SpazioBoccainGalleria - Libreria Bocca
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Massimo Catellani
dal 16/4/2003 al 4/5/2003
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Massimo Catellani



 
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16/4/2003

Massimo Catellani

SpazioBoccainGalleria - Libreria Bocca, Milano

Il cacciatore di fulmini. 'Realismo in pittura? - si interroga Agazzani nel testo di presentazione della mostra - Ma quale realismo? Potra' mai essere 'realista' un pittore (o, peggio ancora, uno scultore)? E piu' in generale: potra' mai essere 'realista' l'arte? Etichette e definizioni che all'alba di un nuovo millennio ed in piena riscoperta della Pittura e dei suoi fenomeni più segreti non possono essere che classificate (e liquidate) come didascaliche, affrettate, superficiali, inutili.


comunicato stampa

Con la presentazione di Alberto Agazzani, curatore della mostra e autore del saggio in catalogo, si inaugura giovedì 17 aprile alle ore 18, presso lo Spazio Bocca in galleria Vittorio Emanuele II 12 a Milano, la mostra ''Il cacciatore di fulmini'', personale del giovane pittore reggiano Massimo Catellani.

''Realismo in pittura? - si interroga Agazzani nel testo di presentazione della mostra - Ma quale realismo? Potrà mai essere 'realista' un pittore (o, peggio ancora, uno scultore)? E più in generale: potrà mai essere 'realista' l'arte? Etichette e definizioni che all'alba di un nuovo millennio ed in piena riscoperta della Pittura e dei suoi fenomeni più segreti non possono essere che classificate (e liquidate) come didascaliche, affrettate, superficiali, inutili.

Certo, è vero che nel grande supermarket dell'arte contemporanea si abbisogna di etichette e di scaffali per avviarsi con rassicurante (in) certezza verso questo o quel reparto, esattamente come, appunto, in un moderno supermercato (oggi diventato addirittura mostruosamente 'iper') dove i surgelati sono collocati in una posizione diversa dai detersivi e dalla pasta. Così nell'arte. Il realismo si contrappone, in certe menti facili e sbrigative, all'astrattismo in una tenzone fra definizioni e concetti insensata e vacua, che di tutto sa fuorché d'artistico e che troppo spesso vale solo ad esaltare l'ego smisuratamente criminale dei protagonisti di un sistema ormai davvero al collasso. E siamo ai soliti esempi (per tutti rimando, scusandomi per la poco elegante auto-citazione, a quanto già scrissi in merito nel presentare il superbo Bernardo Torrens alla Galleria Marieschi di Milano nel 2001 ). Michelangelo è un pittore (o uno scultore, liberi di scegliere) realista o astratto' E Piero della Francesca, Wiligelmo, Leonardo o Rembrandt' In costoro prevale più la riproduzione di una realtà o la forza di un concetto astraente o astrattivo' La realtà è una componente imprescindibile del fare arte, ma non si tratta che di un elemento, un punto di partenza, un riferimento come altri. L'arte, infatti, quando è tale è tutta opera d'astrazione. Anche quando si prefigge d'essere 'iperrealista' l'arte è esercizio raffinatissimo e sottilissimo d'astrazione perché rappresenta una visione inevitabilmente filtrata da una sensibilità e da un'intelligenza che mai e poi mai potranno annullarsi completamente in un'immagine dipinta o scolpita. Un punto di vista è già operazione d'astrazione. Ed ecco allora che una veduta urbana di Richard Estes o Antonio López-García, una scultura 'più vera del vero' di Duane Hanson o ancora dello stesso López-García (che proprio a due sculture di esaltante verità e raffiguranti due corpi nudi lavorò per oltre vent'anni, raggiungendo la consapevolezza finale dell'impossibilità dell'artista di imitare, annullandosi in essa, la natura) oppure un ritratto più o meno smisurato di Chuck Close, per non dire di una natura morta di Luciano Ventrone o Maurizio Bottoni dove la 'luce del vero' trascende nell'immanente, sono opere d'arte di assoluta, autentica astrazione perché frutto di un punto-di-vista/concetto rigoroso, unico, assoluto, prima ancora che di una facile 'maniera', che spesso trasforma la necessità in virtù, o di una impossibile oltre che insensata riproduzione 'fotografica'. Con tutto questo nulla si vuol togliere al valore della ricerca di quell'astrazione propriamente detta che, quando sostenuta da un mestiere e da una sensibilità autenticamente tali, sconfina parimenti nell'ultraterreno, creando quella magia senza spazio e senza tempo che, al pari della figurazione, rappresenta l'anima più autentica e potente dell'Arte.

