presi dal mercato globale e riproposti con altri metodi produttivi, e altre strutture organizzative. Durante questo workshop sarà allestita anche una sala per la proiezione di documentari e fiction sull'autorganizzazione collettiva: da cartoni come "ANTZ" o "GALLINA IN FUGA" a documentari come "COCONUT REVOLUTION" su una ribellione in Nuova Guinea o "ZAPATISTA" sulla rivoluzione, o ancora un film su una famiglia indiana che deve soccombere allo straripamento di una diga.

L’obiettivo di questo progetto è quello da un lato di affiancare e mixare generi e contesti produttivi diversi come videoarte, moda, architettura, arte, design; dall’altro di aprire le attuali culture creative a un vasto contesto ricettivo e a un’ampia partecipazione sociale, quale campo privilegiato su cui misurare le pratiche artistiche contemporanee.

Networking 2003 vuole valorizzare luoghi ed ambienti urbani di uso pubblico, promuovere un aperto interscambio culturale non solo tra le figure coinvolte ma anche tra i saperi, attraverso tattiche trasversali ai vari campi dell’arte, della comunicazione e dell’entertainment che vedono le nuove forme della creatività giovanile calate al centro del tessuto sociale e della vita ordinaria.

Distribuzione dei workshop:

Meschac Gaba, Firenze 4 - 8 marzo 2003
Superflex, Prato 12 -15 marzo 2003
Stalker, Livorno 18 - 22 marzo 2003
Bert Theis, Monsummano Terme 26 - 29 marzo 2003
Carlos Garaicoa, Siena 8 -11 aprile 2003

Incontri/ dibattiti:

Town Meeting #1
25 febbraio 2003, presso lo spazio SESV

Town Meeting #2
4 aprile 2003, presso lo spazio SESV

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NETWORKING 2002-2003

le città della gente – the cities of people – die Städte der Menschen – les villes des gents – les ciudades de la gent

a cura di Marco Scotini

In un momento di massima trasformazione dei territori urbanizzati, come è quello attuale, o nel momento in cui flussi di immagini in movimento incontrano sfere pubbliche diasporiche, fortemente mobili e delocalizzate - come dice Arjun Appadurai, tracciare una mappa locale non significa tanto rappresentare (tradurre cioè in una immagine discreta) quanto supporre sulla base di indizi probabili, ipotizzare, “immaginare”.
Quando risultano dissolti i legami tradizionali e i luoghi istituzionali della città così come quando risultano ormai insufficienti gli strumenti d’osservazione a disposizione, allora le pratiche artistiche acquistano uno statuto privilegiato nell’analizzare o nel contribuire a orientare i progetti sociali inediti del moderno globale.

E’ l’“immaginazione” a giocare un ruolo totalmente nuovo e radicalmente diverso nell’attuale ordine sociale come palestra per le possibilità d’azione collettiva, per l’individuazione delle opportunità e delle collocazioni, e non solo e non più, regressivamente, per la fuga. Le nuove comunità non sono più di tipo territoriale, ancorate a contesti locali, stabilmente radicate ma sono sempre più “comunità di sentimento”: ormai sono le reti virtuali, le maglie invisibili della comunicazione contemporanea, che riescono a definire le identità di gruppo, le formazioni sociali o le sfere pubbliche attuali. Allora da un lato l’immaginazione si presenta sempre più come un campo organizzato di pratiche sociali mentre nella mappatura della città contemporanea si è andato progressivamente sottraendo il paradigma zenitale in favore di una pluralità eterogenea e parziale di punti d’osservazione sul territorio, attenti alla mobilità della vita collettiva, alle pieghe del vissuto urbano, alle iniziative individuali, alle forme di gestione autorganizzata.

La crisi radicale del rapporto tra territorio, soggettività e movimenti sociali è ormai ampiamente visibile anche nelle nostre città storiche, apparentemente immobili, svuotate al loro interno ma corrose da equilibri sociali instabili o da conflitti reali e potenziali negli spazi vitali intermedi, nei margini, nelle aree di scarto, nelle frontiere.
Intende partire da qui, dall’individuazione cioè delle tracce di tale frattura e dalla loro ulteriore e possibile elaborazione, il progetto di laboratorio territoriale Le città della gente che si presenta sotto forma di un network tra le città di Firenze, Livorno, Monsummano Terme, Prato e Siena, pur tra loro diverse per tradizione, architettura e tessuto sociale.
Campione privilegiato per storia, comunità, cultura, arte e “territorio culturale” per eccellenza, il territorio toscano si trasformerà per alcuni mesi - tra marzo e aprile 2003 - nello scenario di fondo o nel tessuto connettivo entro le cui maglie (marginali, quotidiane, nascoste) alcuni artisti internazionali saranno chiamati ad intervenire secondo una precisa strategia operativa.

