Mostra di Alessandro Biggio e Simone Dulcis. Tracciano mappe di un territorio indefinito, inseguono voragini, esplorano labili confini. Ci abitano dentro, in questa zona al limite. In bilico tra adesione e rifiuto, tra esserci e sparire, tra clangori contemporanei ed echi di culture lontane. Sciabola il nero bitume Simone Dulcis, e affonda nel bruno scuro della terra, mentre Alessandro Biggio stende sui suoi quadri una patina biancastra che si apre ogni tanto su limpidi azzurri.
mostra di Alessandro Biggio e Simone Dulcis
Tracciano mappe di un territorio indefinito, inseguono voragini, esplorano
labili confini. Ci abitano dentro, in questa zona al limite. In bilico tra
adesione e rifiuto, tra esserci e sparire, tra clangori contemporanei ed
echi di culture lontane.
Sciabola il nero bitume Simone Dulcis, e affonda nel bruno scuro della
terra, mentre Alessandro Biggio stende sui suoi quadri una patina biancastra
che si apre ogni tanto su limpidi azzurri.
Cacciatori urbani, entrambi.
Accomunati da uno stesso ardore, da un'urgenza espressiva che incide e
corrode e scarnifica. Alla ricerca, questa volta insieme, del 'LIMEN',
quella soglia in cui vorrebbero restare, la zona ondivaga e fluttuante dove
niente è netto e tutto possibile.
Serbando nel cuore un'Africa lontana - che gli è entrata dentro anni fa come
un seme o una spina - Simone Dulcis porta i solchi dei tatuaggi tribali in
quadri coperti di cedevole bitume, trasferendo nella realtà urbana segni
rituali ed iniziatici. Segnali di riconoscimento, incisioni dolorose e
necessarie su cui lui passa pennelli intinti di bianco e che poi finisce a
colpi di spatola, per meglio ferire la materia catramosa.
Le barriere che corrono sui quadri come cicatrici, separano due terre
uguali, due identiche facce che la linea di demarcazione illude di sicurezze
geografiche, di differenze inesistenti. Se c'è uno squarcio di colore,
Dulcis lo riempie di sabbia, l'ottunde con lo stucco, lo rende aspro e
poroso. Così confonde le tracce, per poter continuare a combattere con
acrilici, smalti e vecchie assi, con tutto quello che gli viene a tiro, una
battaglia senza fine.
Alessandro Biggio nasconde le tele sotto colori ad acqua da imbianchino, più
e più mani di pittura scolata e graffiata per costruire intonaci screpolati
e lisi. Sui muri assenti graffia un numero, sempre lo stesso, un 1 che
significa solitudine e somiglia a uno sparuto gancetto. Smentendo le leggi
matematiche, Biggio trova che la somma di tanti uno dia sempre 1 e se le
cifre sono chiuse all'interno di una linea continua (somigliante ad una
gabbia) il risultato non cambia.
Si accampa, nei suoi paesaggi metropolitani e disabitati, la sagoma di un
elmo che riaffiora dal mondo classico, un elmo da guerriero o da eroe venuto
fuori del nero e ocra dei vasi micenei, da un'armonia antica evocata dal
nome d'Exekias, sommo ceramografo attico. Non è l'unico simbolo ad apparire
nella terra di nessuno di Alessandro Biggio, quella desolata waste land che
dà il titolo ad uno dei quadri e ad un'opera di T.S.Eliot.
Emerge dalle profondità del mito il toro, disegnato o inciso come in una
parete rupestre, animale sacro e idolo pagano. Fecondità , forza, sacrificio,
vacche sacre, il vitello d'oro, Giove e i suoi travestimenti. Il bianco
polveroso ingoia uomini e dei, simulacri e cimieri.
Alessandra Menesini
Inaugurazione Sabato 3 maggio ore 19,00
Presentazione  Alessandra Menesini, Allestimento  Wanda Nazzari
Dal 3 al 14 maggio, tutti i giorni, esclusi i festivi, ore 18:30/20:30
Nell'immagine un lavoro di Simone Dulcis
CENTRO CULTURALE MAN RAY
SPAZIO POLIVALENTE DEDICATO ALLE SPERIMENTAZIONI ARTISTICHE CONTEMPORANEE
via Lamarmora, 140 Â 09124 CAGLIARI Â Tel. e fax 070/283811