Vi è un aspetto, però, della pittura figurativa che ne esalta le caratteristiche di unicità e il valore. Questo aspetto si realizza là dove il pittore (o, più difficilmente per ovvi motivi 'materiali', lo scultore) si trova a voler rappresentare l'invisibile della realtà attraverso ciò che di più difficilmente rappresentabile essa manifesta. Tre immediati esempi assoluti nella storia dell'arte, tra i molti possibili, sono quel magico 'colore dell'aria' che Leonardo dipinge e nella cui acquosa atmosfera immerge il paesaggio che fa da sfondo, ad esempio, della 'Gioconda', oppure quel cielo e quelle luci così fuggenti colte istantaneamente da Vermeer nella sua celebre 'Veduta di Delft' o, ancora eccezionalmente, il fulmine che Giorgione 'cattura' ne 'La tempesta', elemento che conferisce al minuscolo dipinto un ulteriore mistero ed una magica grandiosità senza pari.
La pittura contemporanea, figurativa s'intente, si è trovata più raramente a confrontarsi con l'irrapresentabilità dei fenomeni naturali, complice-nemica, forse, quella fredda tecnologia (dalla fotografia ai video in poi) che ha reso tutto più facile e possibile dal punto di visto rappresentativo, non cogliendone però, tranne in certi rari casi, l'anima segreta e, appunto, quella dimensione invisibile, viva ed 'emotiva' di cui la pittura è l'unico e più vocato strumento di rappresentazione.

La giovane pittura del reggiano Massimo Catellani si inserisce in questo discorso con la gentilezza e il garbo del più acuto osservatore della natura, di colui, cioè, troppo attento ad osservare i fenomeni per curarsi di quanto a loro (e a lui) accade intorno e troppo preoccupato, soprattutto, di coglierne il mistero che con sorprendente efficacia ritroviamo nelle sue tele dipinte. Non si tratta qui della più o meno complessa rappresentazione di una realtà visibile, di un divenire naturale anche estremo (come la rappresentazione di un fenomeno atmosferico come un uragano o un semplice temporale), quanto piuttosto della sua trasformazione in allegoria più complessa e misteriosa, post-Romantica verrebbe da dire, della nostra realtà; un'allegoria della quale, come sempre, si coglie subitaneamente la forma che è solo un preludio, una porta verso l'anima del dipinto e a ciò che veramente l'artista ha voluto rappresentare. Catellani è un pittore che ha trovato dentro di se una chiave originale di rappresentazione del suo mondo, che ci comunica in rare tele (oggi non più di una decina l'anno), dipinte con un rigore assoluto che gli deriva, forse, da un mondo delle idee tutto suo e che ha avuto la capacità di sondare con lucidità assoluta e rappresentare attraverso una mirabile tecnica pittorica acquisita certamente con esaltati sacrificio, ostinazione e coraggio.