Le città della gente vuole essere un progetto territoriale a carattere interdisciplinare. Certi luoghi delle nuove periferie e delle città storiche si trasformeranno in workplaces temporanei dove, per alcuni giorni, gli artisti lavoreranno a fianco di giovani studenti, aprendo i propri studi/laboratori al pubblico, alla gente. Nello stesso tempo, altri spazi urbani ospiteranno luoghi d’incontro e di pubblico dibattito su alcuni temi fondamentali delle trasformazioni economico-politico-culturali del territorio. Dislocato nello spazio e nel tempo, l’intero progetto sviluppa l’idea di dialogo e relazione tra le città, il territorio e i suoi attuali soggetti locali, così come tra i suoi spazi di aggregazione relativamente stabili e i suoi luoghi fisici. Cinque artisti internazionali noti per la loro attività sul campo, saranno invitati a tenere dei workshop di quattro giorni con giovani artisti o studenti, ciascuno in una città delle cinque coinvolte. Durante i tre mesi in cui si articolerà il progetto saranno invitati anche economisti, sociologi e pianificatori urbani di competenza locale a tenere conferenze pubbliche. Compito degli studenti sarà “immaginare” o sperimentare i nuovi modi di essere di quella che potremmo definire, parafrasando Hannah Arendt, “la condizione urbana”.

Saranno coinvolti luoghi dismessi (ex fabbriche o vuoti urbani) e aree funzionalmente attive (ristoranti, scuole, uffici) nell’intento di immaginare o ricreare nuove funzioni o “dirottarne” - nel senso in cui usava la parola Guy Debord - altre.
Istituire una “no-profit Corporation” per la produzione e distribuzione di servizi piuttosto che allestire feste o mercati; fornire alcune proposte - attraverso una sorta di progettazione partecipata - di intervento architettonico o urbano per la definizione di spazi pubblici e aree di ricreazione; rintracciare memorie locali con diverse archiviazioni, depositi, accumulazioni di dati oppure compiere ricerche e azioni sul territorio, con particolare attenzione agli spazi abbandonati o in via di trasformazione; riciclare materiale e inventare forme effimere di produzione; collaborare con aziende già esistenti: sono tutte “pratiche di adattamento” con cui l’arte contemporanea cerca da qualche tempo di calarsi nell’ordinario o, come diceva Michel de Certeau, di “inventarsi il quotidiano”.

L’edizione di Networking 2002-2003/ Le città della gente si concluderà a fine aprile con un’ ampia rassegna delle opere e dei progetti concepiti dai giovani artisti nei differenti workshop. Per l’occasione tutti i materiali saranno raccolti in unico spazio espositivo all’interno di una delle città coinvolte come ulteriore momento di aggregazione e di pubblico dibattito. Accompagnerà la manifestazione un definitivo catalogo che sarà pubblicato a fine progetto come classeur di tutti i materiali prodotti lungo il processo operativo così come della documentazione fotografica raccolta. I programmi delle discussioni e i risultati di ciascun workshop, aggiornati di volta in volta, saranno disponibili alla consultazione durante i tre mesi nel sito regionale www. cultura. toscana. it. Comune all’attività di tutti gli artisti selezionati è il necessario inserimento del più ampio numero di persone all’interno delle proprie pratiche e la volontà di contaminare o intervenire in tutti i media che si trovano a disposizione nel contesto nel quale sono chiamati ad operare: dai quotidiani alle TV e Radio locali, dalle manifatture del luogo alle istituzioni sociali, nel segno di una progettualità comune, plurale e partecipata.

