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Waiting What?
dal 18/7/2012 al 1/8/2012
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Sissi Ruggi




 
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18/7/2012

Waiting What?

Mediateca Provinciale Antonello Ribecco, Matera

...We are moving. Quattro fotografi - Michela Taeggi, Luana Monte, Massimo di Nonno e Stefano De Grandis - scelgono per tema l'immigrazione e la raccontano attraverso l'attesa. Nell'ambito di MateraFotografia 2012.


comunicato stampa

Terza edizione della Rassegna MateraFotografia

“Waiting What?”…We are moving

Quattro fotografi scelgono per tema l'immigrazione e la raccontano attraverso l'attesa

“Partire sperando di fermarsi in luogo migliore.
Questo crediamo che sia il sogno di chiunque si sposti da un luogo per cercarne un altro che spesso non gli appartiene ma che lo sogna migliore di quello da cui proviene.
Il viaggio è lungo e a volte le soste sono necessarie. Pero’ le soste a volte si trasformano in attese. Abbiamo deciso di parlare dell’immigrazione partendo da questo concetto base: l’attesa”.

Sessanta fotografie suddivise in quattro reportage fotografici sul tema dell’immigrazione.

Titoli reportage:
1. Giovani migranti a Patrasso, fotografie di Michela Taeggi
Patrasso è considerata la piccola Kabul greca. La città nascosta dei profughi Afghani, tutto sommato non è cosi nascosta. Sulla strada che porta a Corinto, c’è un campo profughi arrivato ad ospitare, un paio d’anni fa, oltre 3ooo Afghani. Il “campeggio”, alcuni migranti lo chiamano così, è il campo profughi costruito con legna e cartone, una baracca vicino all’altra tra rigoli di fogna a cielo aperto e topi grandi come gatti. L’odore all’interno delle baracche è agre, pungente, s’incolla ai vestiti e non va più via. Un poster con una fotografia di una nave da crociera è appeso ad una parete. Solca il mare maestosa e nella fantasia dei giovani migranti afghani quella nave è diretta in Italia. A Patrasso, arrivano e partono giorno e notte, i giovani migranti che vogliono raggiungere clandestinamente l’Italia via mare, nascosti negli autotreni del Porto in partenza per l’Italia. Sono minorenni, orfani di guerra o figli di famiglie che non riescono a mantenerli, in fuga dalla guerra e dai rastrellamenti dei talebani. I giovani Afghani raggiungono l’Europa battendo le rotte migratorie via terra e via mare in clandestinità. Ogni giorno, la polizia greca cerca di fermarli. Da Patrasso è necessario scappare via il prima possibile. Come fantasmi, i ragazzi si aggirano per il porto di giorno e di notte, scavalcano i cancelli con il filo spinato che gli taglia la carne, raggiungono il primo camion che non abbia un lucchetto sulle maniglie del container per nascondersi all’interno fra le merci o che abbia un po’ di spazio fra le assi delle ruote dove potersi legare con assi e corde, con la faccia a pochi centimetri dall’asfalto della strada. Alcuni di loro sopravvivono all’interminabile viaggio, altri invece muoiono sotto le ruote degli autotreni per un semplice colpo di sonno o per un attimo di distrazione che diventa fatale. Ognuno di loro ha un amico da ricordare, perché centinaia di ragazzi per quel “sogno” sono morti, proprio come Amir, stritolato dalle ruote di un camion fuori dal porto di Ancona, sull’asfalto di quel paese che tanto voleva raggiungere, l’Italia.

Questo è quanto succedeva esattamente un anno fa. Dopo due mesi dalla realizzazione di questo reportage la situazione a Patrasso è cambiata. Le autorità greche hanno deciso di affrontare il problema con le maniere forti. A luglio il “campeggio” è stato raso al suolo. Sono stati fermati centinaia di migranti e trasportati nei centri di detenzione temporanea ad Atene, i più giovani, in centri situati vicino al confine con la Turchia nel nord della Grecia. Non si è saputo più nulla della sorte di questi migranti. L’alto commissariato Onu per i rifugiati, ha comunque ribadito le sue critiche al governo conservatore greco che fino ad oggi non ha recepito le norme riguardanti il diritto d’asilo. Solo l’1% delle domande presentate vengono accolte. Secondo Human Rights Watch, la Grecia non rispetta i principi dei documenti europei e dell’ONU in materia di diritti umani e non garantisce protezione adeguata a chi ne avrebbe bisogno, in particolare ai minori non accompagnati. Da Patrasso giungono poche e frammentarie notizie ma una cosa è certa; lo sgombero del campo profughi non ha risolto un problema, altri migranti ogni giorno, raggiungono le coste greche e si fermano li, nascosti chissà dove, nell’attesa di trovare la strada per raggiungere l’Europa del Nord.