Dapprima erano dipinti di chiaro marchio Romantico, ma nei quali la ricerca del mistero più estremo della natura si cominciava ad evidenziare ed imporre con crescente necessità. Il paesaggio tipico della collina e dell'appennino reggiani si colorava di luci e cromie estreme ma non impossibili, come se il pittore avesse saputo cogliere quell'attimo della giornata, quel momento dell'alba o del tramonto o nel quale una nuvola oscura improvvisamente un paesaggio assolato, nel quale la luce trasfigura tutto, portando la quotidianità di un'immagine in una dimensione ultraterrena. Un attimo, una frazione di secondo fra una luce e un'altra, tra un divenuto e un divenire, come un'attimo fuggente che ci rivela l'aspetto più segreto e nascosto, panico del visibile. Per questa ragione i dipinti di Catellani a prima vista possono apparire come la visione sovraesposta di un paesaggio o di una veduta urbana. E' l'eccezionalità del momento, di quella luce irripetibile, rapida e rara a scatenare ed esaltare l'interesse del pittore e a stimolarne la rappresentazione sulla tela; una luce naturalmente contrastata, impossibile nella sua fugacità eppure così rivelatrice e così carica di mistero.

E' quel contrasto fra luce e ombra che da secoli tormenta ed anima la pittura, ma qui colto in una dimensione eccezionale, come nel fulmine del Giorgione che, primo con tale forza, si trovò a rinchiudere un mistero in un bagliore.

Scansato, quindi, ogni possibile riferimento 'realistico' nella pittura di Catellani, occorre a questo punto entrare nel suo mistero e cercare di capire e rivelare cosa faccia scaturire in lui la necessità irresistibile di rappresentare il mondo nella sua dimensione panicamente più estrema, sotto cieli carichi di tempesta e presagi, come istantanee di un'apocalisse senza fine.

Lontani secoli sono i paesaggi fiamminghi dei Ruysdael e dei Rembrandt cui questa pittura trae certamente origine. E lontano è pure il Romanticismo inquieto e diversamente estremo di un Friedrich, Wright of Derby, Danby o Dahl. In questa pittura d'oggi non vi è la quiete dominante degli antichi olandesi, né lo spirito dell'orrido e del sublime dei romantici. Il presagio si realizza e di serenità ve n'è ben poca perché lo scenario, la sensibilità del loro autore e lo spirito della nostra epoca danno ben poco spazio alla speranza e alla sicurezza di quell'antico, possibile ritorno all'ordine.

E se lo spirito è quello che esalta il mistero della natura di una illustre tradizione cui certamente Catellani fa riferimento e alla quale è perfettamente riconducibile, è però la sua sensibilità d'uomo moderno e vigile a farne sostanziale differenza. E con originalità uniche, soprattutto in un momento nel quale la sua pittura potrebbe essere superficialmente confusa con quel genere, oggi abusato e francamente ormai noioso ad nauseam, di vedutismo, più o meno 'metropolitano' o 'industriale', tanto penosamente di moda quanto morto, mortifero, manierato e vacuo nel suo ripetersi e nel suo spudorato far di necessità virtù. I dipinti di Catellani sfuggono fortunosamente a questa definizione letale grazie ad una vitalità e ad un'indipendenza non facilmente catalogabili. Quello che essi comunicano non è un aspetto esteriore o una forma che il mondo d'oggi va assumendo, non sono il disperato e penoso tentativo di una sterile riproduzione fotografica di mostruosità urbane, fabbriche dismesse o di periferie in degrado. Sono pittura, 'solo' e 'semplicemente' pittura. E raccontano di timori e lacerazioni, di un mondo abbandonato da Pan, ma altresì abitato da demoni nemici della Natura e che di lei stanno attendendo e anzi subendo la più efferata delle vendette. No, non si tratta di 'ambientalismo' dipinto, di teorie messe in immagini, di propaganda raffinata e misterica.

Si tratta, lo ripeto, di pittura, di dipinti nei quali un artista sensibile e dall'occhio educato comunica il suo pensiero, le sue idee, i suoi timori. Che diventano, forse a sua insaputa ed è qui l'eccezionalità di questo giovane artista, i timori di tanti, di troppi, così trasformando le pagine di un suo diario intimo e personale in un qualcosa di ben più universale e davvero destinato a lasciare un punto di vista 'fuor di maniera' in quest'epoca di manierismi degenerati e nemici del bello e del vero.''

Spazio Bocca in galleria Vittorio Emanuele II 12 - Milano

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Gianluca Quaglia
dal 2/9/2015 al 2/10/2015

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