NETWORKING 2002 - 2003

Artisti invitati:

- MESCHAC GABA (Nato 1961 in Cotonou, Benin. Vive ad Amsterdam)
Firenze (02/26/2003 – 03/1/2003) or (03/05/2003 – 03/08/2003)

- CARLOS GARAICOA (Nato 1967 a Cuba Havana. Vive all’ Havana)
Siena (04/07/2003 – 04/11/2003)

- STALKER (Gruppo nato nel 1990, ha base a Roma)
Livorno (03/25/2003) –03/29/2003)

- SUPERFLEX
(Bjoernstjerne Christiansen, nato 1969, Denmark
Jakob Fenger, nato 1968, Denmark;
Rasmus Nielsen, nato 1969, Danmark.
Vivono e lavorano in Copenhagen)
Prato (03/12/2003 – 03/15/2003)

- BERT THEIS (Nato1952 in Luxemburg. Vive tra Luxemburg e Milano)
Monsummano Terme (03/19/ 2003 – 03/22/2003)

NETWORKING 2002-2003
le città della gente – the cities of people – die Städte der Menschen – les villes des gents – les ciudades de la gent

a cura di Marco Scotini
laboratorio territoriale con

Meshac Gaba, Carlos Garaicoa, Stalker, Superflex, Bert Theis

5 marzo – 31 maggio 2003

GLI ARTISTI

Meschac Gaba
(Nato nel 1961, in Benin. Vive e lavora ad Amsterdam)

Originario del Benin (Cotonou 1961) e dal ’95 residente ad Amsterdam, dove attualmente vive e lavora, Meschac Gaba è noto internazionalmente per aver partecipato all’ultima edizione di Documenta e per aver esposto in musei come il Palais de Tokyo di Parigi, il Witte de With di Rotterdam, lo S.M.A.K. di Gent, lo Stedelijk di Amsterdam, il Fine Arts Museum di Taipei, la Voncouver Art Gallery, il Bildmuseet di Umeå.
Impegnato nella ridefinizione critica dei nuovi rapporti tra potere economico, flussi migratori e culture locali, la figura di Meschac Gaba si è imposta all’attenzione della critica e del pubblico per una sola, unica, grande opera: un progetto ambizioso, frammentato e complesso, articolato nel tempo e concepito attraverso stadi successivi e strategie diverse di intervento.
Se Marcel Broodthaers portava a conclusione nel 1975 il suo Musée d’Art Moderne, nel 1997 veniva inaugurata presso la Rijksakademie di Amsterdam la prima sezione (Salle Esquisse o Draft Room) del Museum of Contemporary African Art da parte di Meschac Gaba, nelle vesti di fantomatico direttore istituzionale ed autore in via d’affermazione. Altre sezioni avrebbero poi fatto seguito, in tempi diversi e in numerosi musei e gallerie europee: Museum Architecture, Game Room, Wedding Room, Museum Shop, Museum Restaurant, Summer Collection, Music Room, Museum Library, Humastic Space.
Un museo processuale ed evolutivo che nell’arco di sei anni avrebbe costretto il suo autore a mutare continuamente ruolo e funzione, proponendo la figura dell’artista - di volta in volta - come imprenditore, collezionista, maestro di cerimonie, cuoco, fashion designer, bibliotecario e musicista sopra una piattaforma nomade, uno spazio virtuale e reale allo stesso tempo, che variando locazione avrebbe cambiato funzione e identità o pur riproponendo invariata una stessa sezione, l’avrebbe presentata sempre alterata: mai - in sostanza - la stessa. Un museo senza pareti, intermittente e flessibile, in grado di migrare da un luogo ad un altro: tanto un modello utopistico quanto un progetto di critica culturale e sociale.
Ma quello che Meschac Gaba mette in scena entro ogni sezione del dispositivo museale non è altro che la propria autobiografia presentata, come all’interno di un diorama contemporaneo, in contesti living, spazi di aggregazione pubblica, luoghi a funzione relazionale. Un’amplificazione coerente del modello dei naturalia raccolti nei musei etnografici o nei cabinet de curiosité del passato ma, allo stesso tempo, una critica radicale al potere della cultura occidentale. Perché l’esistenza che Gaba presenta mina ogni cliché d’esotismo, di presunto e alternativo primitivismo, non rivendica nessuna origine mitica d’appartenenza, ma elabora una serie di pratiche d’adattamento, tattiche d’appropriazione frammentarie, ordinarie e mimetiche che non possono avere altro sfondo se non quello egemonico dell’“altro”, dell’Occidente. Quello a cui si dà forma è, in sostanza, uno spazio intermedio, un terreno contingente su cui - e solo su cui - è possibile costruire un’alternativa teorica e sociale all’ordine politico globale.

