Sinfonia 1977. La personale dello scultore, con la curatela di Silvia Pegoraro, comprende una quarantina di opere tra disegni, sculture, composizioni polimateriche come "Syrinx", costituita da canne di vetro e colonne aeree luminose che contrastano con la matericita' della base metallica.
a cura di Silvia Pegoraro con il coordinamento di Mauro Myrland
"Mario Velocci. Sinfonia 1977", proposta da Nicla Boncompagni e Paolo Sturni come primo di una serie di eventi espositivi ideati da “Boncompagni Sturni Gioielli Arte Design”. La personale dello scultore comprenderà una quarantina di opere, tra sculture, composizioni polimateriche e opere su carta.
Una delle opere di maggiore impatto e successo presenti nella scorsa edizione (2011) della Biennale di Venezia (Padiglione Italia – Sezione Lazio, Roma, Palazzo Venezia) è stata una grande scultura in acciaio, ferro e vetro di Mario Velocci, Syrinx, che il critico Giorgio Belli ha così definito: “Syrinx è una macchina che restituisce alla luce la compatta materia metallica della sua base attraverso le dissolvenze della parte superiore, costituita da canne di vetro, colonne aeree e luminose, che emergono dalla metamorfosi dell’impenetrabile saldezza del supporto”. Metamorfosi della materia e della forma e mito della leggerezza, della musica, della luce, sono alcune delle caratteristiche dominanti del lavoro di Velocci, che anche il percorso espositivo di questa mostra vuole mettere in evidenza.
In un’epoca, come la presente, dominata dalle immagini “immateriali” dell’elettronica, dalla telematica e dall’informatica, l’opera di Mario Velocci s’impone con grande forza percettiva ed espressiva: appare tesa a indagare il rapporto con la natura non in quanto fenomeno ma in quanto primarietà, originarietà “mitica”, spessore simbolico della materia. Per Velocci - che ha scelto di vivere immerso nella natura, nella nativa località di campagna, nel frosinate - la natura è molto più che paesaggio: è un infinito corpo autogenerantesi, di cui fa parte integrante la simbiosi corpo dell’artista/corpo della scultura-pittura. Velocci non chiede dunque forme e colori alla natura naturata, all’aspetto del mondo che cade ogni giorno sotto il nostro sguardo, ma alla natura naturans , principio generatore delle cose, delle loro sembianze e delle loro metamorfosi . Il segno inconfondibile di questa poetica può allora forse identificarsi con il dissidio tra l’insondabile opacità della materia, la sua densità e il suo peso, e una flessuosa, luminosa leggerezza: il fantasma ammaliante e inafferrabile della forma; forma come sintesi tra il respiro della materia, che si diffonde in superfici sensibili e vibranti, e una “concettuale” leggerezza, un cristallino nitore di geometrie misteriose. Una sintesi che caratterizza tutta l’intensa ricerca di Velocci, ed è già presente in modo tanto delicato quanto incisivo nell’affascinante dittico Impronta sonora (1978), che svela uno spazio dove convivono, in modo singolare, astrazione e concretezza. Si delinea così una riflessione, inquieta ma anche ludica, proprio sull’esistenza degli opposti nel pensiero umano e nella realtà percettiva. Sono forme mentali e al contempo sensuali, quelle che lo scultore fa scorrere nel creare il suo (il nostro) spazio, o nello svelarlo come originaria compresenza di astrazione e vibrazione sensibile
. Mario Velocci è sempre scultore, anche quando disegna e dipinge, quando incide e lavora carta e cartone di diversa grana e consistenza. Anche nei lavori bidimensionali, non esiste infatti un “supporto”: i materiali si combinano e si compenetrano, generando un “corpo” libero nello spazio. Gli aggetti e le stratificazioni, gli assemblage, da quelli minimali a quelli più consistenti, fanno sì che i lavori di Velocci non siano quasi mai realmente bidimensionali. Emblematici sono in tal senso i lavori in cui unisce la carta, i pastelli e gli smalti, l’acciaio e lo zinco, come Griglia o Lamiera, del 1983, o l’affascinante Sonorità (2009), o ancora lo splendido ciclo delle Partiture in rosso (2011), dove il colore rosso lacca – letterale fil rouge che segna tutto il percorso creativo dell’artista – strutturato in listelli allineati in scale crescenti o decrescenti, come quelle musicali, si dispiega in una calda intensità sonora che contrasta con l’elegante “freddezza” dell’acciaio. La tensione tra i materiali diversi evoca il rapporto tra forma reale e visibile e forma virtuale e invisibile, a cui il colore dà un suono, come già scriveva Kandinskij… Da qui anche la metafora musicale che segna tutto il percorso artistico di Velocci. La scultura non è più gravitas, massa, peso e densità, ma musica e luce. Un lavoro, dunque, di alleggerimento, di “sottrazione” e di rarefazione, a cui Velocci sembra alludere anche nelle bellissime serie di opere su carta Erosioni (2002) e Cancellazioni (2003-2005).