2. Le città invisibili e l’attesa apparente, fotografie di Luana Monte
Queste immagini costituiscono una selezione strettissima di un lungo lavoro di documentazione sulle condizioni abitative degli immigrati irregolari a Milano, realizzato tra il 2001 ed il 2009, grazie alla preziosa collaborazione dell’associazione Naga, impegnata da anni nell’assistenza socio-sanitaria e nella tutela dei diritti dei migranti. Secondo le statistiche oggi in Italia vivono circa quattro milioni e mezzo di migranti regolari e 650.000 irregolari. La maggior parte di essi ha trascorso almeno un periodo della propria permanenza a Milano o nelle sue immediate periferie vivendo in insediamenti considerati abusivi: aree industriali ormai dimesse, baraccopoli o case abbandonate, che almeno temporaneamente per svariati motivi non allettano ancora gli interessi di investitori immobiliari ed imprese di ristrutturazione. Questi nascondigli precari e temporanei, spesso accomunati dalla mancanza di luce elettrica, acqua corrente, gas e servizi igienici , a prima vista appaiono desolati e deserti, come sospesi in una dimensione estranea al moto continuo che caratterizza il resto della città. Come in attesa…

Avvicinandosi si conoscono uomini, donne e bambini, si scoprono le comunità che le abitano, che sì, sono estremamente mutevoli ed eterogenee a causa dei numerosi spostamenti necessari o imposti dall’esterno, ma al tempo stesso sono animate da un forte desiderio comune, quello di cambiare in meglio le proprie condizioni di vita. Ci si accorge di alcuni particolari: la cura messa nel preparare un giaciglio anche se temporaneo, la volontà di mantenere un aspetto dignitoso della propria persona, la felicità che porta con sé la nascita di un nuovo figlio… L’impegno e la fatica necessari per trovare l’acqua, il cibo, qualcosa da cucinare. La prospettiva d’improvviso si capovolge, quella che era apparsa come attesa passiva di un cambiamento di vita concesso dall’esterno diviene tensione attiva, lotta per raggiungere un obiettivo, una svolta al di là della sopravvivenza.

3. “Via Zamenhof”. Quando il Naga accoglie i cittadini stranieri all’interno dei suoi locali, fotografie di Massimo di Nonno.
Massimo di Nonno ha posizionato la sua macchina fotografica nella sala d’attesa dell’ambulatorio medico di via Zamenhof e ha seguito il lavoro dei medici volontari durante le visite. Ogni giorno all’ambulatorio medico del Naga in via Zamenhof 7a vicino ai navigli a Milano, i medici volontari dell’associazione visitano più di ottanta cittadini stranieri senza permesso di soggiorno provenienti da ogni angolo del mondo, dall’Egitto al Perù, dallo Sri Lanka all’Ucraina, dal Brasile alle Filippine, dal Senegal alla Cina. La legge italiana, sulla carta, garantisce anche agli stranieri irregolari le cure mediche, ma nella realtà l’accesso alle cure è molto difficile e non sono, comunque, garantite le cure mediche di base. I medici del Naga diventano, così, i “medici di famiglia” dei tanti migranti che si rivolgono ai nostri servizi e come in ogni ambulatorio del mondo, anche al Naga, i pazienti aspettano il loro turno in una sala d’attesa. Nella sala d’attesa del Naga grazie alla varietà dei suoi ospiti, si respira un’aria particolare. Condividono lo stesso spazio storie, Paesi, sogni e preoccupazioni differenti, un crocevia che la fa assomigliare più alla sala d’attesa di una stazione che a quella di un ambulatorio medico, un insieme voci, pensieri e culture che s’incrociano probabilmente senza mai incontrarsi.