Bert Theis
(Nato nel 1952, in Lussemburgo. Vive e lavora tra Milano e Lussemburgo)

Bert Theis appartiene a quella generazione di artisti che, emersi all’inizio degli anni ‘90, cercano di calare le loro strategie operative nello spazio pubblico, ancorandole a contesti sociali e modalità relazionali, non rinunciando però alla categoria dell’opera d’arte in quanto tale.
Situando il loro lavoro all’incrocio tra ambito culturale e sfera vitale, tali artisti presuppongono ogni volta un’idea di arte intesa come servizio simbolico, comportamentale e psicologico o come modello di socialità.
E’ per questo che le loro tipologie di riferimento sono sempre tratte dall’ambito urbano della strada e del quartiere o dalle strutture precarie dell’attivismo popolare: tutti quei segni disseminati per la città come pedane, altari non ufficiali, padiglioni, panchine, memoriali spontanei, chioschi, containers architettonici che vedono gli individui in posizione attiva e partecipativa.
Le opere di Bert Theis sono sempre state elaborate per essere collocate direttamente negli spazi esterni della città anche se l’artista lussemburghese è giunto a notorietà per aver partecipato alle principali manifestazioni espositive internazionali, dalla Biennale di Venezia, a Manifesta 2, da “Skulptur. Projekte in Münster 1997”, all’ultima edizione della Biennale di Gwangju, in Sud Corea.
Il presupposto di una società dell’accelerazione e della sovraccumulazione fa da sfondo comune alle opere di Bert Theis che cercano di porsi al suo interno come aree interstiziali, zone di sosta o piattaforme per il relax, capaci di coagulare temporaneamente piccole comunità di persone con esplicito riferimento alle isole felici, all’utopia delle terre ferme, all’esotico, alle vegetazioni tropicali.
Nel lavoro di Bert Theis l’apertura verso la sfera vitale assume il rigore di una condizione intellettuale, utopica e, nello stesso tempo, quello più ordinario di una dimensione quotidiana e sottilmente ironica dell’esperienza. Per la XLVI edizione della Biennale di Venezia (1995) ha realizzato Potemkin Lock, un padiglione nazionale effimero e temporaneo per il Lussemburgo, collocato tra quello belga e quello olandese in cui il pubblico poteva prendersi una piacevole pausa su delle sedie a sdraio. A Münster, per l’ultima edizione di “Skulptur. Projekte”, ha installato una pedana in legno verniciata di bianco, dietro il castello barocco. L’opera dal titolo Philosophical platform e che idealmente richiama lo stilobate della “Scuola di Atene” di Raffaello è stata utilizzata dagli abitanti e dai visitatori in vario modo: per feste di compleanno, letture universitarie, per gare di skates, per rappresentazioni teatrali e concerti jazz. Così come un terrazzo pensile con palme e sabbia si presentava It’s Hard Work to Be Idle (2002), una sorta di avancorpo architettonico posto sopra l’ingresso della Biennale di Gwangju. Infine, calcata sul modello del viaggio turistico è l’opera Dialectical Leap realizzata da Bert Theis in occasione di “Manifesta 2” nel 1998, in cui era stato predisposto un bus navetta, appositamente corredato di percussionisti afro, ananas e profumi, con servizio di trenta minuti tra il luogo della mostra in Lussemburgo e la casa natale di Karl Marx, a Trier.

Carlos Garaicoa
(Nato nel 1967 a L’Avana, Cuba, dove vive e lavora)

