Lavoro e identita' nazionale. I cartoni della Casa del Contadino. Il ricordo va immediatamente a dipinti celebri come Le Spigolatrici e il Seminatore, emblemi per Francois Millet di un mondo opposto a quello industriale.
1940-1942
carboncino e tempera colorata su carta da spolvero
Aratura
cm. 398x365
La scena si concentra sulla figura del contadino chino sull’aratro nello sforzo di indirizzare il vomere a rivoltare la terra. In un momento in cui l’Italia era già entrata in guerra a fianco della Germania si facevano sentire pressanti i problemi legati agli approvvigionamenti e all’economia di sussistenza per il paese: il grano, e più in generale i prodotti della terra, venivano razionati per gli italiani muniti di tessere annonarie per la spesa quotidiana. Particolarmente pesanti erano perciò i compiti del Ministero dell’Agricoltura anche sul versante della propaganda per l’enfatizzazione del lavoro agricolo, sentito al pari di una faticosa battaglia quotidiana combattuta nei campi.
Chini ne da però una interpretazione del tutto reale, concentrata sull’atto della fatica del contadino come attore anonimo di un’impresa vissuta nel silenzio della campagna all’alba; la coppia di buoi che era comparsa anche in altre passate decorazioni come il fregio per Salone delle Feste dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911° o nei pannelli per la grande Esposizione di Parigi del 1925, non ha più nulla di teatrale o di festoso nel ricordo palese delle mandrie maremmane di Giovanni Fattori.
Dissodamento delle zolle
cm.407x432
è una scena complessa che comprende in sé diversi lavori, sia maschili che femminili: gli uomini, emblematici dell’energia e della forza fisica, sono chini sulle vanghe intenti a dissodare il terreno, sullo sfondo, oltre un acquitrino, una schiera femminile è china a raccogliere prodotti della terra mentre due figure femminili recano fascine sulla testa; sulla sinistra, a fare da quinta introduttiva, una donna con un bambino in fasce è seduta nell’esplicito riposo dopo avere portato il pranzo ai coloni. Ciascuno ha un compito diverso, ma il lavoro è corale, ritmato dai gesti rituali delle stagioni e dei giorni: l’intento è quello di celebrare in una unica rappresentazione i compiti della famiglia contadina.
Chini, nel tratteggiare la pianura bolognese in uno spazio privo di qualunque ornamento, gioca nell’episodio sul rapporto simbolismo-verismo, ma figurativamente in linea con le istanze novecentiste di saldezza e di equilibrio.
Semina
cm. 386x462
Si tratta di una delle scene più poetiche dell’artista nell’intento di cogliere la tensione fisica ed emotiva dei lavoratori dei campi che alla preparazione dei terreni e alla semina affidano fiduciosi il destino futuro dei raccolti. La fonte figurativa sembra essere Jean Francois Millet, il pittore francese che aveva creato con le sue opere una vera e propria epopea dei campi dove tutto aveva un tempo stabilito, quasi liturgico, lontano da interpretazioni emancipative del ruolo dei contadini come era accaduto in tanta pittura sociale dell’epoca. Il ricordo va immediatamente a dipinti celebri come Le Spigolatrici e il Seminatore, emblemi per Millet di un mondo opposto a quello industriale, consono invece al suo paesaggismo spirituale.
Chini, da uomo colto che aveva ripetutamente soggiornato in Francia, doveva avere ben conosciuto l’opera del maestro che nella maturità della sua vita, segnata sempre più da un forte pessimismo, gli sarà sembrata la più consona a rappresentare l’ idea di racconto popolare e di lavoro come condizione permanente dell’uomo.
Il lavoro (Il Legionario)
cm. 227x447
Con lo stratagemma della costruzione spaziale che pone lo spettatore al di sotto della rappresentazione e il protagonista in fiera salita di un promontorio, Chini tratteggia una delle scene di maggior impatto simbolico ed emotivo. Il conducente dei buoi, a torso nudo, veste i panni di un legionario con elmetto e fucile a tracolla; sullo sfondo contadini stanno mietendo le messi, una donna con un bambino in braccio vigila sul gregge mentre a destra, in contrapposizione alla raccolta dei covoni, sono dipinte fabbriche in funzione sprigionanti fumi. Entro una impostazione spaziale di stampo classicista è evidente qui il richiamo alla temperie del tempo, in quell’anno 1942 in cui alla conduzione dei campi erano chiamati anche i soldati, secondo una precisa disposizione del Duce in materia, per affrettare i raccolti: impegno bellico e lavoro agreste si dovevano fondere per un unico obiettivo, quello di portare il paese alla vittoria. Ecco allora il legionario contadino, certo la figura più monumentale di tutto il ciclo, ovvero l’uomo eroe dal doppio volto di combattente e di agricoltore, tenere alla briglia la coppia di buoi più volte raffigurata in passato dall’artista, di cui l’episodio dell’aratura nel pannello omonimo per l’Esposizione internazionale di Parigi del 1925 aveva rappresentato l’esempio più alto. Le fabbriche sullo sfondo dei lavori agresti, una contrapposizione già cara al primo Boccioni, sembrano alludere più che alla sopraffazione dell’industria sulla campagna all’incessante produzione bellica di quel momento.
