Laura Marcucci Cambellotti
Adele Ceraudo
Marina Haas
Laura Palmieri
Anna Maria Sacconi
Roberta Giulieni
Laura Marcucci Cambellotti, Adele Ceraudo, Marina Haas, Laura Palmieri e Anna Maria Sacconi si muovono tra carte, inchiostri, tele, acrilici, olii e fili di lana, ognuna affidandosi alla traduzione che la propria mano fara' di un concetto.
a cura di Roberta Giulieni
Lʼesposizione, che verrà inaugurata giovedì 12 luglio alle ore 18.30 in via delle Botteghe Oscure 34 presso Palazzetto
Art Gallery diretta da Franco Ruben, vuole essere il racconto fatto dai “gesti” di cinque artiste “romane” che muovono
dalla propria visione personale verso la sapienza di un mestiere e della mano. La mostra diventa così un dialogo “fisico”
tra opere nate da tecniche e materiali diversi e da espressioni singolari eppure mosse da una comune volontà creatrice.
Laura Marcucci Cambellotti, Adele Ceraudo, Marina Haas, Laura Palmieri e Anna Maria Sacconi si muovono tra
carte, inchiostri, tele, acrilici, olii e fili di lana ognuna affidandosi alla traduzione che la propria mano farà di un concetto o
di unʼimmagine giunta alla mente.
Ognuna col proprio mestiere, ognuna ironicamente contemplando la possibilità dello scarto e dellʼerrore, pur non
sbagliando niente. La manualità che tanto spesso nellʼetà contemporanea viene demandata agli altri per il prevalere
dellʼidea viene conservata gelosamente da queste artiste che ne fanno motivo imprescindibile nella realizzazione della
loro opera.
Laura Marcucci Cambellotti stringe un ago tra le dita, avvicina ed allontana la tela montata al telaio per tessere lunghi
punti verticali, uno accostato allʼaltro. Il gomito resta immobile la mano si muove avanti e indietro per costruire i ricordi di
vicoli impervi affacciati sul mare, architetture in una prospettiva così ravvicinata da sembrare quali costruzioni utopiche.
E ancora figure di femmine, non donne, sue compagne di vita, che tra quelle architetture si affacciano per ammirare
lʼorizzonte e ascoltare i racconti che Laura fa mentre tesse.
Adele Ceraudo nel parlare della propria visione femminile passa dal mezzo tecnico della fotografia alla sua traduzione
sulla carta. Attraverso lo scatto fotografo fissa la composizione delle figure e determina lʼiconografia. Poi si china sul
tavolo e muove la mano che tiene lʼimmancabile penna biro per ricostruire e trasfigurare lʼimmagine. La mano compie
scatti in obliquo, non si stacca dal foglio, mentre i tendini sono tesi insieme al polso a seguire il movimento
dellʼavanbraccio. Ed ecco che quei segni si trasformano in corpi esultanti nella loro nudità, fragili allʼinterno con le proprie
tensioni emotive, le pause riflessive, le fughe mentali e solidi allo stesso tempo allʼesterno, costruiti con gesti sapienti e
precisione del tratto.
Marina Haas lascia invece che siano gli oggetti e le cose legate alla sua quotidianità a parlare del suo mondo. Oggetti,
dei quali si è appropriata attraverso la sua pittura, trasfigurati in una visione dal carattere espressionista, tradotti sulla
tela e sulla carta da una materia densa e vivace, a tratti evanescente come la memoria. Queste cose non rispondono ad
un scala di valori, ma sono ugualmente portatrici di una storia. Sono chiusi in se stessi ma aperti alla sensibilità e
allʼimmaginazione di chi li osserva. E Marina muove la mano in ampi movimenti dellʼalto al basso e viceversa, o ruota il
polso in piccole contorsioni per brevi tocchi.
Laura Palmieri presenta immagini del suo Bestiarium, una combinazione di vedute urbane e architetture sospese nel
vuoto insieme a figure di animali esotici, come in un sogno o una visione immaginaria, difronte alle quali mettiamo in
dubbio il nostro livello vigile. Forse temiamo di stare sognando. La sovrapposizione tra natura e cultura sembra farsi
evidente attraverso le immagini proposte, e non capiamo bene se raccontano di qualcosa che è già avvenuto o qualcosa
che potrà accadere. Tanto non cʼè determinazione temporale, ma una profonda sospensione, forse anche una speranza.
La mano ora tiene la penna a china e si muove in una direzione e in quella opposta disegnando griglie e reticoli. Fa
movimenti lunghi e lenti, ora solo le dita si chiudono verso il palmo per i tratti più brevi e nascono piccoli animali intorno
ad una vasca, moderna Arca di Noè , orsi che risposano sul tetto di una casa, una piccola capanna, cani, pecore...
Anna Maria Sacconi svela la sua passione simultanea per lʼimmaterialità e la tangibilità. I suoi lavori, accurati fin
nellʼultimo dettaglio, sono sollecitazioni visive e aperture verso spazi monocromi caratterizzati da una costante vibrazione
della materia e del colore. La sovrapposizione di materiali e il disegno che ne consegue spezzano infatti lʼuniformità delle
stesure del colore e lasciano emergere dalle profondità della tela, figure di angeli, strutture architettoniche, vere e proprie
finestre dalle quali affacciarsi su superfici nere o bianche compatte, leggermente sporcate dʼoro, alla ricerca di una
salvezza meno divina ma più estetica. Ed ecco Anna che fa ampi movimenti del braccio tenendo rigido il polso, stendere
strati su strati di colore per “costruire” e lasciare morbida la mano che tiene il pennello per permette allʼoro di sgocciolare
e insinuarsi nel bianco.
Inaugurazione giovedì 12 luglio 2012 ore 18.30
Palazzetto Art Gallery
via delle Botteghe Oscure 34, Roma
Orari: 10.00-19.00, dal martedì al sabato - Lunedì chiuso