Internazionalmente noto per aver partecipato all’ultima edizione di Documenta e per avere esposto alla Biennale di Johannesburg (1995), alla Biennale di Sao Paulo (1998) e a quella di Gwangju (1997) oltre a varie edizioni della Biennale de L’Avana, Carlos Garaicoa rappresenta più di ogni altro l’inconscio sociale della città contemporanea, la caduta definitiva dell’utopia e le sue presenti rovine.
“Fin dai primi anni ’90 Carlos Garaicoa ha studiato attentamente la realtà urbana della vecchia Avana nel tempo della sua obsolescenza. Le sue fotografie e i sui interventi architettonici trasformano fisicamente una struttura urbana e, allo stesso tempo, conservano il ricordo di ciò che è stato lasciato deteriorarsi al tempo della rivoluzione socialista di Cuba.
Ancora con addosso l’odore di un passato coloniale e di un vecchio, eclettico modo di vita borghese, molti luoghi a L’Avana sono divenuti punti focali per rintracciare crisi politica e cambiamento sociale. Le rovine dell’Avana stimolano il desiderio di Garaicoa per un’architettura utopistica che allude ironicamente all’architettura modernista americana: strutture panoptiche, templi, grattacieli, blocchi indipendenti e costruzioni ad un unico piano.
Attraverso disegni e la creazione di paesaggi architettonici a partire da elaborate impalcature di legno, pali di supporto collocati contro le costruzioni, o di vere e proprie torri piramidali, Garaicoa trasferisce il reale nel regno dell’immaginario in opere come Frank Lloyd Wright y la casa del agua (1999), Abraham Lincoln y san Juan Bosco, o los mapas del deseo (1996), Torre de Babel (1991), Primer sembrado de hongos alucinogenós en La Habana (1997), Acera de esos incansables atlantes que sostienen dia por dia nuestro presente (1994/95), e Ilustración para el libro ‘Anatomía de la Ciudad’(1994).
La città come spazio di percezione, immaginazione e proiezione mentale è esplorata attraverso la fotografia in Cuando del deseo se parece a nada (1996), che prende come punto di partenza il primitivo tatuaggio delle Torri del Word Trade Center sul braccio di un operaio immigrato.
In un’epoca in cui sempre più tutto assume il carattere di merce - un processo che nega la memoria in quanto nuovi prodotti devono rimpiazzare i precedenti - i progetti di Carlos Garaicoa assumono il carattere di una vera e propria archeologia urbana, che si confronta attivamente con un passato represso a livello collettivo e rifiutato da un discorso politico egemonico.[…]
Come l’angelo benjaminiano della storia che guarda indietro al cumulo di macerie, di rovine e di sconfitte del passato nel tentativo di redimerle, Carlos Garaicoa non riesce a liberarsi dai campi di forza del desiderio, del paesaggio del corpo, della mappa e del tessuto urbano, che intrecciano realtà e finzione, mentre contemporaneamente si trova sospinto in avanti dalle forze del progresso e della modernizzazione”. Nadja Rottner, dal catalogo di Documenta 11, 2002.

Superflex
(Bjoernstjerne Christiansen 1969, Jakob Fenger 1968, Rasmus Nielsen 1969. Vivono e lavorano a Copenhagen)

Superflex è uno dei più importanti gruppi artistici del panorama contemporaneo. Nasce a partire da un nucleo centrale di tre artisti danesi - Bjoestjerne Christiansen, Jakob Fenger, Rasmus Nielsen - che si avvalgono, di volta in volta, della collaborazione di vari specialisti internazionali per lo sviluppo e l’elaborazione di singoli progetti a carattere sociale.
Ma quello che caratterizza Superflex fin dalla sua origine nel 1993 è un principio di “democrazia radicale” che i tre componenti perseguono attraverso differenti strategie partecipative e modelli funzionali alternativi che rispondono a precise esigenze della vita sociale. Tutti i progetti di Superflex vengono visti dagli stessi autori come “tools” in grado di permettere lo sviluppo di attività, di innescare processi e quindi acquistano senso solo nel momento in cui vengono utilizzati dagli utenti reali. Hanno il carattere dell’auto-organizzazione, della risorsa economica, del forum pubblico, del servizio sociale.
Così il prototipo di una unità funzionale di biogas - realizzata nel 1997 con la collaborazione di ingegneri danesi e africani - è stato il primo lavoro che li ha resi famosi nel sistema dell’arte internazionale e da allora sempre presenti nei maggiori musei e alle principali manifestazioni espositive: dalla Biennale di Berlino (2001) alla mostra itinerante “Cities on the move” (2000), dalla Biennale di Gwangju (2002) a ”Democracy” (RCA , Londra 2000).
Ma che cosa è il progetto “biogas”? Calibrato sulla domanda di un utente africano contemporaneo, il sistema biogas, con destinazione Tanzania, è un’unità semplice, portatile, che può produrre sufficiente gas per gli usi domestici di una singola famiglia a partire dalla trasformazione di rifiuti organici in gas.
Altri progetti come Superchannel investono direttamente il sistema dei media attraverso la costituzione di un network di studi televisivi locali e la creazione di nuovi canali (da Copenhagen a Liverpool) capaci di produrre una serie di programmi TV interattivi su internet.
Superchannel è quindi un canale internet che si prefigge di raccogliere idee, proposte, opinioni dall’audience e di metterle a confronto in pubbliche discussioni in cui anche il singolo spettatore può intervenire direttamente.
Ma l’idea della città contemporanea è quella che emerge da vari progetti come quello relativo a Wolfsburg e Karlskrona 1 e Karlskrona 2. Si tratta di perfette copie digitali di città accessibili ai cittadini via internet e in grado di produrre una versione virtuale di città reali e dei concreti rapporti sociali. Soltanto che la città replicata è uno spazio libero in cui le funzioni degli edifici possono essere ridefinite come le gerarchie sociali e i sistemi legali ed economici. Spetta ai cittadini produrre una rappresentazione digitale delle possibili trasformazioni, delle modalità con cui pensare le nuove comunità, delle relazioni alternative con cui immaginare la città contemporanea.