Ognuno ha il suo modo di “aspettare”, chi legge il Corano, chi legge il giornale, chi legge la Bibbia, chi si guarda intorno, chi tiene in mano preoccupato e silenzioso le analisi mediche, chi guarda la cartina geografica appesa al muro ripercorrendo tutta la strada che ha fatto per arrivare fino a qui, chi chiacchiera, chi dorme, chi conta le persone che ha davanti prima del suo turno, chi guarda impaziente l’orologio, chi non ha fretta, chi, semplicemente, aspetta. La scelta di Massimo di Nonno di tenere la macchina fissa in uno stesso punto ha permesso di catturare in modo straordinario l’atmosfera di questo logo spesso silenzioso, ma attraversato da un flusso continuo di persone e, quindi, continuamente mutevole. Le foto all’interno degli ambulatori colgono l’essenza della visite mediche: il contatto tra il medico ed il paziente, tra il bisogno e la ricerca della soluzione, il contatto come rappresentazione di un incontro che muta chi lo vive.

4. Waiting room Malpensa, fotografie di Stefano De Grandis.
L'aeroporto di Malpensa è la principale porta d'entrata di immigrati del nord'Italia. Sono molti quelli che cercano di entrare irregolarmente nel nostro paese, usando le strategie più disparate per aggirare i controlli doganali. Tuttavia molti vengono fermati in attesa che venga avviata la pratica di respingimento che prevede il rientro nei loro paesi d'origine. A21 è il nome della stanza dove decine di immigrati vengono "parcheggiati" in attesa del volo, e il luogo dove si infrange definitivamente il loro sogno di una vita migliore in Italia o nella EU. In quest'area si mescolano storie diverse, di nazionalità, di volti e di sconfitte, che in attesa di tornare nel paese d'origine, si ritrovano, per diversi giorni, sospesi in questa sorta di non-luogo in cui, anche, il loro destino gli è ignoto.

Fotografi

Michela Taeggi nasce a Varese nel marzo 1976, vive a Milano. Nel 2007 entra a far parte dell’ Agenzia fotogiornalistica “Infophoto” di Milano, dove realizza servizi di approfondimento sull’attualità per i periodici e i quotidiani nazionali. Nel luglio 2008 lascia l’agenzia per entrare a far parte di Nazca Pictures, agenzia di fotogiornalismo internazionale, dove collabora per circa un anno. Attualmente e’ fotografa free lance. Realizza reportage fotografici di documentazione sociale e di approfondimento sull’attualità con particolare attenzione ai temi legati all’immigrazione clandestina.
Pubblicazioni: Corriere della Sera, La Nazione, Il Resto del Carlino, Il Giornale, Il Manifesto, Liberazione, L’Espresso, Panorama, A, Vanity Fair, Tu Style, Il Corriere Magazine, Sette, Oggi,Visto,Ok Salute,El Pais (Sp), Geo (Fr).

Mostre
2006 Collettiva “Stazione isola” Laboratorio artistico sul quartiere - Isola Art Centre, Milano.
2006 Collettiva “Il segreto è dirlo: raccontare la paura” - Teatro Dal Verme, Milano, con il patrocinio della Provincia di Milano..
2008 Collettiva “Donne raccontano Donne” - Libreria Hoepli, Milano.
2009 Collettiva “A close-up shot of solidarity”, in collaborazione con Cesvov Varese – Villa Recalcati, Varese.

Libri
2006 Book “Donne raccontano Donne, venti testimonianze e venti racconti fotografici”
A cura di Claudio Benzoni.

Luana Monte nasce e vive a Milano, dove ha iniziato a lavorare come fotografa nel 1999 occupandosi di cronaca per i quotidiani nazionali presso l’agenzia foto giornalistica Emblema. Dopo questa prima esperienza ha cercato di focalizzare il suo lavoro su argomenti di carattere sociale, per approfondire tramite la fotografia i temi che ritenevo più interessanti e vicini alla sua sensibilità. Nel 2002 ho avviato Intandem, un progetto continuativo di collaborazione con l’amica e collega giornalista Agnese Bertello. Percorso che ha portato alla realizzazione di servizi fotografici e reportages che affrontano principalmente tematiche d’attualità sociale, affrontando in particolare questioni legate all’immigrazione e al rapporto tra giovani ed insegnanti nella scuola.

Dal 2006 al 2009 ha collaborato con l’agenzia Prospekt e ha continuato sostanzialmente il percorso scelto negli anni precedenti, realizzando due reportages riguardanti le tematiche dei richiedenti asilo e del recupero scolastico,“We need home” e “Chance”, che hanno ottenuto, insieme ai lavori dei suoi colleghi di Prospekt, il riconoscimento del premio dedicato al giornalista Enzo Baldoni.