Piantatura degli alberi e raccolta di covoni
cm. 348x478
Il cartone preparatorio risponde solo in parte alla reale dimensione del riquadro dipinto visibile in una fotografia d’epoca prima della scialbatura. Sulla destra, entro uno spazio a perdita d’orizzonte interamente occupato da campi di messi, era presente una figura femminile con un bambino in braccio a fianco del piantatore, mentre sulla sinistra il gruppo delle raccoglitrici è sostituto da figure sia maschili che femminili chine a riunire le messi in covoni. I grandi bozzetti non furono pertanto realizzati tutti secondo il progetto, ma modificati molto probabilmente al momento della reale presa di possesso dell’ambiente in cui dovevano essere applicati. Questo episodio decorava la parete del salone riservata agli oratori, in faccia ai convenuti delle adunanze, avendo come centro della rappresentazione la famiglia del contadino quale perno dell’organizzazione sociale e lavorativa degli agricoltori.
Chini, con la sua fervida inventiva di grande narratore, sembra avvicinarsi nel gruppo centrale a soluzioni già adottate nel campo della iconografia del lavoro da Ardengo Soffici e da Mario Sironi in dipinti da cavalletto.
La mietitura della canapa
cm. 342x300
Si tratta di uno dei bozzetti più densi di figure e più articolato nei particolari di tutto il ciclo, la cui precisa destinazione sul muro resta ancora imprecisata, forse sulla parete in cui si apre la porta d’ingresso. La densità della colorazione turchina, ai limiti del plumbeo, ne ha fatto ipotizzare una ambientazione notturna che contribuisce ad accrescere il tono espressionista della raffigurazione, altrimenti giocata sul naturalismo dei corpi e sulla struttura di ricovero a cannicci. La suggestione è profonda, quasi un richiamo tardivo alle forme neomichelangiolesche che l’artista aveva ammirato nel secondo decennio del secolo a Bologna, nel Palazzo di Re Enzo, nell’opera monumentale di Adolfo De Carolis. Bellissimo il tratteggio del colore come le campiture, un colpo da maestro decoratore memore dei cromatismi divisionisti, ma soprattutto dei trionfi tecnici e cromatici della “sua” ceramica d’autore, realizzata dapprima alla manifattura Arte della Ceramica, poi, dal 1096 alle Fornaci S. Lorenzo che verranno distrutte due anni dopo dai bombardamenti aerei.
Mondine
cm. 354x465
Semplicemente abbozzato nelle linee principali e parzialmente colorato nel gruppo delle mondine sedute in primo piano a sinistra, è il cartone meno spettacolare del gruppo appartenente alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, non per questo meno interessante degli altri. La modulazione dei gruppi muliebri viene graduata nella risaia quasi fino all’orizzonte secondo una larghezza di veduta che rimanda allo spazio masaccesco della cappella Brancacci con un repechage neorinascimentale che attesta l’intenzione dell’artista di immedesimarsi in linguaggi classici del passato.
È un punto di vista ben diverso dalla mondine senza volto che Angelo Morbelli aveva immortalato in un celebre dipinto del 1895 (Vercelli, Museo Civico Borgogna) dal titolo significativo di Per 80 centesimi, maturato entro il clima dello spiritualismo simbolico della pittura divisionista.
Da una immagine fotografica dei primi anni ’50 del secolo scorso, non perfettamente leggibile, vediamo questo pannello sulla parete a ridosso della porta d’ingresso del salone delle riunioni, arricchito da una maggiore alberatura (esistono in collezione privata frammenti di cartoni colorati recanti solo quinte di alberi) e da una figura muliebre in primo piano a sinistra, recante il canestro delle provviste: è la staffetta giornaliera della colazione consumata sui campi.
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