Stalker
(Gruppo attivo dal 1995, con base a Roma)

Stalker è un soggetto collettivo, composto da dieci componenti, tra artisti e architetti, che compie ricerche e azioni sul territorio con particolare attenzione alle aree di margine e ai vuoti urbani in via di trasformazione.
Attivo a Roma dal 1995, Stalker si caratterizza come un soggetto nomade, un nuovo cartografo delle attuali geografie territoriali, un esploratore della città contemporanea.
Al confine tra ambito urbanistico e strategie artistiche, Stalker è noto per aver condotto una serie di attraversamenti metropolitani esplorando a piedi le zone interstiziali di Roma, Milano, Torino, Parigi, Berlino e Miami, per sviluppare una metodologia di analisi e di intervento progettuale su quelle parti di territorio urbano in continuo divenire che nel proprio manifesto del 1996 sono state definite come “Territori attuali”.
Grande esponente della rappresentazione contemporanea dello spazio, Stalker ha partecipato alla Biennale di Tirana (2001), alla VII edizione della Biennale di Architettura di Venezia (2000), a Manifesta 3 (Lubljiana 2000), a “Mutations” (Bordeaux 2000).
Dal maggio 1999 Stalker occupa, insieme alla comunità kurda di Roma, l’edificio dell’ex veterinario del Campo Boario (ex Mattatoio), per sperimentare una nuova forma di spazio pubblico contemporaneo fondata sull’accoglienza e l’ospitalità. Un territorio dove verificare, attraverso un’attenta percezione e l’interazione con lo spazio vissuto, le potenzialità di relazione tra l’attività artistica e la solidarietà civile.
L’edificio, ribattezzato “Ararat” dal nome della montagna kurda che emerse dal Diluvio Universale, vuole essere un centro multietnico, una speranza per i popoli in esilio e uno spazio pubblico che costituisca una ricchezza per l'intera città.
Attraverso azioni, progetti, concorsi, mostre, workshop e diverse forme di mappatura e riciclaggio del territorio Stalker si propone di indagare possibilità alternative alle tradizionali modalità dell’intervento urbano. Una tra tutte: l’”abbandono” diviene una pratica sistematica e una metodologia operativa per la cura e per la salvaguardia dei luoghi stessi.
Autore di “tappeti volanti” per unire le sponde del Mediterraneo, di ponti aerei, di campi per rifugiati, di orti pubblici, di giochi urbani e di feste popolari, Stalker mette in forma, ogni volta, un’architettura dello spostamento secondo il modello della “New Babylon” di Constant. Per un intero anno - il 2000 - il simbolo di Stalker è stato un lungo tunnel praticabile di tubolare metallico e tela come segno alternativo all’idea del confine: uno spazio pubblico a carattere ludico, oppure un canale di comunicazione, nato da una alterazione della spirale di filo spinato nota a tutti quale presidio territoriale o quale “frontiera”.

Ufficio stampa: Davis & Franceschini Lea Codognato 335/5250748 tel.055/2347273 -fax 055/2347361

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