Mostre
2003 Trento_I Primi Sessanta Giorni: le condizioni di vita dei migranti nei dei Centri di Permanenza Temporanea in Puglia. Personale realizzata grazie al patrocinio della Provincia di Trento
2005 Milano_Le Città Invisibili: le aree industriali dimesse e le abitazioni in disuso abitate dai migranti nella città di Milano. Personale realizzata grazie all’associazione Naga di Milano. A cura di Multiplicity Lab
2007 Torino_Il viaggio di Penelope. Donne migranti in Italia attraverso il Mediterraneo.
Colletiva a cura di Lo Sguardo sull’Altro. Fotografia in Italia dagli anni Ottanta ad Oggi, Fieri, Paralleli
2008 Genova_Al Lavoro. Collettiva organizzata da Progetto comunicazione sulle problematiche del lavoro e della sicurezza. Palazzo Ducale di Genova.
2009 Genova_Rom Rom! Viaggio nei mondi rom. Collettiva a cura Sergio Cizmic e Luca Saggin. Patrocino Provincia di Genova, Assessorato alla Cultura
2009 Milano _La città fragile. Partecipazione iconografica alla mostra a cura di Aldo Bonomi. Triennale di Milano.

Libri
2006_Donne raccontano Donne, venti testimonianze e venti racconti fotografici
A cura di Claudio Benzoni.
Edizioni Benzoni
2008_Rom, un popolo. Diritto di esistere e deriva securitaria
A cura di Erica Rodari.
2009_Edizioni Punto Rosso
Torino a colori
A cura di Sara Casiraghi.
Pro Edizioni

Riconoscimenti
Edizione 2006_ Premio giornalistico Enzo Baldoni

Stefano De Grandis, trentenne vive e lavora a Milano. Fotografo professionista dal 2003 collabora con i maggiori quotidiani e magazine italiani seguendo e approfondendo fatti di stringente attualità. Parallelamente porta avanti progetti personali di ricerca fotografica e giornalistica legata principalmente a temi sociali e ambientali. All'estero ha lavorato in Sudamerica, Cina, Tuchia, Egitto, Francia e Albania.

Pubblicazioni: Corriere della Sera, Giornale, La Stampa, La Repubblica, L’ Espresso, Panorama, Donna Moderna, Vanity Fair, Specchio, La Stampa, Riders.

Mostre
Dal 2006 al 2009 ha esposto nella mostra collettiva Prima Visone presso la Galleria Belvedere

Massimo Di Nonno nasce a Campobasso nel 1968. Nel 1998 abbandona la sua città e la professione di odontotecnico per trasferirsi a Torino, dove si dedica prima a lavori di arte contemporanea con Annamaria Ferrero. Successivamente inizia la professione di fotografo per l’agenzia Mediamind e, in seguito, come corrispondente per diverse agenzie milanesi. Nel 2003 si trasferisce a Milano per entrare a far parte dell’agenzia Tam Tam e, di lì a poco, fonda con Samuele Pellecchia l’agenzia di fotogiornalismo Prospekt. Attualmente lavora come contributor con l’agenzia Getty Images. Negli ultimi anni ha realizzato reportage, mostre e pubblicazioni su tematiche d’attualità sociale e politica, e su temi ambientali e legati al territorio, in Italia, Polonia, India, Brasile, Cile, Mali, Kenya e Serbia.

Pubblicazioni: Corriere della Sera, La Repubblica, Il Giornale, Il Manifesto, L’Unità, Liberazione, Liberation, La Croix, L’Espresso, Panorama, Diario, Anna, Io Dona (Spain), Io Donna, Psychologies, Newsweek, Internazionale, National Geographic (US), National Geographic (IT), Max, Vanity Fair, Diario, Grazia,
Book Series Verdenero 2: “Fotofinish” con Cacciatore, Gebbia, Palazzotto.

Mostre
2005: “Amazonia Diversidade Voberania e Paz” Milano, Spazio Oberdan.
2006: “S.p.Acqua: diritto umano o bene privato” Milano, Stazione Garibaldi.

Libri
2009: Torino a colori. I nuovi torinesi in 80 cartoline
2009: Naga, crocevia d’incontri

Info: www.materafotografia.it, info@materafotografia.it

Ufficio stampa Sissi Ruggi, tel. 333.4742509, ufficiostampa@sissiruggi.com

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ingresso libero

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