La ricerca artistica assume in Mario Velocci un‘intonazione misteriosa, emblematica, rinnovando il senso di un’interrogazione poetica sull’origine dello spazio. Un’interrogazione che a più riprese Velocci ha consegnato ai suoi Libri sonori in acciaio, ferro, cartone ecc., sigillandola nel loro silenzio musicale : quasi una poesia “ulteriore”, una “scrittura” misteriosa e segreta, che proprio in fondo al rigore matematico-musicale del disegno e della struttura trova un’imponderabile estasi del sogno e dell’immaginazione.
Biografia:
Mario Velocci vive e lavora a Monte San Giovanni Campano, in provincia di Frosinone, dove è nato . Scultore, diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, nasce da una famiglia di contadini. Sua madre, Elena, figura fondamentale nella vita dell’artista, lo indirizza verso la scultura, facendolo semplicemente giocare con della creta, nei campi ove si recano per il lavoro agricolo. E cosi quelle mani diventano via via le mani di uno scultore: “Contadino dell’anima dell’arte”. La sua formazione artistica avviene sui banchi della scuola, ma soprattutto sui campi di grano, nel lavoro della terra, quella stessa terra da cui trae l’ispirazione per le sue opere. La linea, che nel lavoro di Velocci diventa linfa vitale di ogni segno, nasce dalla forma del becco d’uccello, che poi negli anni si trasforma e si sublima in linea rossa, segno emblematico di tutto il suo lavoro. Mario Velocci da anni porta avanti un discorso artistico legato allo spazio, alla linea e al suono, infatti molte sue opere sono letteralmente o metaforicamente sonore, “sinfonie” scritte con note d’artista. Tutta la sua strada è contraddistinta da un segno di forza, segno nevralgico di una vita trascorsa con le mani che arroventano il ferro, che incidono la carta, che modellano l’acciaio e plasmano il pensiero. L’artista ama il “caldo” acciaio per le sue sculture, che si muovono e “suonano” con il vento, che abbracciano e sfiorano l’essenza dell’aria, ama il corpo rugoso della “carta”, che lui stesso strappa e ricrea nello spazio di uno “spessore” materico, rosso di vita.
Antichità Sturni nasce a Roma nel 1925 come galleria antiquaria, nella sede di Via Campo Marzio 81, che ancor oggi occupa. Giunta alla terza generazione, l'attività della famiglia è oggi curata da Nicla Boncompagni e Paolo Sturni, che in una veste espositiva completamente rinnovata della storica sede di Via Campo Marzio propongono preziosi d'epoca realizzati dalle più grandi Maison: gioielli di artisti del '900 oltre ad una collezione permanente di Vintage di Hermès. Con la personale di Mario Velocci, Nicla Boncompagni e Paolo Sturni desiderano intraprendere un percorso diverso ed affascinante, rivolto all'arte moderna e contemporanea, cercando di superare la tradizionale e rigida contrapposizione tra “arte pura” (pittura, scultura, disegno) e “arte applicata” (oreficeria, design ecc.) peraltro sempre avversata da studiosi di straordinaria levatura intellettuale come Gillo Dorfles. Il nuovo filone di attività della galleria nasce dalla grande passione per l’arte moderna e contemporanea da sempre coltivata dai due titolari, una passione che si accompagna al desiderio di studiare a fondo il profilo identitario di quest’arte, e di farne conoscere le molteplici espressioni a un pubblico più vasto: dalla dimensione aniconica, l’astrattismo in tutte le sue varietà e sfumature, alle forme espressive più vicine alla figurazione. Nicla Boncompagni e Paolo Sturni hanno dunque intenzione di valorizzare particolarmente, nell’ambito della loro attività, il significato del rapporto tra l’arte contemporanea intesa come ricerca linguistica e sperimentazione, anche in relazione agli “oggetti” - d’ornamento o d’uso - che popolano la vita quotidiana, spesso ammantati di un’intensa aura simbolica, e il linguaggio di quella che può dirsi ormai “tradizione” pittorica o scultorea, sia pure una “tradizione del nuovo”. In altre parole: porre in relazione in modo stimolante e vitale la storia del XX secolo, come insieme di idee e di atti creativi sedimentati nel tempo, e il presente dell’arte, la sua attualità più immediata, i suoi vari modi di essere “attuale”. Una ricerca della “modernità” e della sua essenza attraverso il lavoro di diverse generazioni di artisti e designer, tutti a loro modo intenti a cercare di comprendere ed esprimere la complessità di ciò che potrebbe forse ancora chiamarsi “bellezza”, magari attraverso stili inediti, inattesi e sorprendenti.
Catalogo: Edizioni Grafiche Turato - Padova, con testi di Nicla Boncompagni e Paolo Sturni, Giorgio Belli, Martina Velocci, Silvia Pegoraro.
La mostra ha ottenuto il Patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio e dell’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale
Immagine: Sonorità, 2009, acciaio-cartone-catrame-pastello, cm 100x70
Inaugurazione: giovedì 17 maggio, dalle ore 18.30
Antichita' Sturni
via di Campo Marzio, 81, Roma
lun-dom 10-19
ingresso libero