C'ero, una volta. L'artista pone come principale operazione della sua azione pittorica una decontestualizzazione di matrice duchampiana.
“Una volta, io ero.
Non un frammento, ma l’intero. Ero il sogno, compatto, che non temeva la realtà.
Ero il cuore di una fiaba. La bambina, la principessa. L’anima. Lo
specchio nascosto in ogni stagno. La voce e la visione. L’infrangibile
magia di una storia senza tempo.
Percorrevo i sentieri dell’innocenza, cercando luoghi di stupore. Poi,
un giorno qualunque di un anno che non c’è, cerca, cerca… cammina,
cammina… inseguendo un inganno ho smarrito la strada. Pollicino senza
briciole, non l’ho più ritrovata!
Tutt’intorno non era bosco e non era notte. E non era neppure la luce
lontana di un tunnel aperto al di là di una tana. Era rumore,
piuttosto. Era un eccesso di luci e colori. Un caleidoscopio di vetri
e ridondanti fluorescenze. Era un tempo che non abita le fiabe. Era
un’altra vastità. Sconosciuta e spaesante. Una dimensione capovolta,
nella quale ero piombata all’improvviso. Come catapultata da un
singhiozzo della storia. Forse per errore. Forse per capire. Forse per
aprire un dialogo tra questo mondo e il mio.
Sullo sfondo di questo frastuono, la mia voce si racconta ancora.
Rotta, come un giocattolo in disuso.
Ma tra i lacerti, ritrovo l’intatto cuore di una fiaba.”
Onirismi che si sbucciano tra gli spigoli della contemporaneità. Sono
le fiabe esplose di Anna Caruso.
Alice, il Bianconiglio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve: solitudini
smarrite nell'irrealtà di un mondo che ha perso la capacità di
‘sentire’. E se l’arte è soprattutto visione, come affermava Jean
Dubuffet, le visioni metropolitane di Anna Caruso si animano di
personaggi simbolici, per indagare i vuoti del nostro tempo.
Le fiabe nascono come narrazioni dal chiaro intento educativo, e
ciascuna di esse puntualmente si conclude con un lieto fine:
Cappuccetto Rosso esce intatta dal ventre del lupo, Cenerentola,
calzando a perfezione la sua scarpina di cristallo, riesce a sposare
il principe, Biancaneve si libera definitivamente dalla sua matrigna.
Insomma, il buono ha sempre la meglio sul cattivo. Perché nelle fiabe
i personaggi sono nettamente divisi tra buoni e cattivi, come in una
sorta di etica manicheista. Tra le pagine di Carroll, Perrault o dei
Fratelli Grimm i buoni vincono o si salvano, e tutti finiscono per
vivere felici e contenti.
Non è esattamente quello che accade nelle opere della Caruso, in cui
la trama della fiaba viene interrotta, e la sua eroina viene strappata
dal contesto narrativo per essere letteralmente teletrasportata in una
dimensione
che non le appartiene. È quel singhiozzo della storia, che come un
sussulto sismico la spiazza, la infrange, e la disorienta.
Anna Caruso pone come principale operazione della sua azione pittorica
una decontestualizzazione di evidente matrice duchampiana. Cappuccetto
Rosso che vaga smarrita col suo cestino tra i cartelloni pubblicitari
di una grande città, non è che un ready made: una creatura avulsa dal
suo contesto originario e collocata laddove nessuno si aspetterebbe di
incontrarla.
La scelta di decontestualizzare proprio le eroine di fiabe popolari,
scaturisce dalla sua esperienza nel Cosplay (contrazione delle parole
inglesi costume e play), gioco di origine giapponese che consiste
nell'indossare costumi di personaggi della cultura manga, degli anime,
o delle fiabe. Anna ha iniziato a giocare travestendosi da Alice. E
questa Alice ha riportato a galla la bambina che un tempo è stata e
che dentro è ancora. In un gioco creativo si è aperto un dialogo tra
una donna e la sua innocenza: la bambina delle fiabe ha parlato
all’artista in divenire. Fino a quando Anna non ha permesso ad Alice
di entrare nel ‘quadro’. Alice ha preso cittadinanza oltre la trama
della tela, insieme ad una serie di altri eroi ed eroine come lei,
abolendo anche quella netta distinzione tra buoni e cattivi.
Con pennellate di colore acrilico accostate e giustapposte su tele
preferibilmente serigrafiche, Anna dà vita ad un mondo dentro al
mondo. Adottando una tecnica dinamica costruisce, con grande rapidità,
architetture e anatomie, sovente colte in prospettive grandangolari.
Nei panni di Alice, Anna ha scoperto che l’apparente dissonanza tra
quel costume e il contesto urbano può invece simboleggiare l’attuale
condizione dell’artista, sempre in qualche modo fuori luogo,
baconianamente ingabbiato in una realtà deformante e asfissiante. Ma
proprio per questo capace di raccontarla.
Special Guest: I MOSTRI DI FILO
Goldie, Monsieur Crabe, Madame Pelosino... Due lunghe gambe e labbra
smaltate, in equilibrio sui tacchi non sono meno sensuali di una
tazzina ricoperta di pelliccia.
Parimenti impellicciati, parenti della tazza di caffè di Meret
Oppenheim. "Colazione in Pelliccia". Sembrò assurdo prendere il caffè
in questa celebre opera d'arte, prima ancora che fosse internata in un
Museo.
Santo Cottolengo, Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Ospiti del Cottolengo sfrattati che hanno deciso di trascorrere le
loro vacanze estive in galleria Famiglia Margini.
Mostri mostruosi! Monstrum, parola antichissima per definire
quell'essere meraviglioso venuto da lontano, usata dagli antichi
romani con felice stupore fino al giorno dell'arrivo dei popoli
barbari.
Scherzi della natura e dinamiche interdette si mettono in scena nella
triplice azione di pulsione e repulsione ...suspense. Prodigiose
creature da rapire con un piglio feticista.
Filippo Corato, alias FILO, e i suoi Mostri nascono attorno ad un
palloncino come i sogni di un fanciullo che recupera la magia in
piccoli pezzettini di materia abbandonati, e li rende preziosi con
squisiti giochi di fantasia.
Inaugurazione 17 luglio ore 18.30
Famiglia Margini
via Simone d’Orsenigo n°6 , Milano
Dal martedì al giovedì dalle 14 alle 20. E su appuntamento.
Ingresso libero